Competitività, a sorpresa l'Italia è promossa. Ed è merito del Jobs Act
Secondo il rapporto annuale dello svizzero Imd, che raccoglie l'opinione di seimila top manager, negli ultimi mesi siamo cresciuti di ben otto punti nella percezione della competitività del sistema Paese. Grazie alla riforma del lavoro voluta da Renzi e all'abolizione dell'articolo 18. Ma su altri indici, come l'occupazione, restiamo al palo
Sarà una coincidenza, sarà una maggiore fiducia all'estero, sarà il fattore c..., sarà l'effetto Renzi, fatto sta che l'Italia si conquista nel 2015 il record di miglioramento delle performance di competitività, proprio quella tanto auspicata dal governatore Ignazio Visco nel suo interventodel 26 maggio all'assemblea della Banca d'Italia. Intendiamoci la superpromozione è relativa, visto che si sale dal 46esimo al 38 esimo posto nel mondo, ma tant'è. Quegli otto scalini saliti sono i più alti in assoluto tra i 61 paesi presi in considerazione dall'annuale rapporto dell'Imd, l'istituto di Losanna che ha raccolto le opinioni di 6 mila managers a livello planetario aggregandoli poi in una serie di indicatori per misurare quanto un paese vince o perde in competitività (sul sito i risultati completi).
In realtà va subito sottolineato che il principale merito del “boom” di giudizi positivi sull'Italia – come spiega all'Espresso il professor Arturo Bris, direttore della ricerca Imd - va attribuito al Jobs Act e all'abolizione dell'articolo 18, per i quali Renzi ha dato battaglia per mesi vincendo la partita in Parlamento. Ebbene l'unica tra le decine di voci contemplate nella ricerca dove l'Italia è al primo posto è proprio quella sui costi dei licenziamenti (intesi ovviamente in riduzione). Una novità considerata molto importante nel mondo, ma soprattutto tra i manager che hanno a che fare con il mercato italiano. Gli altri due assi tricolori sono l'ampia diversificazione dei prodotti esportati (secondo posto nel mondo) e la longevità, l'aspettativa di vita ( dove siamo quinti).
Ma prima di entrare più nel dettaglio dei numeri italiani, vale la pena dare uno sguardo alla cima della classifica, dove gli Stati Uniti mantengono saldamente il comando, mentre la Svizzera viene scavalcata sia da Hong Kong sia da Singapore. Seguono il Canada, il Lussemburgo, i paesi scandinavi e decima la Germania, che perde addirittura quattro posizioni rispetto al 2014, «come riflesso – spiega la ricerca - di un forte calo dell'efficienza del business. Non si può qui non notare che nei primi dieci paesi ci sono ben quattro economie che traggono i principali vantaggi dalle agevolazioni in tema di tasse a chi investe, diciamo pure di paradisi o semiparadisi fiscali. Prendiamo per esempio il Lussemburgo, che passa dall'undicesimo al sesto posto e che è stato al centro come si ricorderà di un'ampia inchiesta dell'Espresso, denominata “Luxleaks”, sugli accordi segreti fatti con le multinazionali per convincerle a stabilire nel Granducato le proprie sedi generali pagando meno gabelle. Deludenti invece le prestazioni dei cosiddetti Bric, vale a dire Cina, Brasile, India e Sudafrica, tutti più o meno fermi sui livelli dell'anno prima.
La performance generale dell'Italia è abbastanza sorprendente. Il dato di quest'anno è il migliore degli ultimi cinque (quelli qui a disposizione), mentre i peggiori sono stati il 2013 (44) e il 2014 (46), con i governi di Mario Monti ed Enrico Letta. Se si guarda agli indicatori principali e alle loro singole voci si scopre che il balzo più consistente è quello relativo all'apertura del mercato, sia come interscambio sia come investimenti italiani all'estero e stranieri in Italia, dove in un anno la posizione è passata dal 53esimo al 17esimo posto. E una conferma arriva dal fatto che tra le performance di successo per l'economia italiana ci sono le acquisizioni all'estero, gli investimenti diretti, le esportazioni (sia come diversificazione di prodotti sia come diversificazione di partner interlocutori). Si ratifica qui che l'intero sistema economico nazionale se vuole sperare in una ripresa vera può contare soprattutto sui mercati internazionali. Restando alle performance economiche resta molto negativo il dato sull'occupazione, nel quale figuriamo addirittura al 55esimo posto, sia per i disoccupati totali sia per quelli in età giovanile.
Secondo indicatore considerato, l'efficienza pubblica. Qui si tocca il fondo, come ampiamente prevedibile, visto che le finanze pubbliche e la politica fiscale collocano il nostro paese al quart'ultimo posto e sono in assoluto le due voci più deprimenti del quadro complessivo. Niente di nuovo qui sotto il sole. E neppure una sorpresa si ha scoprendo che sul livello di tassazione reale delle aziende e sull'evasione fiscale sulla ruota dell'Italia esce il numero 60 (su 61 paesi esaminati, ricordiamolo). Sotto la media sono anche norme e regole in materia di imprese e il quadro istituzionale.
Terzo fattore considerato dall'Imd l'efficienza del business, cioè come l'environment nazionale agevola le aziende nel diventare innovative, redditizie e socialmente responsabili. Mercato del lavoro e pratiche di gestione sono giudicate particolarmente negativi, meglio va per la produttività e la finanza.
Infine le infrastrutture. Se il posizionamento di quelle cosiddette “basiche” è da brividi (55esima posizione), ma anche piuttosto prevedibili per come sono messe strade, ferrovie, porti,aeroporti logistica e via dicendo, meglio va per quelle scientifiche (numero 21 nel mondo) e quelle legate all'ambiente e alla salute (25). Insomma, per essere inclusi nel G7 o G8 che dir si voglia, non si può certo andare orgogliosi di queste classifiche. Se non per il fatto che nell'ultimo anno si sono fatti otto passi avanti.
Le raccomandazioni dell'Imd di Losanna, le sfide per il 2015, ricordano molto quelle che periodicamente vengono presentate dalla Commissione europea, dal Fondo monetario, dalle società di rating o dagli istituti di ricerca. In sintesi, modernizzare la pubblica amministrazione, migliorare l'accesso al credito da parte di aziende e famiglie, aumentare gli investimenti pubblici e sostenere quelli privati attraverso agevolazioni fiscali per chi fa ricerca e innovazione, costruisce o rinnova palazzi sfruttando l'efficienza energetica, migliorare la qualità della spesa pubblica con l'obiettivo poi di ridurre le tasse.