L'Italia manda alla sbarra la lotta dei palestinesi: "Ma questo processo è un oltraggio al diritto alla difesa"

Prima udienza all'Aquila per Ali, Anan e Manfous, accusati di terrorismo in Cisgiordania. Ma le prove le ha raccolte lo Shin Bet. L'avvocato: "Sono stati dichiarati ammissibili gli interrogatori fatti da Israele nelle carceri con annesse torture e sevizie"

Il 2 aprile, presso la corte di Assise dell’Aquila, si è tenuta la prima l’udienza per il processo per Ali Irar, Mansour Dogmosh e Anan Yaeesh. I tre cittadini palestinesi sono accusati di terrorismo, ai sensi dell’articolo 270 bis, per il presunto sostegno alla resistenza contro l’occupazione militare sionista a Tulkarem in Cisgiordania. Fuori dal tribunale, qualche decina di solidali chiacchiera tra interventi e canti. «La resistenza non si processa» si legge scritto su uno striscione. 

 

In vista dell’udienza, la difesa aveva preparato tre liste con un totale di 47 testimoni e consulenti, tra cui Francesca Albanese, la relatrice speciale delle Nazioni Unite per la Palestina. Le liste hanno lo scopo di far comprendere il contesto sociopolitico e di occupazione in cui Anan, Ali e Mansour hanno agito. Solo in tre sono stati accettati dal Giudice dell’udienza preliminare, danneggiando così la difesa e affidando la ricostruzione dei fatti a una sola fonte. 

 

Il processo contro Ali, Anan e Manfous non è un processo contro tre cittadini palestinesi, ma contro l’esercizio del diritto all’autodeterminazione di un popolo contro una forza occupante che non può essere ridotto a terrorismo. Secondo il comitato “Free Anan", le decisioni prese durante la prima udienza compromettono profondamente il diritto alla difesa e a un processo equo, «richiamando scenari di giustizia sommaria». Il fatto più grave per quanto riguarda l’udienza del 2 aprile è sicuramente la riammissione di 15 interrogatori a prigionieri palestinesi da parte della polizia e dei servizi segreti israeliani, lo Shin Bet. 

 

«È un oltraggio al diritto alla difesa. Sono stati dichiarati ammissibili gli interrogatori fatti a palestinesi dall’entità sionista, la metà di questi interrogatori fatti da Israele nelle carceri sono state condotte in assenza di un avvocato e con annesse torture e sevizie. Come fanno a essere prove all'interno di un processo?» ha dichiarato, a fine udienza, l’avvocato Flavio Rossi Albertini. Legittimare gli interrogatori significa legittimare l’occupazione sionista, i crimini di guerra commessi da Israele e il trattamento degli interrogati e prigionieri, denunciato a più riprese da Amnesty International, Human Rights Watch e Addameer. Infatti, lo scorso febbraio lo stesso giudice aveva ritenuto inammissibili quelli stessi interrogatori. Cosa è cambiato? La stessa Corte di appello dell’Aquila, nel 2024, aveva rifiutato l’estradizione di Anan in Israele perché lo considerava a rischio di tortura. In altre parole, si è creato un pericoloso precedente per cui le prove per un processo in uno Stato di diritto possono derivare da crimini di guerra. Di questo dobbiamo continuare a sorprenderci. 

 

Durante il processo è stato anche fatto notare dalla difesa che si traduceva puntualmente “uccisi” con “morti” che, secondo il giudice, «è la stessa cosa». Ma non è la stessa cosa, e questo tipo di erroneità nella traduzione non può essere soltanto una svista. Durante il presidio la rapper trans-sovversiva Anafem ha preso il microfono e con una Kefiah sulle spalle ha recitato: «Ogni rima qua è uno sputo a chi vorrebbe in muto / Il suono della resistenza che a noi ci ha cresciuto / E ci mantiene a terra però con la testa su uno / Spazio tempo dove il sol dell’avvenire è già avvenuto». La seconda udienza è prevista il 16 aprile. A Milano il 12 aprile si è tenuta la manifestazione nazionale per la Palestina che chiede a gran voce giustizia per Anan, Ali e Mansour.

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