Farmaci, ecco perché andare all’estero
fa bene anche alle nostre fabbriche
"Non è vero che nel nostro settore si investe poco in ricerca: è proprio il binomio innovazione-internazionalizzazione a permetterci di crescere". Parla l'amministratore delegato della Recordati
«I dipendenti italiani ?del nostro gruppo crescono. Erano 1.037, nel 2012, sono 1.106 adesso e assumeremo anche quest’anno». ?Per Giovanni Recordati, ?la tendenza alla crescita del gruppo di famiglia, di cui è presidente e amministratore delegato, è in sintonia con l’intera industria farmaceutica italiana.
Ingegnere di formazione, la sua società - che ha anche 4 mila addetti all’estero - l’anno scorso ha fatturato quasi un miliardo di euro, con un aumento di quasi il 5 per cento, e un utile netto di 161 milioni (+20 per cento).
Come si ottengono risultati del genere senza spingere troppo sulla ricerca? «La ricerca non è mai abbastanza ma non è vero che in Italia se ne faccia così poca. Le aziende a capitale italiano spendono tra il 10 ?e il 15 per cento dei ricavi, ?in ricerca e sviluppo. Ed è proprio il binomio innovazione-internazionalizzazione ?a permetterci di crescere, oltre alla stabilità».
Che tipo di stabilità? «Anche se l’anno scorso abbiamo realizzato all’estero il 77 per cento dei ricavi, il mercato italiano resta molto importante per noi come per tutti i produttori domestici. ?E negli ultimi anni il nostro settore, che è particolarmente regolamentato, non è stato colpito - come avvenuto in passato - da provvedimenti indiscriminati, e direi anche estemporanei, di riduzione ?dei prezzi o di revisione del prontuario. Misure che sono sempre penalizzanti per ?le aziende».
Merito dei governi se il farmaco tricolore è in salute e le aziende fanno soldi? «La stabilità di cui parlavo ?ha permesso alle imprese ?di riprendere a investire ?e di aumentare gli occupati, ?il cui numero era calato con la riduzione delle strutture di marketing e degli informatori scientifici, legata all’arrivo dei farmaci generici. Speriamo che questo clima duri».
Se aumenta troppo l’internazionalizzazione, non c’è il rischio che la presenza in Italia si assottigli? «No, anzi. Essere presenti commercialmente e produttivamente in tanti Paesi esteri aumenta l’occupazione in patria. Noi, per esempio, abbiamo venti filiali in giro ?per il mondo: più crescono, più si potenziano le strutture in Italia, con il controllo ?di gestione, la logistica ?e anche la produzione».