Sono famosissime: Moody's, Standard&Poors e Fitch. Con le loro pagelle sulle economie, possono far crollare un Paese. Ma la Corte dei Conti dice che sull'Italia hanno dato giudizi sbagliati e non disinteressati. Il risarcimento richiesto? Enorme: 120 miliardi di euro
di Domenico Lusi
27 giugno 2012
La cifra lascia senza fiato: 120 miliardi di euro. È il danno erariale che la Corte dei Conti intende contestare a Standard&Poor's, Moody's e Fitch per i rapporti, ritenuti "avventati", diffusi da maggio a novembre del 2011 sul debito pubblico italiano. Più di due finanziarie, più del piano per salvare le banche spagnole varato qualche settimana fa dall'Europa. Se mai si potesse recuperare un importo del genere, sarebbe una vera manna per il viceministro dell'Economia Vittorio Grilli che potrebbe ripagare da un giorno all'altro il 6 per cento del debito.
Sono mesi che alcune procure della Repubblica e la magistratura contabile stanno indagando sul ruolo delle "Big Three", le tre sorelle del rating mondiale, negli attacchi speculativi all'Italia. Che un anno fa, tra l'altro, portarono alla caduta di Berlusconi e all'arrivo dei tecnici al governo.
E proprio in questi giorni, con la speculazione internazionale ancora all'attacco, le indagini stanno arrivando alle prime conclusioni. Entro luglio la Procura di Trani chiederà il rinvio a giudizio di cinque analisti di S&P, tra cui l'ex presidente Deven Sharma, per manipolazione del mercato. Nel frattempo vanno avanti gli accertamenti su Moody's e Fitch, anch'essi in dirittura d'arrivo. Il sospetto dei magistrati è che gli interventi delle "tre sorelle" avessero un obiettivo preciso: indebolire il debito sovrano italiano per mettere sotto scacco la moneta unica.
L'offensiva ebbe inizio un anno fa quando sull'Italia si scatenò una vera e propria tempesta finanziaria. A partire da maggio, prima Moody's e poi Standard&Poor's diffusero, a mercati aperti, giudizi negativi sul debito pubblico italiano e sulla manovra di finanza pubblica ancora in discussione, rivedendo l'outlook sul rating da stabile a negativo.
A giugno lo spread tra Btp e Bund, il valore che misura il rischio finanziario dell'investimento nei nostri titoli di Stato, salì a 201 punti base per arrivare a 306 punti il 12 luglio. "La crisi di fiducia che si è abbattuta sui mercati finanziari colpisce anche l'Italia, ma la minaccia riguarda tutti, riguarda la moneta comune", dichiarò l'allora premier Silvio Berlusconi, "la crisi ci spinge ad accelerare il processo di correzione dei conti pubblici per conseguire il pareggio di bilancio nel 2014".
Fu varata una finanziaria da 47 miliardi, ma non bastò. A Ferragosto il governo fu costretto a ricorrere a una manovra bis da 45,5 miliardi. Provvedimenti che ancora pesano sulle spalle degli italiani, ma non sufficienti a rassicurare i mercati. Tra settembre e ottobre, una dopo l'altra, S&P, Moody's e Fitch declassarono l'Italia. Il differenziale Btp-Bund salì alle stelle: oltre i 350 punti base a settembre, oltre quota 400 punti in ottobre, a 570 punti ai primi di novembre. Berlusconi rimise il mandato e Mario Monti varò un altro intervento correttivo da 25 miliardi. Dopo qualche tempo, a febbraio, lo spread scese sotto quota 400.
Sui giudizi diffusi dalle agenzie di rating da maggio 2011 a gennaio di quest'anno ci sono tre diverse inchieste penali. A Roma e a Milano, dove i pm procedono con i piedi di piombo. E a Trani, la prima a muoversi. Alla fine di maggio il procuratore capo Carlo Maria Capristo e il pm Michele Ruggiero hanno chiuso l'indagine per manipolazione del mercato pluriaggravata e continuata su Standard&Poor's. Il fascicolo è stato trasmesso alla Consob perché valuti l'opportunità di interdire le attività dell'agenzia in Italia.
Tra gli indagati, per favoreggiamento, c'è anche l'ad per l'Italia di S&P, Maria Pierdicchi, della quale si occuperà per competenza Milano. Secondo l'accusa, S&P avrebbe realizzato "una serie di artifici concretamente idonei a provocare una destabilizzazione dell'immagine, prestigio e affidamento creditizio dell'Italia sui mercati finanziari nazionali ed internazionali, una sensibile alterazione del valore dei titoli di stato italiani e un indebolimento dell'euro", con l'aggravante di avere causato al Paese "un danno patrimoniale di rilevantissima gravità".
L'agenzia di rating avrebbe fornito ai mercati, e quindi agli investitori, un'informazione "tendenziosa, distorta e falsata" sulle iniziative di risanamento e rilancio economico del governo italiano, per disincentivare l'acquisto di titoli e deprezzarne il valore. "Accuse senza fondamento", secondo S&P. Contestazioni simili sono in arrivo anche per le altre due "sorelle": entro fine mese il pm Ruggiero concluderà le indagini per aggiotaggio e manipolazione del mercato aperte su Moody's e Fitch.
Le Big Three sono da tempo anche al centro di un'inchiesta per danno erariale della Corte dei Conti che ricalca per filo e per segno quella dei pm di Trani. Con i quali c'è stato in questi mesi un costante scambio di informazioni. Ad annunciare l'apertura dell'indagine era stato, a gennaio, alla lettura della relazione annuale sulla giustizia contabile, il procuratore regionale del Lazio della Corte dei Conti, Angelo Raffaele De Dominicis. "La Procura", spiegò, "non può ignorare i pericoli insiti in giudizi di rating palesemente ingiusti e non obiettivi. I recenti giudizi che hanno declassato, sul piano economico, la solvibilità dell'Italia hanno prodotto una riduzione della spesa pubblica, un inasprimento della leva tributaria e una rincorsa alle privatizzazioni del patrimonio pubblico degli italiani, con gravissimi effetti recessivi".
In questi mesi gli accertamenti sono andati avanti e gli inquirenti sono giunti a una conclusione: S&P, Moody's e Fitch hanno, in modo diverso, contribuito a diffondere notizie avventate che hanno arrecato all'Italia un ingente pregiudizio patrimoniale. Quantificato dalla magistratura contabile nella cifra stratosferica di 120 miliardi, il valore delle manovre che lo Stato italiano ha dovuto approvare da agosto a novembre 2011 a causa delle turbolenze sui mercati e dell'innalzamento dei tassi di interesse corrisposti sui titoli di Stato. Con un effetto negativo in aggiunta: gli inasprimenti fiscali e l'aumento dei tassi d'interesse hanno contribuito a raffreddare l'economia italiana che era già avviata verso la recessione.
Ma c'è di più. Dalle indagini delegate alle Fiamme Gialle e dalle audizioni dei diretti interessati è emerso che i giudizi delle agenzie di rating non si basano solo su oggettivi parametri economico-finanziari, ma anche su profili politici e di immagine dell'Italia. Scarsissimo rilievo ha, invece, il dato patrimoniale, il valore dei beni di proprietà dello Stato che, secondo la magistratura contabile, dovrebbe pesare molto di più, specie per un Paese come il nostro.
S&P, Moody's e Fitch si sono difese sostenendo che le loro valutazioni discendono da regolari contratti stipulati con organi di governo italiani. In particolare, è venuto fuori che, almeno dal 2003 e sicuramente fino al 2011, il ministero dell'Economia ha aggiudicato di volta in volta a una delle tre agenzie, con gara "semipubblica", contratti da 200 mila euro l'anno per fornire i loro outlook, per un totale di 1,8 milioni.
Ma perché le agenzie uscite perdenti dalla gara del Mef hanno comunque continuato a diffondere giudizi sul nostro debito? "Per una questione di serietà. Volevamo dimostrare che abbiamo una competenza settoriale, a prescindere dalla stipula di un contratto", si sono giustificate le "Big Three". La spiegazione non ha soddisfatto gli inquirenti. Convinti che le agenzie avessero in realtà un mandato per attaccare il debito sovrano dell'Italia e di altri Stati dell'Unione europea, ad eccezione di quello tedesco, con l'obiettivo di indebolire l'euro.
Del ruolo delle agenzie di rating si discute da tempo. In gennaio lo stesso Monti, dopo la decisione di S&P di declassare il debito dell'Italia e di altri Paesi, parlò, secondo fonti ufficiose, di "attacco all'Europa". Il governatore della Bce, Mario Draghi, ricordò il "grave danno di immagine e reputazione subito durante la crisi dalle agenzie di rating", invitando a "imparare a vivere senza di loro o quanto meno a fare meno affidamento sui loro giudizi". Ancora più esplicito il commissario europeo all'Economia, Olli Rehn: "Le agenzie non sono istituti di ricerca imparziali. Hanno i loro interessi e svolgono il loro ruolo molto in linea con il capitalismo finanziario americano. Qualcuno ha fatto soldi con la destabilizzazione".
Ma allora chi c'è dietro le "tre sorelle"? Chi ne orienta le mosse? Il sospetto, che nessuno, neanche chi indaga sulla vicenda, osa avanzare apertamente, è evidente: le agenzie non sarebbero affatto indipendenti, ma risponderebbero agli interessi degli investitori che le finanziano, gli stessi che in questi mesi hanno tratto vantaggio dalla speculazione sul debito pubblico italiano e di altri Paesi europei e dal deprezzamento dell'euro. Accuse assai difficili da dimostrare. Gli stessi inquirenti ne sono consapevoli. E tuttavia rivendicano con orgoglio il fatto che per la prima volta la magistratura di uno Stato europeo prende le vesti di difensore della finanza pubblica nazionale.
E c'è un'altra domanda rimasta senza risposta: per quale ragione il Tesoro, per anni, ha continuato a stipulare onerosi contratti con le agenzie di rating in cambio di giudizi spesso negativi? "La posta vera di questa partita", confida una fonte vicina al dossier, "è la dismissione del patrimonio pubblico. C'è chi vuole la svendita dei gioielli di Stato. Se costano meno, chi vuole comprare è avvantaggiato". Parole pronunciate in tempi non sospetti, che oggi appaiono quanto mai profetiche. A un anno esatto dai fatti oggetto d'indagine l'Italia è di nuovo nell'occhio del ciclone. Il 12 giugno lo spread è tornato a toccare quota 490 punti. Pochi giorni dopo Monti ha annunciato l'imminente dismissione di buona parte del patrimonio pubblico.