Borsa o fondi? Che differenza c'è tra azioni e obbligazioni? E dove conviene mettere il Tfr? Di fronte a decisioni importanti gli italiani sono quasi analfabeti

Nei primi sei mesi del 2007 i lavoratori dipendenti del settore privato hanno dovuto scegliere dove allocare i contributi futuri al fondo Trattamento di Fine Rapporto (Tfr). È stato un passo importante. Per la prima volta i lavoratori sono stati chiamati a decidere su una parte, esigua ma comunque significativa, della propria pensione. Come l'esperienza degli altri paesi suggerisce, l'avvio della previdenza complementare è solo il primo passo verso un sistema in cui ogni lavoratore sarà in controllo del proprio futuro. Ma sono gli italiani pronti a questo passo?

Per pianificare il proprio futuro non è necessario avere un dottorato in finanza, ma è necessario avere alcune cognizioni di base su come funziona il mondo finanziario. È necessario capire, in primo luogo, che non tutti gli investimenti hanno lo stesso rischio; che in genere (ma non sempre) ad un rischio maggiore si associa un rendimento maggiore. Bisogna inoltre essere consapevoli del fatto che piccole differenze nel tasso di rendimento fanno un enorme differenza su un orizzonte temporale lungo, quale quello di un lavoratore che decide riguardo alla propria pensione futura. Nell'arco di un anno, la differenza tra un rendimento del 5 per cento e del 6 per cento non sembra così grande, ma nell'arco di 30 anni, chi ha investito in un fondo che rende il 6 invece del 5 si ritroverà del 30 per cento più ricco.

Per testare la conoscenza dei lavoratori italiani alla fine del semestre, AnimaFinLab ha commissionato ad Eurisko un sondaggio su di un campione rappresentativo di lavoratori dipendenti del settore privato. In questo sondaggio abbiamo inserito alcuni semplicissimi test di cultura finanziaria. La prima domanda riguarda la differenza tra azioni ed obbligazioni. Abbiamo chiesto all'intervistato se sono le obbligazioni che, a differenza delle azioni, attribuiscono il diritto a ricevere un interesse predeterminato sulla somma investita (la definizione corretta) oppure se sono le azioni che, a differenza delle obbligazioni, attribuiscono il diritto a ricevere un interesse predeterminato sulla somma investita. Per non influenzare le risposte il sondaggio telefonico alternava l'ordine con cui le due opzioni erano presentate agli intervistati.

Quasi quattro rispondenti su dieci (il 38 per cento del campione) non sanno rispondere a questa domanda e un altro 14 per cento risponde in maniera sbagliata. Quindi più di metà degli intervistati non conosce la principale differenza tra i due titoli di investimento più semplici. Non stiamo parlando di complessi prodotti strutturati, che le nostre banche hanno venduto in maniera massiccia a clienti spesso inconsapevoli, ma di azioni ed obbligazioni. Non sorprende il fatto che la percentuale di persone che non sanno rispondere a questa domanda sia più alta (70 per cento) tra i lavoratori in possesso della sola licenza di scuola media inferiore. Quello che stupisce è che anche un terzo dei laureati, l'elite intellettuale del Paese, non sa rispondere (22 per cento) o risponde in maniera sbagliata (10 per cento). Si potrebbe sperare che questi risultati siano dovuti alla natura della domanda: più teorica che pratica. Alla fine non importa se il lavoratore conosce la definizione, è più importante che sappia che un investimento in un'azione comporta un rischio e (in media) un rendimento maggiori di un investimento in obbligazioni.

Per questo motivo abbiamo chiesto agli intervistati se l'acquisto di azioni di una singola impresa offra un rendimento meno rischioso che l'acquisto di un fondo pensione o di un fondo comune di investimento. L'affermazione è chiaramente falsa. La funzione dei fondi è proprio quella di ridurre il rischio dell'investimento in un singolo titolo azionario. Comprando tanti titoli, i fondi diversificano una parte del rischio insito in ogni investimento azionario. Questa differenza era cruciale per la scelta di molti lavoratori che dovevano decidere se lasciare il proprio Tfr nella propria impresa o investirlo in fondi pensione. Purtroppo le risposte anche su questo fronte non sono rassicuranti. Il 27 per cento degli intervistati non sa rispondere alla domanda e il 14 risponde in modo errato. La percentuale rimane elevata anche tra i laureati dove in totale il 28 per cento non riesce a fornire la risposta esatta.

Ancora più allarmanti sono le risposte che riguardano l'interesse composto. La domanda è molto semplice. Si chiede all'intervistato quanti soldi avrà dopo 5 anni se lascia sul conto corrente 100 euro con un tasso di interesse del 2 per cento all'anno. Le risposte possibili sono 'più di 102 euro (la risposta esatta)', 'esattamente 102 euro', 'meno di 102 euro', e 'Non sa indicare'. Solo il 38 per cento degli intervistati è in grado di dare la risposta esatta. Sorprendentemente la maggioranza relativa degli intervistati (41 per cento) indica meno di 102 euro. Forse, implicitamente, pensava alle commissioni che in tempi recenti hanno azzerato (se non portato in territorio negativo) il rendimento effettivo dei depositi bancari. Tuttavia chi ritiene che il rendimento in 5 anni sia inferiore al 2 per cento non è tra coloro che manifestano maggiore sfiducia nei confronti delle banche, il che suggerisce che si tratta di un problema di informazione, più che di scetticismo rispetto alle nostre banche.

Per consolarci di fronte a questa bassa cultura finanziaria degli italiani ci verrebbe la tentazione di pensare che si tratta solo di un questionario a cui gli intervistati non hanno dato molto peso. Quando sono confrontati con scelte reali ci piacerebbe pensare - i lavoratori dimostrano tutta la loro astuzia finanziaria. Purtroppo i dati non sembrano confortare questa tesi. Come si vede dall'ultima colonna della Tabella 1, esiste una forte correlazione tra la cultura finanziaria e le scelte operate. Il 68 per cento di chi ha scelto i fondi sa che i fondi sono meno rischiosi di un'azione singola, contro il 57 per cento di chi ha preferito lasciare il Tfr in azienda. Anche controllando per altri fattori (come la dimensione dell'impresa presso cui si lavora e il livello di istruzione), la consapevolezza del fatto che i fondi sono meno rischiosi contribuisce significativamente a spiegare la scelta effettuata dai lavoratori lo scorso giugno. A parità di altre condizioni (tra cui il livello di istruzione), un lavoratore che sa rispondere in modo corretto alla seconda domanda ha il 30 per cento in più di probabilità di optare per un fondo pensione. Questo può fare la differenza tra una vecchiaia serena e una in ristrettezze economiche.

È difficile esagerare l'importanza della scelta pensionistica. Con un'inflazione attesa al 2 per cento, il Tfr investito in azienda ha un rendimento nominale del 3 per cento. Il rendimento atteso di un tipico fondo azionario è, invece, tra il 6 e il 7 per cento. Per un lavoratore metalmeccanico con uno stipendio di 24 mila euro, il Tfr lasciato in azienda porta a maturare una liquidazione di 117 mila euro, mentre investito in un fondo azionario offrirebbe un capitale di 215 mila euro. Certo la seconda strategia è più rischiosa, ma su un orizzonte di 30 anni molte delle fluttuazioni temporanee si compensano, e rimane la differenza enorme nei rendimenti delle due scelte di investimenti.

Di chi è la colpa di questa bassa cultura finanziaria? Innanzitutto del governo, che ha promosso una riforma senza mettere i lavoratori in condizione di poter decidere in modo informato. E la scelta di destinare all'Inps il Tfr lasciato in aziende al di sopra dei 50 addetti fa sorgere il sospetto che questa mancanza di una seria campagna di informazione sia stato un atto doloso e non meramente colposo. In secondo luogo, la colpa è di importanti spezzoni del sindacato, che, anziché favorire i lavoratori, per motivi ideologici hanno boicottato questa riforma. Basta fare una ricerca su Google sul rendimento reale del Tfr per trovare siti (come www.unicobas.it/tfr_ confronto.pdf) ideologicamente contrari ad ogni forma di pensione privata. Gli industriali non hanno certo fatto propaganda per i fondi pensione. Nelle imprese al di sotto dei 50 dipendenti, il Tfr trasferito ai fondi veniva sottratto al finanziamento d'impresa.

Ma la colpa maggiore è della scuola, che non prepara assolutamente i cittadini alle importanti scelte che devono fare nella vita. È davvero allarmante che soltanto il 20 per cento dei laureati abbia risposto correttamente a tutte e tre le nostre tre banali domande. La nostra scuola insegna trigonometria, geografia astronomica, applicazioni tecniche, educazione civica (per non parlare di latino e greco), ma non prepara gli studenti alle scelte più importanti della loro vita. È davvero venuto il momento di cambiare... Sempre che i pregiudizi ideologici e gli interessi di parte non puntino proprio sull'ignoranza altrui.