Le grandi compagnie che hanno governato il mondo assetato di benzina per muoversi, di olio combustibile per riscaldarsi, di fuel per volare e via dicendo, vedono un orizzonte non di morte certa perché dovranno comunque continuare per anni a vendere i loro prodotti, ma comunque di drastico ridimensionamento e perdita di influenza. Nasce, al loro posto, il clan delle "Big Solar"
L'accordo di Parigi sul clima ha un grande perdente, l'industria che produce energia con le fonti fossili – dal carbone al petrolio – e un grande vincitore, l'industria che lavora sulle energie rinnovabili. Una rivoluzione di cui ancora non si percepisce l'importanza, ma che cambierà radicalmente i connotati del business che ha accompagnato la crescita del pianeta negli ultimi cento anni. Per ridurre il surriscaldamento globale occorrerà virare velocemente su un nuovo standard di produzione di energia, soprattutto quella del sole.
Quindi, la famiglia del Big Oil è al capolinea: le grandi compagnie che hanno governato il mondo assetato di benzina per muoversi, di olio combustibile per riscaldarsi, di fuel per volare e via dicendo, vedono un orizzonte non di morte certa perché dovranno comunque continuare per anni a vendere i loro prodotti, ma comunque di drastico ridimensionamento e perdita di influenza. Nasce, al loro posto, il clan delle "Big Solar".
Le Big Solar, in realtà, sono già qui. E la loro carta di identità rovescia completamente la geografia del potere energetico. Il fulcro non è più negli Usa, e comunque in Occidente, ma in Cina.
Indovinate chi c'è nella Top Ten, la classifica dei 10 big del settore dell'energia solare oggi?
Al primo posto tra i venditori mondiali di pannelli solari (dati 2014, fonte Ihs) c'è Trina Solar, al secondo Yingli Green Energy: entrambe cinesi. Al terzo posto c'è Canadian Solar: è solo apparentemente canadese, perché gli impianti sono in Cina. Per trovare i primi grandi produttori di pannelli americani, First Solar e SunPower, occorre arrivare all'ottavo e al decimo posto. Delle dieci Big Solar, insomma, sei sono cinesi. Solo pochi anni fa, esattamente nella classifica 2011, al primo posto c'era già la cinese Suntech Power, ma tallonata al secondo dalla società americana First Solar. In poco tempo First Solar è stata travolta dalla concorrenza dei pannelli cinesi (venduti a prezzi stracciati, tanto da far nascere dispute commerciali di fronte alle corti di giustizia negli Usa e in Europa ), e ha dovuto mettersi a dieta e chiudere il suo stabilimento in Germania.
Insomma, in poco tempo, il grande inquinatore cinese è diventato anche il padrone dell'energia pulita. Negli Usa più del 30 per cento dei pannelli al silicio venduti sono di produzione cinese. E l'espansione è altrettanto massiccia in Europa.
Quest'anno l'azienda di Stato China National Chemical corp. ha acquistato la norvegese Rec, che si affianca alla fabbrica che Pechino aveva già nel paese scandinavo, la Elkem, che produce silicio sia per il solare che per i computer. Tanto per dire il peso del deal, la Rec ha uno stabilimento a Singapore e progetti in giro per il mondo tra cui un contratto di fornitura con la californiana Solar City, la società fondata dal dinamico imprenditore e tycoon Elon Musk, il ceo di Tesla (l'auto elettrica), con l'obiettivo di diventare dominante nel segmento energia solare.
Lavorando di acquisizioni e commesse (e anche di americani chiamati a costruire impianti solari in Cina), il gigante di Pechino sta insomma costruendo una fitta rete di relazioni d'affari e di know how che gli assicurano il ruolo del giocatore che dà le carte e sempre più le darà in futuro.
Per capire la svolta raggiunta con l'accordo di Parigi, basta pensare che la trattativa non è stata condotta solo dagli staff dei governi, e dai rappresentanti del settore energia, ma seguita da un foltissimo parterre di businessman di diversa estrazione. Per esempio, erano rappresentate aziende come la Dupont, la Monsanto, la Kellog, ovviamente l'industria dell'auto, su cui ci sarà un forte impatto come su tutti i trasporti. Tutti interessati a capire quali opportunità di aprono, o come affrettarsi a rifocalizzare il business nei prossimi anni.
Proprio il ceo di Solar City, Lyndon Rive, ha rilasciato a Bloomberg una dichiarazione che non lascia dubbi sul futuro e sulla portata del cambiamento: «Chi vende petrolio dovrà difendere il suo business perché è la sua fonte di reddito. Ma tutto questo sta per essere distrutto». Altrettanto brutale il responsabile del settore sostenibilità dell'Ikea, anche lui a Parigi: «Le industrie che inquinano di più sono servite: o saranno capaci di reinventare se stesse, oppure dovranno semplicemente ridare i soldi agli azionisti e chiudere».
È vero che le major possono virare sul gas, fonte di energia meno inquinante del petrolio e del carbone (e già lo stanno facendo), ma la gara con il solare che avanza sarà sempre più combattuta sul fronte dell'efficienza e dei costi. Questi dipendono in gran parte da quanto capitale si concentra sulla ricerca e, secondo una previsione dell'Agenzia internazionale dell'energia, nei prossimi dieci anni il 59 per cento del capitale che si riverserà nel settore energetico sarà destinato alle rinnovabili, con un incremento ulteriore dopo il 2026. Di questo passo a metà del secolo il mondo sarà molto diverso da quello che abbiamo conosciuto finora.