Parla il presidente dell'autorità di vigilanza sulla Borsa e sulle società, Giuseppe Vegas. E ribatte alle accuse secondo le quali l'authority sarebbe protezionista e poco incisiva. Dicendo: 'Grazie a noi è saltato il tappo del capitalismo di relazione'
I patti di sindacato scadono e non si rinnovano. Le operazioni che favoriscono gli azionisti di controllo trovano più ostacoli. Le scalate “gratis” sono frenate. Sembra quasi che il capitalismo made in Italy, il capitalismo relazionale, sia davvero sul punto di essere smontato. Colpa della crisi? Merito di una nuova generazione di manager? O effetto di un’azione più incisiva delle autorità di vigilanza? «Smontato è una parola grossa», dice in questo colloquio con “l’Espresso” Giuseppe Vegas, presidente della Consob da quasi tre anni. «Abbiamo contribuito a dire che “il re è nudo”. Certi meccanismi sono venuti fuori. Adesso il mondo è aperto, vive di concorrenza, bisogna attirare capitali per crescere. Un mercato che si basa sulle relazioni e non sulla solidità delle imprese non ha futuro».
Giusto: chi potrebbe obiettare a questa affermazione? Eppure ogni volta che la Consob interviene si diffonde il sospetto che sotto ci sia qualcosa di poco trasparente. Nel caso Telecom Italia (Ti), per esempio, si è insinuato che il pressing dell’authority di via Martini nascesse dalla volontà, tutta politica, di ostacolare il passaggio del controllo al gruppo spagnolo Telefonica. Che, oltretutto, sta cercando di raggiungere il suo obiettivo senza passare per un’Opa (Offerta pubblica di acquisto), senza quindi premiare i piccoli azionisti. «Spero solo che dalla vicenda Telecom», spiega Vegas, «venga fuori in modo chiaro questo messaggio: “Signori, le scatole cinesi non funzionano più, perché fanno male all’economia del Paese”. Se noi ci accorgiamo che un soggetto, che sta nella solita scatola cinese, ha acquistato azioni al doppio del valore di mercato, beh, ci andiamo giù pesante. E se facciamo domande o ispezioni, è più rischioso mentire nelle risposte formali. Magari scattano le contraddizioni e salta il tappo».
In effetti, quesiti e ispezioni hanno complicato un quadro già parecchio ingarbugliato: la cessione, perfezionata in una notte, di Telecom Argentina a un acquirente legato alle Generali, uno degli azionisti di controllo di Ti; la curiosa ripartizione delle obbligazioni convertibili, da cui sono stati esclusi i soci di minoranza; le manovre su Tim Brasil di cui Telefonica dovrebbe liberarsi per poter acquisire il controllo di Ti senza incappare nelle sanzioni dell’antitrust brasiliana. Alcune informazioni su questi fronti probabilmente non sarebbero venute fuori senza il pressing della Consob. «A me non interessa che Telecom sia italiana o spagnola», continua Vegas. «L’importante è che offra buoni servizi a prezzi competitivi e che i risparmiatori non siano danneggiati». E se alla fine arriva Vodafone? «Se arriva Vodafone o un altro, ha i soldi e lancia un’Opa, ben venga», anche se «potrebbe esserci un problema di Antitrust». Se fosse provata l’ipotesi investigativa che Telefonica esercita già ora un controllo di fatto su Ti, che l’amministratore delegato Marco Patuano di fatto risponde a Cesar Alierta (come peraltro ha già concluso l’antitrust brasiliana), si porrebbe un problema serio: il consolidamento del bilancio, e quindi del debito, dei due gruppi.
In parlamento molti, a cominciare dal presidente della commissione Industria del Senato Massimo Mucchetti (Pd), vorrebbero anche costringere Telefonica a lanciare un’Opa su Ti per evitare che i piccoli azionisti siano danneggiati. E propongono di modificare la legge in modo che sia la Consob a stabilire caso per caso qual è la soglia da cui scatta l’Opa (oggi è il 30 per cento per tutti). Secondo molti osservatori Vegas era tra gli ispiratori della proposta. «Come ho detto in parlamento», commenta il presidente della Consob, «io sono favorevole a una doppia soglia, una ordinaria e una ridotta per le public company, ma entrambe fisse. Anzi, forse ce ne vorrebbe una terza, più alta, per le matricole in modo da incentivare gli imprenditori che non si quotano perché temono di perdere il controllo. Le soglie mobili hanno due svantaggi: bisogna che il mercato ne sia a conoscenza “prima”, e poi i rischi di contenzioso sarebbero enormi».
Vegas nega di essere alla ricerca di più potere per la Consob. «Dobbiamo rafforzare il mercato azionario», aggiunge, «perché le banche presteranno sempre meno soldi a causa dei requisiti patrimoniali più stringenti e dell’entrata in vigore di Basilea 3. Quindi sarà più importante raccogliere capitale di rischio. Per parte nostra, stiamo cercando di ammodernare e semplificare il sistema in modo che siano ben definiti diritti e doveri. E poi vogliamo che l’enforcement delle regole sia più “cattivo”, che guardi di più alla sostanza. E l’entrata in vigore del regolamento sulle operazioni con le parti correlate (che disciplina in modo stringente i conflitti di interesse, ndr) ha aiutato».
Principio sacrosanto. Ma è andata davvero così nella realtà? Per esempio, nel caso Fonsai? Prima il no ai francesi di Groupama che non volevano fare l’Opa: un altro presunto caso di “protezionismo finanziario”? Poi il “tifo” per la cordata Unipol a danno di quella formata da Sator e Palladio. Una Consob partigiana al punto da spingere il suo presidente a “concordare” la linea addirittura nella sede di Mediobanca (che assisteva la cordata Unipol)? «Il no a Groupama», obietta Vegas, «ha fatto esplodere il bubbone Fonsai con tutto quello che ne è seguito. Quanto alle due cordate, ce n’era una sola. L’altra non ha mai presentato alcuna proposta o richiesta: come avremmo potuto danneggiarla? Comunque non ho mai messo piede in Piazzetta Cuccia. È una leggenda metropolitana.
È vero che ho incontrato i vertici di Mediobanca per parlare dell’operazione Unipol-Fonsai. Ma nella sede milanese della Consob e alla presenza dei funzionari responsabili dei settori competenti. Mi hanno illustrato l’operazione, inclusi i benefici per la famiglia Ligresti, come la buonuscita e la manleva. Il “papello” (un documento ritrovato dai magistrati e controfirmato dall’ad di Mediobanca Alberto Nagel, ndr.) dimostra che la famiglia chiedeva. Ho replicato: siete liberi di fare come meglio credete; ma se le cose stanno così, sappiate che dovrete fare l’Opa perché se accettate di pagare quel prezzo non è un salvataggio. Si è visto come è finita: né buonuscita né manleva ai Ligresti. Anzi, sanzioni salate alla famiglia e ai sindaci. La definirei moral suasion: meglio convincere prima che reprimere dopo».
Quella della Camfin è un’altra storia esemplare. «Sembrava, e le ispezioni lo hanno confermato», racconta Vegas, «che fosse stato concesso un vantaggio a Malacalza, il socio in uscita di Marco Tronchetti Provera. E allora abbiamo chiesto di aumentare il prezzo dell’Opa per tutti. La società ha impugnato la nostra deliberazione e ora sarà il Tar a decidere. Di sicuro, tra gli operatori, il nostro intervento ha fatto una certa impressione».
Ma se è vero che l’enforcement adesso è “cattivo”, come si spiega la dormita collettiva delle authority sul Montepaschi? «Quando nell’agosto del 2011 ci arrivò il famoso esposto anonimo», dice Vegas, «noi lo girammo alla Banca d’Italia che aveva un’ispezione in corso. L’accordo di collaborazione tra le due authority prevede infatti che si concentri su chi è già in ispezione il materiale rilevante. Stiamo lavorando per migliorare lo scambio di informazioni tra autorità. Tutto si può fare meglio, ma non c’è stato alcun sonno. Abbiamo appena concluso una verifica dell’impatto sul bilancio delle operazioni in strutturati, come Alexandria e Santorini. Su questo la banca dovrà, su nostra richiesta, tenere informato il mercato attraverso un’apposita rendicontazione».
Anche il caso Generali è curioso: un amministratore delegato, Giovanni Perissinotto, e un direttore generale, Raffaele Agrusti, comandano per anni e anni nella massima considerazione di tutti, poi, appena escono, salta fuori che avevano costituito un’associazione a delinquere, o giù di lì. Eppure il nuovo Ad Mario Greco non procede con l’azione di responsabilità. «Può darsi che ci siano stati comportamenti non sempre corretti. Stiamo cercando di spingere l’attuale management a tirare fuori più di quello che è già noto. In questo senso considero la cessione della Bsi (Banca della Svizzera italiana, ndr.) un segnale importante». È normale - spiega Vegas - che i nuovi arrivati, il nuovo amministratore delegato, vogliano fare pulizia ma devono stare attenti a non gettare discredito sulla loro società. E poi devono tener conto del consiglio di amministrazione dove sono rimasti gli stessi azionisti di prima. E intanto, secondo quanto trapela da Trieste, sembra che la Consob e l’Isvap abbiano trasmesso le carte anche alla procura del capoluogo friulano.
Ma la compagnia guidata da Mario Greco è stata al centro di un’altra vicenda inquietante: il passaggio a credit watch negativo da parte di Standard & Poor’s. «È un fatto che colpisce», dice Vegas. «Perché il giorno prima di un investor day a Londra? E perché una valutazione negativa di una società così internazionalizzata solo perché è italiana e possiede titoli di Stato italiani? Chiederemo all’Esma (la Consob europea, ndr.) di verificare la correttezza di comportamento dell’agenzia di rating. E rivendico alla Consob il merito di essere stata la prima in Europa a porre la questione delle agenzie di rating. Adesso la nuova regolamentazione europea fissa dei paletti importanti: proprietà, tempi di emissione dei giudizi, per esempio. Con la Banca d’Italia e l’Ivass abbiamo sollecitato gli investitori a non prendere per oro colato i giudizi delle agenzie e a fare le loro valutazioni».
L’obiettivo principale della Consob di Vegas resta comunque quello di portare più aziende possibile in una Borsa ormai ridotta al lumicino. Forse un compito improprio, il marketing, per l’autorità di vigilanza. «Mi hanno criticato anche per questo», ribatte Vegas, «ma il progetto PiùBorsa che abbiamo avviato con le associazioni delle imprese e delle banche renderà più agevole il cammino verso la Borsa, soprattutto delle medie società. Norme e regolamenti fanno parte del quadro che ha provocato una preoccupante contrazione del mercato azionario: semplificare è compito nostro»