Il Paese con il reddito pro capite più alto al mondo dovrà fare a meno del segreto bancario. E punta sui Freeport. Dove è possibile scambiare quadri, gioielli, lingotti ?e auto d’epoca al riparo dalle tasse. Con l'avallo del neo presidente Ue

Per il suo ideatore è «una grande avventura», per un nutrito numero di eurodeputati il nuovo buco nero dell’imposizione fiscale nell’Unione Europea. Per tutti dal 17 settembre si chiamerà Freeport, e sarà il primo porto franco del lusso nella Comuintà: un magazzino-museo di 22 mila metri quadri piazzato nel cuore dell'Europa, in Lussemburgo, e pensato per custodire e vendere opere d’arte, gioielli, lingotti d’oro, vino e vetture d’epoca. Il tutto senza pagare Iva e nemmeno diritti doganali.

I porti franchi per l’arte e gli oggetti di valore sono nati in Svizzera nel dopoguerra. Il concetto si è arricchito negli ultimi anni in Asia con la nascita di un nuovo modello di Freeport a Singapore: un luogo che rispecchia nell’ambiente il lusso di ciò che espone e in cui la custodia viene realizzata in un’architettura che nulla ha da invidiare ai più moderni musei. Nel caso lussemburghese il merito è italiano: il disegno è infatti dell’architetto Carmelo Stendardo, ed una parte importante del design interno è stato realizzato dalla Flos, notissimo marchio dell’illuminazione con sede a Bovezzo, nel bresciano. «L’idea è svizzera», riassume il direttore, David Arendt, «la tecnologia della sicurezza tedesca, gli allestimenti interni portoghesi, realizzati dallo “street artist” Alezandre Farto, il design italiano e il capitale lussemburghese».

Il Lussemburgo è il Paese che vanta il più alto Pil pro capite del pianeta - 104 mila dollari all’anno - ma che dal 2016 dovrà dire addio al segreto bancario, una delle ali della sua fortuna. Questa nuova trovata è proprio una risposta alla fine del segreto, un sistema per attrarre i patrimoni dei ricchi, tenendoli al riparo dal Fisco. E il Granducato, guarda caso, non ci mette solo la maggioranza dei fondi, tramite una cordata bancaria, ma anche l’appoggio politico: «Il governo ci ha messo a disposizione il terreno», che sarà nell’aeroporto, piccolo per passeggeri ma grande per traffico merci, «e ci aiuta con la promozione», spiega ancora Arendt, un manager che vanta, oltre al pallino del collezionista, anche una serie di attività diverse, avvocato, banchiere e quindi, per 15 anni, un’attività nel business della logistica e del trasporto di beni. «Il Freeport è il matrimonio perfetto tra la mia passione e la mia esperienza», dice.

Un matrimonio che per qualcuno non s’avrebbe da fare. «Il progetto è stato approvato quando al governo in Lussemburgo c’era Jean-Claude Juncker, che ora è stato messo a capo della Commissione Ue. Gli chiederemo conto di questa nuova forma di evasione fiscale», promette Ana Gomes, eurodeputata socialista portoghese. Arendt non batte ciglio, è abituato alle accuse. «La normativa Ue permette di creare zone franche a statuto fiscale particolare: ci sono anche in Italia, a Trieste e Venezia. La nostra prevede una sospensione della tassazione indiretta, ossia dell’Iva e dei diritti doganali». Il manager assicura massima attenzione alla tracciabilità delle opere e quindi alla lotta al riciclaggio. E attacca: «Accusando il Freeport si sbaglia obiettivo: nel mondo dell’arte le transazioni illecite si possono fare ovunque».

«La zona franca attirerà operatori nuovi e nuove attività, porterà in Lussemburgo un traffico d’arte e del lusso che al momento non esiste. Inoltre pensiamo che la nostra attività creerà un centinaio di posti di lavoro diretti, oltre a quelli dell’indotto, e ci saranno più flussi di tassazione indiretta, sul lavoro per esempio», dice Arendt. Discorso diverso per i Paesi vicini, che sono destinati a perdere introiti fiscali e affari, a cominciare da Germania, Belgio, Olanda. Vittime collaterali, perché il vero obiettivo sono i Freeport svizzeri: «Sono loro i nostri concorrenti diretti, sarò contento per ogni opera d’arte che viene da lì!», dice il manager. Intanto, oltre il 70 per cento degli spazi è già stato venduto a mercanti d’arte, che metteranno le loro strutture a disposizione dei clienti. Per farsi un’idea: per tenere una tela di Lucio Fontana di un metro per 80 centimetri si pagheranno 2 euro al giorno. «Tutti mi dicono come un caffè, ma un caffè costa di più», dice Arendt. Perché un caffè paga l’Iva, anche in Lussemburgo.