L'addio di Bernabè, il downgrade di Moody's, l'acquisto di Telefonica. L'ex monopolista sta per passare di mano. Ma i suoi servizi, da internet alla telefonia, non sono competivi

Telecom, tra spagnoli e rating ecco in che stato è l'azienda

L’Internet-lentezza italiana è imbarazzante: la velocità media di download (cioè della ricezione dei dati) è un terzo di quella europea e siamo alle spalle di Cipro e Grecia. Non è tutta colpa di Telecom Italia, ma l’ex monopolista, che è il gestore dell’unica struttura nazionale di rete fissa (con la sola eccezione di Fastweb) è l’imputato numero uno.

Il recente sondaggio di “Altroconsumo” su pregi e difetti dei provider giudicati dagli utenti non è esaltante, per Telecom. Sulla valutazione del servizio Internet - rapidità e stabilità di connessione, rapporto tra qualità e prezzo - Telecom Italia prende il voto di 60 su 100, come Tiscali e Wind/Infostrada, ma è strabattuta dalla piccola Ngi (82) e da Fastweb (69). Se poi si considera il servizio combinato Internet/telefonia fissa, davanti a Telecom (che prende 61) sono in tre, con Fastweb in vetta (con 69 in pagella); nel giudizio del “servizio clienti”, davanti a Telecom sono addirittura in quattro. Non basta. La pagella della società guidata fino a pochi giorni da Franco Bernabé non brilla neppure alla voce “libertà di concorrenza”. Un ex monopolista, è naturale, fa di tutto per ostacolare i nuovi arrivati, ma forse il catenaccio difensivo è stato interpretato con eccessiva veemenza, come testimonia la multa milionaria comminata qualche mese fa dall’Antitrust.

Mentre continuano le polemiche per il passaggio di Telecom Italia nelle mani di Telefonica e si discute sullo scorporo della rete, viene insomma da chiedersi che tipo di “bottino” starebbe per cadere nelle mani degli iberici conquistatori.
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L’analisi non può che partire dal tema più controverso, quello dell’italica arretratezza sul versante della banda larga. Che tanto larga non è, ma soprattutto è assai lenta. Maurizio Dècina del Politecnico di Milano, grande esperto del settore, aveva lanciato l’allarme nel giugno scorso, due mesi prima di dare le dimissioni dall’Agcom, l’autorità garante delle comunicazioni: «L’Italia è in forte ritardo per la velocità reale su Internet», faceva notare esibendo i dati di Net Index, osservatorio che colloca il Bel Paese intorno alla novantesima posizione a livello mondiale e ventisettisesimo in Europa.

Il parametro fondamentale per valutare la rapidità del Web è quello dei Megabit che si scaricano in un secondo (Mbps). In Italia la velocità media è di 6,7 Mbps: siamo lontanissimi dai 21 della vicina Francia. Una situazione che inesorabilmente vede come imputata Telecom Italia (solo due milioni di case, ed esclusivamente nelle grandi aree urbane, sono servite dalla rete in fibra ottica impiantata da Fastweb). Ancora fino all’anno scorso Telecom non raggiungeva nessun italiano con un’offerta di banda larga di nuova generazione (in fibra ottica), contro il 35 per cento servito in patria da Telefonica, sostengono le stime di Nomura citate in un rapporto della Commissione europea. Telecom adesso copre 30 città con la nuova rete, ma la partenza a scoppio ritardato ha tolto opportunità di crescita alla rete italiana. E l’Italia è il Paese in cui l’incumbent (cioè il vecchio monopolista) detiene ancora la quota di mercato più alta nei servizi a banda larga.

Un dato che riflette anche la modesta propensione agli investimenti da parte dei concorrenti, quasi tutti, finora, dipendenti dalla rete Telecom. Adesso, mentre sui futuri investimenti dell’ex monopolista c’è un grosso punto interrogativo, Vodafone sembra pronto a metter mano al portafoglio. «Quando ha incassato i soldi dalla cessione di Verizon, il colosso britannico ha annunciato che punterà 6 miliardi di sterline in tre anni nell’infrastruttura di rete e una parte saranno sicuramente investiti in Italia», conferma Francesco Previtera, capo della ricerca di Banca Akros.

La diffusione della banda larga ricorda la storia del cane che si morde la coda. Non si sviluppano le offerte più costose ma che offrono maggiore velocità di download, anche perché in molte aree del Paese non c’è una gran richiesta di questo genere di servizi, dicono alcuni osservatori. Per Stefano da Empoli, presidente di I-Com, l’Istituto per la competitività, «È l’offerta a creare il mercato e un miglioramento della qualità dei servizi può allargarne notevolmente la richiesta. Penso alla potenziale, grande diffusione dell’e-government, con cui gestire su Internet molte incombenze burocratiche». Secondo da Empoli, Telecom Italia si è arroccata sullo storico terreno della telefonia fissa classica:«È una sitiuazione paradossale perché, nonostante la scarsa concorrenza, i prezzi al pubblico sono bassi e la remunerazione per i fornitori di servizi assai scarsa».

Peraltro, l’Antitrust accusa Telecom Italia di aver ostacolato gli utenti che volevano attivare una linea fissa di un concorrente. E, nel maggio scorso, le ha rifilato una multa di oltre cento milioni di euro (Telecom ha fatto ricorso al Tar), per fatti avvenuti dal 2009 al 2011. In seguito, Vodafone ha aperto una causa civile contro l’ex compagnia telefonica pubblica, con la richiesta di danni record di un miliardo di euro, per “abuso di posizione dominante”. Il motivo? «Una serie di condotte abusive, poste in essere da Telecom tra il 2008 e il 2013, che avrebbero rallentato lo sviluppo della concorrenza nei mercati di rete fissa». I fatti sono gli stessi contestati dall’Antitrust, ma Vodafone ritiene che l’arco temporale sia più ampio.

Per capire l’accusa è opportuno fare una premesssa: Telecom Italia, in quanto gestore della rete fissa nazionale, attiva tecnicamente i servizi (telefono e Adsl) anche degli utenti di altri operatori. Secondo l’Autorità garante della concorrenza, tra il 2009 e il 2011 Telecom Italia avrebbe rifiutato 5 milioni di attivazioni dei concorrenti su un totale compreso tra i 10 e i 15 milioni. E lo avrebbe fatto non per le inefficienze degli altri operatori ma sulla base di «specifiche scelte strutturali, organizzative e procedurali adottate da Telecom nella gestione del processo di fornitura del servizio», scrive l’Antitrust. Questi rifiuti di attivazione sono annunciati con un messaggio mutuato dal linguaggio della boxe. Telecom avvisa l’operatore (che dovrebbe strappargli il cliente) con uno stringato comunicato: «K.O. Tecnico». Di fatto significa: «Non possiamo attivare l’utente per problemi tecnici». E l’operatore è costretto a dire, al candidato cliente: «Mi spiace, non posso attivarti la linea richiesta». Dal momento che questi casi capitano troppo spesso, quando si tratta di clienti altrui, l’Antitrust sospetta che dietro il “problema tecnico”si nasconda una pratica scorretta.

Neppure nel rapporto qualità/prezzi della linea fissa Telecom Italia eccelle. Pratica prezzi più alti dei concorrenti - 15 euro al mese in più sulle offerte per l’Adsl e le telefonate - e la sua presa “bulgara” sulla clientela (64 per cento) è dovuta alle zone non metropolitane, dove il servizio dei concorrenti è meno competitivo. Telecom Italia, sulla rete fissa, ha appena il 25 per cento a Milano e il 30 per cento nei grandi centri (dati Between): nelle città più importanti, dove concentra l’innovazione e le reti sono più evolute, non è più la regina della linea fissa.

Sul mobile, invece, in quanto a prezzi Telecom è più appetibile del concorrente più blasonato Vodafone, ed è leader per copertura delle reti 4G (300 comuni raggiunti dalla nuova rete mobile). È sempre al primo posto per quote di mercato e sta perdendo meno clienti di Vodafone, mentre avanzano due competitor low-cost come H3G e Wind. Vito Gamberale, che oggi amministra il fondo F2i (azionista di Metroweb), è stato il “papà” di Tim e il direttore generale di Telecom Italia, e in una recente audizione alla commissione Lavori Pubblici del Senato, senza nominare Telecom ha detto che un operatore di telefonia mobile, che da 15 anni perde, «detta legge nel mercato perché abbassa i prezzi. La parola dumping non è mai stata usata, però va usata».
La soddisfazione dei clienti? È alta e in crescita, assicura Telecom, fornendo i dati di sondaggi effettuati dallazienda. Se Telefonica diventerà davvero il padrone di casa, speriamo non li utilizzi per sostenere che, dopo tutto, non c’è gran bisogno di spendere quattrini per migliorare le reti, fisse o mobili che siano.

 

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