Le pressioni per nominare riciclati. ?I conflitti d’interessi. Le mire dei figli. Ecco cosa succede attorno al capo della Fondazione Fiera Milano, molto amato da Roberto Maroni

Benito Benedini
Due figli, due diversi affari in odore di conflitto d’interessi. Non è un periodo facile per Benito Benedini, presidente della Fondazione Fiera di Milano, l’ente che controlla la società quotata in Borsa che gestisce le grandi strutture espositive della metropoli lombarda, un colosso da 260 milioni di euro di ricavi l’anno. Nei giorni scorsi il “Corriere della Sera” ha rivelato un contratto di consulenza che ha messo una prima volta in imbarazzo Benedini: un accordo da 600 mila euro siglato dal socio d’affari di suo figlio Riccardo con il colosso bolognese Manutencoop. E finito in un esposto alla Procura milanese (qui la replica di Benito Benedini).

Una rivelazione tira l’altra e ora “l’Espresso” è in grado di ricostruire un altro filo che collega gli affari della famiglia Benedini con quelli della Fiera, anzi della Fondazione stessa. Tutto risale al 2013, quando l’imprenditore entra come presidente negli uffici di Largo Domodossola, a Milano, dove ha sede la Fondazione. Che cosa decide poco dopo? Di chiudere i rapporti con la vecchia compagnia di assicurazione Marsh e di scegliere come nuovo broker per il gruppo il leader mondiale del settore, la Aon. Un contratto che vale 2 milioni di euro e che lega la Fondazione all’altro figlio di Benito, Marco. Che in passato lavorava proprio per la multinazionale inglese e che alla fine del 2012 si era messo in proprio con una società tutta sua, la Hra Consulting, diventando consulente assicurativo ma restando intermediario di Aon.

Quello di Benedini, 80 anni, è un nome molto noto dell’imprenditoria milanese, grazie anche alla sua passione per gli incarichi pubblici, in politica come al vertice delle organizzazioni imprenditoriali.

Da presidente della Federazione nazionale dei Cavalieri del Lavoro, l’istituzione alla quale i cittadini benemeriti aderiscono dopo la nomina del presidente della Repubblica, ha visto sfilare come neocavalieri i clienti della società di consulenza finita al centro dell’esposto ai magistrati milanesi. Durante i suoi sei anni di mandato hanno ricevuto l’onorificenza Massimo Sarmi, ex Poste, Franco Moscetti, patron della società di apparecchi acustici Amplifon, il manager Franco Bernabè, all’epoca alla guida di Telecom Italia. Senza dimenticare Carlo Clavarino, amministratore delegato di Aon Italia, nominato il 31 maggio 2010, negli stessi mesi in cui Marco Benedini veniva assunto dalla compagnia.

Oggi, però, Benedini senior si ritrova a occupare una poltrona caldissima, soprattutto sul fronte politico. Ed è normale che le sue mosse vengano setacciate dall’opinione pubblica. La Fondazione Fiera, infatti, sta giocando una partita molto delicata per rinnovare gli incarichi di vertice della Fiera di Milano Spa, la società di gestione del business fieristico, controllata dalla Fondazione al 62 per cento. Per farlo Benedini ha deciso di cercare l’appoggio del governatore Roberto Maroni, con cui vanta ottimi rapporti e che due anni fa l’ha voluto sul ponte di comando della Fondazione, dopo la sua vittoriosa scalata alla Regione Lombardia.
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Lunedì 9 febbraio i due si sono ritrovati negli uffici del Pirellone per discutere di nomine: per la casella di amministratore delegato ecco l’attuale direttore generale della Fondazione, Corrado Peraboni, passato dalla Lega a Forza Italia e forte di amicizie che contano come l’ex ministro azzurro Paolo Romani e il numero uno della Confcommercio, Carlo Sangalli. Ma, assieme a quello di Peraboni, circolano anche altri nomi. Una poltrona, proprio in Fondazione, potrebbe toccare al pupillo di Umberto Bossi, ed ex capogruppo del Carroccio alla Camera dei Deputati, Marco Reguzzoni. E ricorre anche l’ipotesi di un incarico per l’ex infermiera ed ex europarlamentare - non rieletta - Licia Ronzulli, che sarebbe sponsorizzata da Silvio Berlusconi in persona.

Ora, la Fiera di Milano non è roba da poco, e il fatto che per i posti di vertice si facciano quasi esclusivamente nomi di riciclati della politica dovrebbe far suonare un campanello d’allarme. Non che sia una novità, perché nei consigli di amministrazione della società e delle sue controllate i personaggi estratti a sorte dalla politica sono sempre stati la norma. Oggi però, con le sfide che ci sono alle porte, un cambio di passo non sarebbe male. La galassia Fiera è infatti proprietaria del polo espositivo più grande del mondo (Rho-Pero, alle porte della città) e protagonista della prossima kermesse internazionale di Expo 2015.

Le premesse, tuttavia, non sono buone. A contendersi un posto al sole ci sono tutte le correnti del centrodestra che dominano da vent’anni la scena politica della Lombardia: la lobby catto-affaristica di Comunione e Liberazione, gli uomini di Forza Italia e i leghisti di osservanza maroniana. E l’emergere dei conflitti d’interessi in casa Benedini rende la partita ancora più bollente.

Questi i fatti dell’affaire Manutencoop. Lo scorso giugno la Fiera affida alla Manutencoop Facility Management il servizio di pronto intervento, assistenza tecnica e manutenzione del gigantesco sito da 345 mila metri quadrati di Rho-Pero. In ballo c’è una commessa da 24 milioni che il colosso bolognese dei servizi di gestione di immobili si aggiudica grazie ai suoi 18 mila dipendenti, l’esperienza di grossi appalti pubblici (dal programma renziano “Scuole belle” agli ospedali della Regione Lazio) e a un giro d’affari da un miliardo di euro.

Sei mesi prima, però, Manutencoop firma una consulenza con la società House Tech srl, specializzata in servizi di ricerca e consulenza strategica. «Qualora dovesse risultare definitivamente aggiudicataria (dell’appalto della Fiera, ndr)», si legge nel documento dell’accordo, Manutencoop riconoscerà alla House Tech «un compenso pari al 2,5 per cento» sul fatturato maturato. Tradotto in soldoni, circa 600 mila euro.

Un colpaccio per la piccola società di Carlo Brigada, che però risulta socio in affari della famiglia di Benito Benedini, grande azionista proprio della Fiera. Il trait d’union è l’impresa Itd International trading device, nata per commercializzare servizi informatici. Tra i cui soci, accanto a Brigada, figurano l’altro figlio Riccardo, proprietario del 45 per cento delle quote, e la mamma Graziella Cavanna (con il 5 per cento). L’intreccio è stato portato all’attenzione della magistratura da un esposto presentato dalla Fiera stessa, il cui consiglio è stato informato lo scorso 20 febbraio. Tra le domande fatte in consiglio, che tipo di competenze possa avere la House Tech, società forte di un solo dipendente, a fronte di quelle maturate dal colosso Manutencoop. Nel frattempo i manager della Fiera hanno ribassato l’appalto per scongiurare qualsiasi sospetto e, alla fine, bloccato l’intero contratto.

Benedini sostiene che «non c’è alcun conflitto di interessi. Brigada è socio di mio figlio Riccardo nella Itd ma l’operazione in questione riguarda House Tech. Nessuno mi ha chiamato in Procura a spiegare quel che non mi riguarda. Qualcuno ha provato a mettermi in difficoltà prima delle nuove nomine». Dal punto di vista formale, il suo punto forte è che la Fondazione, a dispetto del fatto che i suoi vertici siano a nomina pubblica, figura come un ente privato. Ma tra consulenze e contratti assicurativi, per Benedini i giorni di gloria delle nomine e del potere si sono trasformati in un affare di veleni.

Aggiornamento 6 marzo
La replica di Benito Benedini e la nostra risposta

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