Mercati

Il caso Atene è fuori controllo

di Paola Pilati   20 aprile 2015

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I mercati non si fidano e si agitano, e segno ne è che gli spread dei paesi periferici si gonfiano. Perché la possibilità che la Grecia trovi i soldi per affrontare le scadenze che ha davanti sono pari a zero. L'unica strada che appare praticabile è una dichiarazione di default

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Siamo di fronte a un caso di sonnambulismo dell'Europa, come dice Wolfgang Munchau sul Financial Times, o il “ragazzino problematico del continente”, cioè la Grecia - altra definizione che si trova sulle pagine dell'autorevole quotidiano britannico – sta davvero facendo impazzire i partner a tal punto da paralizzarli?

In entrambi i casi, l'impressione è che il caso Atene evolva fuori di ogni controllo. Fuori del controllo del governo ellenico e del suo mercuriale ministro delle Finanze, Yanis Varoufakis, visto ormai da molti commentatori e colleghi senza la solidità necessaria a gestire né un piano A né un piano B (dove la A sta per il pagamento dei debiti, la B per il default); fuori anche del controllo dei guardiani della moneta unica che sono a Francoforte, e di quelli della stabilità internazionale che stanno a Washington.

Insomma, mentre il capo della Bce Mario Draghi, quello del Fondo monetario internazionale Christine Lagarde, il nostro ministro dell'Economia Pier Carlo Padoan, e il nostro governatore della banca centrale Ignazio Visco si sgolano per mandare segnali di rassicurazione, i mercati non si fidano e si agitano, e segno ne è che gli spread dei paesi periferici si gonfiano (i tassi in Italia e Spagna sono all'1,4 per cento, erano all'1,02 due mesi fa).

D'altra parte la possibilità che la Grecia trovi i soldi per affrontare le scadenze che ha davanti sono pari a zero: il primo maggio scadono interessi da pagare al Fmi di 200 milioni, e l'8 e il 15 maggio due tranche da un miliardo e 400 milioni di rimborso di titoli pubblici. Ed è solo l'antipasto di un calendario di scadenze da brivido di pagamenti di qui a fine agosto.

Dunque l'unica strada che appare praticabile, almeno ragionando con gli elementi a disposizione, è una dichiarazione di default. E poiché Atene non si può permettere di non pagare gli stipendi pubblici (sarebbe un suicidio politico per Siriza), gli unici che può lasciare a bocca asciutta sono appunto il Fmi e la Bce (o meglio l'Efsf che per suo conto ha prestato soldi alla Grecia), la quale come conseguenza andrebbe subito ricapitalizzata a carico dei partner.  

Ma un default non vuol dire necessariamente una Grexit, come è stato ribattezzata l'uscita della Grecia dall'euro. Anzi, è proprio questo il rischio da evitare: falliti pazienza, purché dentro l'euro. È su questo crinale scivolosissimo che stanno manovrando tutti i protagonisti della storia. A partire dalla Germania, se si dà credito a quanto scrive “Die Zeit”.

Tenere compatto il perimetro della moneta non ha solo il senso di non deflettere sul principio che l'euro è irreversibile, una specie di sacro mantra di Francoforte. Ma anche quello di non innervosire i cittadini rispetto al valore del proprio denaro. E quindi, non mettere in pericolo le banche, che sono il pivot del sistema della moneta e che di quei quattrini hanno bisogno. La crisi di fiducia infatti è il rischio più serio che corriamo tutti.

Se i cittadini perdono fiducia nell'integrità dell'unione monetaria, ha osservato pochi giorni fa l'economista Paul Donovan di Ubs, questo può far scattare una reazione micidiale: per essere sicuri che i propri soldi restino in euro e non vengano trasformati forzatamente in qualcos'altro, i depositanti potrebbero ritirarli dal conto e preferire tenerli fisicamente sotto il materasso.

Il caos seguente all'uscita della Grecia potrebbe far scattare questo tipo di contagio, proprio come è stato in Quebec prima del referendum sull'indipendenza dal Canada, quando nell'incertezza un flusso di depositi prese il volo dalle banche del Quebec verso altre banche canadesi.

L'argine della Bce a questo tipo di contagio sarebbe costosissimo. E assai rischioso. Molto meglio salvare la Grecia.