Per uscire dalla crisi il fisco deve detassare i redditi personali e rivedere le imposte sugli immobili

Dal 1995 al 2008, Finlandia, Spagna, Svezia, Regno Unito e Stati Uniti crescevano il doppio dell'Italia. Mentre questi paesi potranno raddoppiare il proprio tenore di vita in 25 anni, gli italiani dovranno aspettare un secolo. Ed è un secolo che non abbiamo. Con le straordinarie tensioni sul nostro debito pubblico dobbiamo tornare a scommettere sulle parti migliori di questo paese. Possiamo utilizzare il più forte sistema di incentivi a disposizione degli Stati moderni: il fisco. Non è difficile farlo se detassiamo il reddito delle persone senza aumentare il debito pubblico. Per farlo possiamo rivedere le imposte sugli immobili.

Secondo l'Ocse, nel 2009 il nostro Paese è diventato il primatista per gettito fiscale superando Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna e Usa: più del 43 per cento del reddito nazionale finiva nelle casse statali. Gli italiani conserverebbero il primato se anche levassimo i contributi sociali.
La vera peculiarità italiana è però la distribuzione del carico fiscale: l'Italia tassa maggiormente imprese e lavoratori. Nel 2009 il gettito proveniente dalla tassazione di individui e imprese era di poco superiore al 14 per cento del Pil, ancora una volta la percentuale più alta di Francia, Germania, Gran Bretagna, Spagna e Usa.

Ma se dobbiamo ricominciare a crescere, il fisco deve tagliare le tasse su chi lavora. Partiamo da un numero che sia significativo in questo momento: 15 miliardi, un punto di Pil. Se detassiamo il reddito personale per 15 miliardi di euro, potremmo pagare un assegno di 550 euro all'anno a ciascuno dei 23 milioni di lavoratori e dei 4 milioni di titolari di pensione minima di questo paese. Naturalmente questa detassazione potrebbe essere progressiva, ma 550 euro è il valore medio per farsi un'idea. Ma non possiamo permetterci di produrre altro debito pubblico: l'Italia di oggi ha scelto di tassare le proprietà immobiliari meno delle principali economie ricche del mondo. Il gettito italiano derivato dalla tassazione immobiliare è poco più del 2 per cento di Pil, contro una media maggiore (3 per cento) in Francia, Gran Bretagna, Spagna e Usa.

Esistono in questo Paese 32 milioni di abitazioni residenziali con 20 milioni di pertinenze. Se chiedessimo un contributo medio di 40 euro al mese per ognuna delle abitazioni di questo Paese, avremmo le risorse per tagliare le imposte sul reddito a tutti i contribuenti. Facciamo qualche esempio. Con questa riforma fiscale, una famiglia italiana in cui entrambi i coniugi lavorano e proprietaria di un'abitazione media (114 mq e circa 200 mila euro di valore secondo l'Agenzia del Territorio) pagherebbe una tassa immobiliare di 480 euro e riceverebbe un sostegno al reddito da lavoro per 1.100 euro, cioè un trasferimento netto di più di 600 euro all'anno. Un pensionato con la "minima" e proprietario dell'abitazione dove vive riceverebbe un sostegno al reddito per qualche centinaio di euro, a seconda del valore della sua abitazione.

Questa riforma si presta a una dettagliata modulazione che tenga conto del valore dell'abitazione, del numero di abitazioni possedute e del fatto che siano o meno messe in locazione. Ma oltre i dettagli c'è un'osservazione centrale: in un Paese fermo non possiamo aspettare ancora di scegliere di stare dalla parte di lavoratori e imprese che, contro tutto ma nell'interesse di tutti, lavorano ogni giorno per rimetterci in moto.

Collegio Carlo Alberto e Sais - Johns Hopkins University, filippo.taddei@carloalberto.org

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