Il primo risale a quasi tre anni fa, al 17 maggio 2011. L'ultimo, invece, porta in calce la data del 16 settembre 2013.
Sbandierati ai quattro venti come l'ultimo colpo inferto al cuore dei Paesi offshore, dei sette accordi internazionali sullo scambio di informazioni fiscali, stipulati negli ultimi tre anni dall'Italia secondo il modello del Tax Information Exchange Agreement (TIEA) approvato dall'Ocse, si sono, in realtà, perse le tracce. Impantanati nelle sabbie mobili delle procedure parlamentari, i trattati, sottoscritti da tre diversi governi (l'ultimo Berlusconi, Monti e Letta) non sono stati ancora ratificati. Restando, ad oggi, lettera morta priva di qualsiasi efficacia.
Se le Camere avessero assolto al proprio compito, oggi sarebbe più facile ottenere informazioni preziose per rintracciare capitali illecitamente esportati all'estero e nascosti all'Erario, semplicemente chiedendole ai governi delle Isole Cook (il primo dei sette TIEA stipulati, nel maggio 2011), di Jersey (13 marzo 2012), Bermuda (23 aprile 2012), Guernsey (5 settembre 2012), Gibilterra (2 ottobre 2012), Isole Cayman (3 dicembre 2012) e Isola di Man (l'ultimo, del 16 settembre dell'anno scorso).
Per tutti e sette, il sito dell’Ocse riporta la stessa dicitura: «Non ancora entrati in vigore». Una situazione ai limiti del paradossale se si pensa che tutti questi governi hanno potuto conteggiare i rispettivi trattati, sebbene inefficaci, sottoscritti con l'Italia nel numero minimo necessario di 12 TIEA con paesi a fiscalità avanzata per uscire dalla “black list” - la lista nera – dei Paesi offshore, così come previsto dall'Ocse. Ovvero all'organizzazione internazionale cui spetta il compito di vigilare, in ogni caso, sull'effettivo rispetto delle intese.
Anche se sarebbe impossibile contestare a questi Stati qualunque violazione degli impegni assunti, dal momento che, tecnicamente, nessuna richiesta di informazioni potrà mai essere loro rivolta dall'Italia in mancanza delle ratifiche. Insomma, grazie anche alla nostra firma, loro possono vedersi allentare le briglie della comunità internazionale, noi, invece, non ne abbiamo ancora tratto alcun vantaggio.
La colpa non è del governo italiano che, a più riprese, ha fatto la sua parte, negoziando prima e sottoscrivendo poi i trattati. Le responsabilità, stavolta, sono tutte del Parlamento. Dove i disegni di legge di ratifica si sono incagliati nelle farraginose procedure previste dai regolamenti di Camera e Senato.
Il primo tentativo lo fece il ministro Giulio Terzi di Santagata (governo Monti), che il 3 ottobre 2012 presentò alla Camera il ddl di «Ratifica ed esecuzione dell'Accordo tra il Governo della Repubblica Italiana e il Governo di Jersey sullo scambio di informazioni in materia fiscale». Assegnato alla commissione Esteri (relatore Osvaldo Napoli del Pdl) il successivo 25 ottobre, l'esame si concluse il 12 dicembre. Ultimo avvistamento prima che se ne perdessero le tracce per decadenza. Il ddl fu ripresentato il 30 dicembre 2013 dal ministro Emma Bonino e riassegnato, il 14 gennaio di quest'anno, sempre alla commissione Esteri, ma al Senato, dove attualmente l'esame del provvedimento risulta in corso.
Stessa sorte (dopo la decadenza del primo provvedimento presentato sempre da Terzi di Sant’Agata a Palazzo Madama il 9 febbraio 2012 e rilasciato dalla commissione il successivo 16 ottobre) anche per il ddl di ratifica del trattato con le Isole Cook, ripresentato dalla Bonino sempre il 30 dicembre dell’anno scorso e assegnato alla commissione Esteri del Senato. Una sorta di gioco dell'oca che, a distanza di quasi un anno e mezzo, riporta le pedine al punto di partenza.
I rapporti tra Italia e Jersey, isoletta nel Canale della Manica, dipendenza britannica ma fuori dall'Unione Europea e dal Regno Unito, sono tornati attuali nell’ambito dell'inchiesta sul disastro ambientale dell'Ilva. «Se il trattato fosse stato in vigore avrebbe consentito di indagare sulla famiglia Riva, proprietaria dell'Ilva di Taranto. Purtroppo non è così perché ci sono ancora da ratificare dal Parlamento gli accordi che il governo italiano nel 2012 ha attuato proprio con due paradisi fiscali, appunto Jersey e le Isole di Cook», lamentava il 21 gennaio il senatore dimissionario, recentemente espulso dal Movimento 5 Stelle, Luis Alberto Orellana, attuale relatore in commissione Esteri dei ddl di ratifica di entrambi i trattati. «Nonostante la mancata ratifica Jersey ha collaborato lo stesso con la Guardia di Finanza italiana», precisa oggi Orellana a “l’Espresso”, «ma poi, quando si sono resi conto che il nostro Paese non aveva ratificato l’accordo, si sono un po’ fermati. Non è pensabile del resto che, su materie di tale rilevanza, tutto si possa basare unicamente sulla buona volontà di uno dei contrenti in difetto dell’altro».
Orellana sottolinea un paradosso: «La cosa singolare è che, avendo loro ratificato l’accordo, il governo di Jersey potrebbe chiedere all’Italia informazioni di rilevanza fiscale mentre a noi è attualmente precluso farlo». Giovedì, intanto, la commissione Esteri del Senato tornerà ad occuparsi dei due trattati. «Parliamo di due provvedimenti di un paio di articoli che si potrebbero approvare in pochi giorni se non fosse che, per ciascuno di essi sia necessario acquisire il parere di ben quattro commissioni», prosegue Orellana, spiegando che «le commissioni Affari costituzionali e Giustizia hanno concesso il loro nulla osta, la commissione Finanze si sarebbe pronunciata nello stesso senso, sebbene il parere non sia stato ancora trasmesso, mentre all’appello manca il pronunciamento della commissione Finanze che deve valutare l’esistenza della copertura finanziaria, altro paradosso, rispetto a due ddl a costo zero».
L’ex senatore del M5S è deciso a chiudere la partita in tempi stretti: «Dal momento che il regolamento prevede che il mancato pronunciamento delle commissioni cui è richiesto il parere entro 15 giorni, termine peraltro già trascorso, equivale ad assenso, giovedì invocherò l’applicazione di questa norma alla quale finora la commissione Esteri non si è attenuta per ragioni di cortesia istituzionali verso gli altri organi del Senato».
È storia recente, invece, la presentazione alla Camera dei Deputati dei disegni di legge - depositati il 12 febbraio di quest'anno come uno degli ultimi atti dell'ex ministro degli Esteri Bonino - per la ratifica dei trattati stipulati con il Baliato di Guernsey (Canale della Manica), l'Isola di Man (tra la Gran Bretagna e l'Irlanda), Gibilterra e le Isole Cayman (nel Mar delle Antille). I testi risultano ancora da assegnare alla commissione competente. Ma nel frattempo è cambiato un altro governo. Riuscirà il neo premier Matteo Renzi a tirar fuori i provvedimenti dalle secche? Magari aggiungendo alle riforme costituzionali già annunciate anche la revisione dei regolamenti parlamentari? Per lui potrebbe essere un'occasione per dimostrare che, anche sul fronte dei paradisi fiscali, l'Italia ha cambiato davvero verso.