Se i giovani più promettenti emigrano non è solo questione di risorse; se la ricerca langue e i policlinici sono sotto accusa, la colpa è anche del 'sistema'. Che fa persino rimpiangere il passato: "Una volta si parlava di 'baroni'. Adesso i numeri (anche dei docenti) sono cresciuti. Al posto del singolo barone ci sono i clan e i loro leader, che non necessariamente sono i migliori dal punto di vista della ricerca...", scrivono sempre Giaquinta e Guerraggio, docenti di matematica che hanno appena pubblicato un saggio coraggioso intitolato 'Ipotesi per l'università'. E continuano: "La situazione non sembra migliorata: baroni per baroni, sistema mafioso per sistema mafioso, forse i vecchi 'mandarini' sapevano maggiormente conciliare il loro interesse con quello generale. La difesa delle posizioni conquistate dal 'gruppo' riusciva, in parte, a diventare anche fattore di progresso. Sicuramente più di quanto accada adesso".
Cattedre immortali
Come nelle cronache del basso impero, i nuovi baroni non si limitano a spadroneggiare nei loro castelli, ma creano alleanze con altri signorotti, in modo da proteggersi l'un l'altro e dilagare nell'immunità. Eppure ci sono state prese di posizione dirompenti, come quella di Gino Giugni, che nell'estate del 2005 denunciò in una lettera aperta ai professori di diritto del lavoro "la gestione combinata nella selezione dei giovani studiosi". Il padre dello Statuto dei lavoratori chiedeva che "tutti i colleghi di buona volontà" unissero il loro impegno "per riportare serenità, trasparenza, e ancor più equità nelle scelte accademiche". Raccolse un plauso tanto ampio quanto generico. Insomma, nessuno ebbe il coraggio di fare un nome o denunciare un concorso specifico. Oggi Giugni spiega a 'L'espresso' di non essere pentito di quella sortita. Da vecchio socialista si sforza di mantenere un ottimismo di principio, ma ammette: "Da quello che mi raccontano, temo che non sia cambiato proprio nulla". La razza barona infatti gode di un privilegio tra i privilegi: quello dell'immortalità accademica. Gli effetti concreti dell'intervento della magistratura sono limitati. Se non totalmente inutili: le sentenze non riescono a scalfire le poltrone. Ai tempi biblici della giustizia penale si sommano le controversie civili e amministrative, con ragnatele di ricorsi incrociati. Alla fine, persino il baronetto riesce quasi sempre a conservare il feudo ereditato dal padre in violazione d'ogni legge. Il caso più assurdo è quello del concorso di otorinolaringoiatria bandito nel 1988: ci sono state dieci sentenze, confermate pure dalla Suprema corte, centinaia di articoli di giornali, almeno quattro libri e una decina di interrogazioni parlamentari. Il professor Motta senior è stato condannato, eppure il professor Motta junior continua a detenere legalmente quel posto da 18 anni. Se l'immortalità è garantita anche nell'immoralità in caso di giudizi definitivi, facile immaginare il colpo di spugna che calerà con l'indulto sugli ultimi scandali universitari. Tutte le accuse di abuso in atti d'ufficio, il reato classico delle selezioni addomesticate, verranno spazzate via: resteranno solo le più gravi, quelle per le quali viene contestata anche l'associazione per delinquere, la corruzione o la concussione.
L'indulto potrebbe anche sbiancare l'inchiesta partita dall'università più antica, quella che ha preso di mira l'eccellenza dell'eccellenza: i vertici di medicina interna e gastroenterologia del Sant'Orsola di Bologna, che hanno partecipato alle ricerche dei vincitori dell'ultimo Nobel. Partendo da una storiaccia di viaggi premio e di presunte mazzette elargite da una casa farmaceutica, le Fiamme Gialle si sono imbattute nelle manovre per manipolare tutti i concorsi italiani del settore. Le intercettazioni disposte dal pm Enrico Cieri per un anno sono riuscite a cogliere in diretta la genesi delle gare, pilotate passo passo per garantire la vittoria dei prescelti. Prima si decideva la composizione delle giurie, poi ai commissari veniva inviato il 'santino' ossia il curriculum del predestinato.
A questo punto, il bando veniva disegnato su misura. Mister X aveva una specializzazione in microbiologia? Diventava requisito fondamentale. Eventuali sfidanti non graditi si facevano da parte, quasi sempre con le buone concordando una futura designazione. In caso di contrasti, interveniva il 'burattinaio': così veniva chiamato dagli intercettati Ettore Bartoli, 70 anni, cattedra a Novara ma potenti agganci nella capitale. Di lui i professori Corinaldesi e Vaira dicono che "è quello che ha sulle spalle tutta Italia", che "è molto ingranato a Roma", che "è come le vacche sacre", che "si fotte l'Italia". Gli inquirenti hanno incriminato 12 concorsi di medicina interna svolti a Bologna, Verona, Brescia. Ma ci sono cataste di indizi che riguardano altre regioni e che potrebbero dare vita ad altre inchieste. Nessun favore ai parenti: in questo circuito i candidati da promuovere hanno curriculum di rispetto. No, al Sant'Orsola la logica è diversa: si tratta di potenziare la squadra. Perché per una cattedra, come dichiara la preside Maria Paola Landini in un'intercettazione, "serve mezzo milione di euro" e non si può correre il rischio che finisca alla persona sbagliata. Aggiunge uno degli inquirenti: "Abbiamo ascoltato uno dei prof che motiva la necessità di imporre i suoi uomini per creare una 'squadra d'attacco' e ottenere così più fondi, pubblici e privati".
Insomma, un modello all'americana. Come ha spiegato la Landini, che ha rinunciato alle dimissioni dopo la solidarietà di tutti i professori: "C'è la convinzione diffusa che il concorso universitario corrisponda a una procedura di valutazione comparativa. Ma quello è solo uno dei criteri. Conta in ogni disciplina la valutazione dei docenti su quelli che a livello nazionale sono i giovani migliori". La preside davanti ai pm ha respinto le accuse e parlato di "coptazione concertata". Che per gli inquirenti si traduce comunque in una violazione della legge penale. Peccati veniali che possono venire risolti dal codice etico che Bologna ha appena introdotto? Il procuratore capo Enrico De Nicola non è d'accordo. Senza entrare nel merito delle indagini, si ancora ai principi di uguaglianza sanciti dalla Costituzione e dichiara a 'L'espresso': "Non credo nel ricorso ai codici etici senza sanzioni. Credo nella cultura delle istituzioni : qui si tratta di applicare la legge che parla di eguaglianza nella valutazione dei rapporti. Sono principi che non possono venire sostituiti dalla cultura individualistica e corporativistica". De Nicola, elogiando la qualità dell'università bolognese, ritiene che anche le deviazioni più piccole vadano perseguite: "Altrimenti si corre il rischio di arrivare a una degenerazione persino nei posti migliori, di trovarci con un ordinamento minato dal cancro dell'illegalità diffusa, che in quanto tale non si manifesta e diventa più pericolosa". Adesso l'istruttoria è praticamente chiusa: gli investigatori della Finanza stanno completando gli ultimi interrogatori, poi la Procura presenterà le richieste di giudizio. Gli indagati sono 70, inclusi luminari di livello internazionale: sono accusati di abuso in atti d'ufficio e falso ideologico. Nel loro rapporto le Fiamme Gialle ritengono che una decina di professori, i 'burattinai' che tiravano le fila delle commissioni, abbia formato una vera 'cupola' e ipotizzano per loro il reato di associazione per delinquere: una posizione che dovrà poi essere valutata dal pm. Intanto tutti gli indagati, a partire da Bartoli, hanno respinto le contestazioni.
Negli atti della Procura emiliana comincia a delinearsi un interesse delle grandi aziende a condizionare le cattedre. I fondi stanziati per la ricerca non possono essere usati per creare nuovi posti da ordinario, ma servono per quelli da ricercatore. E in questo modo pesano sugli organigrammi. L'industria ha bisogno di individuare gli 'opinion leader', i professori con maggiori potenzialità a cui affidare la sperimentazione e la pubblicizzazione dei prodotti: per questo il marchio di atenei d'eccellenza era fondamentale. Ma il futuro della spartizione rischia di essere sempre più condizionato dalle strategie di Big Pharma. Nell'inchiesta più sconvolgente, quella della Procura di Bari sulla 'cupola di cardiologia', emergono numerosi indizi dell'influenza dei capitali aziendali nel mercato delle nomine. Al telefono gli indagati parlano addirittura di pagamenti di un grande imprenditore per far promuovere il suo medico di fiducia. Ci sono poi le sponsorizzazioni alle associazione specialistiche, viste spesso dagli inquirenti come alter-ego della 'cupola'. Discutendo della disputa per alcuni uffici chiave, il primario pisano Mario Mariani annuncia al telefono che "la Società italiana di cardiologia ha creato la Fondazione... che è la più importante d'Italia perché raccoglie tutti i fondi. E m'ha designato presidente. Allora: Collegio presidente so' io, la Fondazione il presidente so' io. Ecco io lo stermino in tre minuti, perché in Italia non si muove foglia di cardiologia che io non voglia". Mariani, arrestato nel 2004, viene indicato dal gip come il dominus delle gare di cardiologia. Per inciso: la Fondazione in questione venne creata nel 2003 per volontà, tra gli altri, di Calisto Tanzi ed Emilio Gnutti.
Affari di cuore
Le intercettazioni sulla 'cupola di cardiologia' ricostruiscono un feuilleton spietato, in cui si ricorre a qualunque trucco per insediare parenti e accoliti. Nel mirino alcuni maestri della disciplina, registrati mentre pilotano cattedre e borse di studio da Brescia a Palermo. Il protagonista principale dei nastri è Paolo Rizzon, trevigiano diventato primario a Bari. Il mandato di cattura lo ritrae come un personaggio da commedia all'italiana. Viene ascoltato mentre trama per ottenere una composizione favorevole della commissione che dovrà valutare suo figlio. Poi concorda anche il tema dell'esame e lo segnala prontamente al rampollo. E quando scopre che l'erede non riesce a reperire nemmeno la documentazione indicata ("Ho guardato su Internet, non c'è niente"), si muove persino per procurargli il testo. E pensare che nello stesso periodo in un'intervista a 'Repubblica' il barone respingeva le critiche di nepotismo: ""Chi si lamenta spesso è poco bravo". La Rizzon story mostra risvolti boccacceschi, con triangoli sessuali e scambi di amanti e una terribile componente di vera mafia. Secondo gli atti, a un candidato 'da eliminare' che vuole presentare un ricorso, viene trasmesso questo messaggio: "Il professore ha fatto avere il tuo indirizzo a due mafiosi per farti dare una sonora bastonata". Un modo di dire? Non proprio. I due bravi di ispirazione manzoniana hanno nome, cognome e curriculum criminale pesante. Con loro il professore conduce numerosi affari, inclusi 'commerci di reperti archeologici'. Degno di nota, il dialogo tra l'illustre cardiologo e uno di questi figuri - da lui definito 'boss dei boss' - a cui chiede di recuperare l'auto rubata nel cortile della facoltà. Salvo scoprire il giorno dopo che l'utilitaria non era stata portata via: il docente si era semplicemente dimenticato di averla posteggiata altrove.
Bari offerta family
È come essere a un matrimonio, a una festa di famiglia: c'è il padre che ha appena messo a contratto la figlia, nella facoltà di cui è preside, senza alcun concorso (Vito e Giulio Maria Gallotta). C'è il vecchio professore di medicina (Riccardo Giorgino) che sta giudicando il cognato (Sebastio Perrini) di suo figlio Francesco. A uno stesso tavolo potrebbero sedersi otto invitati della stessa famiglia (Antonella, Fabrizio, Francesco Saverio, Giansiro, Gilberto, Lanfranco, Manuela e Stefania: tutti Massari), stesso cognome, stesso mestiere: professore universitario, facoltà di Economia. Il grande ricevimento si tiene all'Università di Bari, il luogo italiano per eccellenza dove il mondo accademico e gli affetti familiari tendono a fondersi. Nulla che sia stato dichiarato illegale. La Procura, però, vuol capire sin dove si sono spinti i sentimenti. E in un anno e mezzo ha aperto 18 inchieste. Gli otto Massari rappresentano per Bari (e probabilmente per l'Italia) un record assoluto. Seguono a ruota a quota sei i Dell'Atti e i Girone, capitanati dall'ex rettore Giovanni. Il proliferare di figli e dunque di cattedre ha provocato non pochi problemi alle casse dell'ateneo: stretta la cinghia, lo scorso anno non è stato bandito nemmeno un concorso da professore. Nel 2005 furono più di cento. E la parentopoli barese alimenta feroci sarcasmi. A Medicina, è scritto in alcune delle denunce anonime che riempiono le scrivanie della Procura, è scoppiato il 'caso Ottanta': è la somma di Antonio e Nicola Quaranta, padre e figlio. Il primo, eletto preside, ha lasciato due mesi fa al secondo (34 anni appena) la direzione della scuola di specializzazione. Era l'unico candidato. Tradizione questa assai diffusa: solo alla meta anche Pierluigi Passaro, fresco di nomina a ricercatore in gestione delle imprese. Il concorso era stato bandito dalla facoltà nella quale insegna suo padre, Marcello.
Prova statistica
Di nuclei familiari pullulano anche gli atenei siciliani, ma parentopoli non è solo una questione meridionale. Un professore di economia agraria, emigrato in California dopo avere tentato invano di vincere una cattedra in patria, si è tolto il gusto di una vendetta da Edmond Dantès. Usando la scienza: Quintino Paris con una lunga analisi statistica ha dimostrato come le nomine dei commissari fossero anomale. Il suo esposto è diventato la mappa con cui gli investigatori di Firenze si sono mossi negli atenei. Trovare la rotta è facile: basta seguire i cognomi. Così Nicola Marinelli, figlio del rettore, vince il concorso per un posto da esperto di economia agraria nella facoltà di medicina. Economia agraria a medicina? Che c'azzecca? Per il preside Gianfranco Sensini "è una scelta dettata da necessità di interdisciplinarietà". E quando Sensini è stato poi accusato dai pm di Bari per un altro concorso, il rettore-padre gli ha rinnovato "piena stima". Quanto all'indagine penale, il preside ha detto di essere tranquillo: "Mi metto a disposizione della magistratura". E l'inchiesta sulla 'cupola di economia agraria'? Di stirpe in stirpe, si è imbattuta in Mario Prestamburgo, ex sottosegretario del governo Dini: lui è ordinario a Trieste, la figlia non lontano. Le Fiamme Gialle hanno sostenuto che si muovesse assieme a una vera e propria corte, con due vassalli più fidati e altri tre collaboratori: insomma, un vero barone. Una ricostruzione negata dall'ex parlamentare, che ha querelato gli accusatori.
Il magnifico dei magnifici
La Toscana è terra di proteste dure. E di tradizioni familiari. Martedì 16 con un gesto clamoroso il rettore Marinelli ha annullato l'inaugurazione dell'anno accademico contro i tagli del governo. Ai tempi della Moratti a guidare la rivolta c'era il suo collega di Siena. Anche lui con un figliolo in ateneo. Una vicenda che Piero Tosi, presidente dei rettori italiani, ha pagato a caro prezzo: un anno fa il gip lo ha sospeso dall'incarico. Scrive il giudice Francesco Bagnai: "Mentre Tosi doveva decidere se rispettare una legge dello Stato oppure violarla e contribuire così con un atto illegittimo a nominare il professor Caporossi a un importante incarico, quest'ultimo intanto si adoperava affinché il figlio del rettore salisse in cattedra". E quando la grana rischia di scoppiare, si muove pure il direttore amministrativo dell'ateneo senese, "non tanto per convincere l'altro candidato a non presentarsi al concorso a cui partecipava Gian Marco Tosi, quanto piùttosto per spingerlo a non presentare denunce". Ovviamente, oltre alle cattedre anche i panni sporchi devono restare in famiglia. E i meriti? Sono un'opinione. Che può venire travolta dal volere della 'cupola' anche nelle gare per i centri d'eccellenza, come quella del Sant'Anna di Pisa. Commentava il solito primario Rizzon: "Qua è dura l'aria, perché noi stiamo bocciando il candidato loro che è il meglio...". Lo stesso docente che magnificava la sua capacità di selezione mirata: "Fare giudizi in modo tale da fregarne tutti tranne uno o due non è facile. Io però ne sto uscendo fuori con una bella lingua italiana. Mi sto divertendo...".