A cento giorni dal caso Volkswagen i motori a gasolio tengono botta. Perché nessun big può farne a meno per rispettare i nuovi limiti Ue sulle emissioni
Nero come il fumo che usciva dai vecchi, antiquati motori a gasolio, il 2015 è stato l’anno peggiore per la recente storia del diesel. La ritirata è cominciata, ma ci si può scommettere: venderà cara la pelle, tenendo duro nella sua naturale roccaforte, la Vecchia Europa. L’ondata emotiva sollevata dallo scandalo delle centraline Volkswagen taroccate (scoppiato il 18 settembre negli Stati Uniti, con l’ufficializzazione della denuncia dell’Epa, l’Agenzia per la protezione ambientale), non lo ha spazzato via come uno tsunami.
Mentre deflagrava lo scandalo dei dati truccati sulle emissioni dei motori Volkswagen, s’allungava la lista dei modelli sotto accusa e s’ingigantivano le stime sui maxi-risarcimenti e le mega-multe che pioveranno in testa al gruppo di Wolfsburg, in tanti avevano intonato il de profundis.
A cento giorni dall’esplosione dello scandalo, tuttavia, le profezie di sventura hanno perso smalto. Il diesel è troppo efficiente, troppo divertente da guidare e troppo importante per la sopravvivenza dell’industria automobilistica europea, che sul motore a gasolio, nell’ultimo trentennio, ha molto investito, ricambiata da ricchi guadagni. Solo se venissero alla luce molti altri comportamenti scorretti e inganni nei confronti dei consumatori e delle leggi il motore a gasolio potrebbe colare a picco come il Titanic, procurando peraltro formidabili danni economici e occupazionali.
In primavera il sindaco di Parigi, Anne Hidalgo, ha iniziato la sua battaglia per esiliare il gasolio dalla Ville Lumière. In autunno è arrivato il dieselgate, che ha travolto il primo gruppo al mondo, colto in flagrante, in America, nel manomettere il software sulle emissioni nell’aria dei Nox, gli ossidi di azoto. Un uno-due, per dirla nel gergo pugilistico, che pareva in grado di mettere al tappeto una creatura ultracentenaria che mai come ora è stata così tecnologicamente raffinata.
E invece chi ha vaticinato il rapido, brusco se non letale crollo del gradimento e delle vendite per ora non ha vinto la scommessa. La messa al bando del gasolio da parte del pubblico non è scattata – in Italia, nel mese di novembre, la quota di mercato delle vetture diesel è cresciuta dal 55,3 al 57,6 per cento – e svaporata l’emozione è emersa una verità che gli esperti (così come i costruttori e i governi più avveduti) già ben conoscevano: senza il diesel, o con il diesel ridotto a comparsa, nessun player di una certa dimensione sarà in grado, neppur lontanamente, di raggiungere il limite di emissione di anidride carbonica fissato dall’Europa per il 2020. Spedendo in tribuna il diesel Euro 6, non c’è alcun gruppo in grado di scendere all’emissione media di 95 grammi di CO2 per chilometro. [[ge:rep-locali:espresso:285173689]] Nel medio-lungo termine è certo che le propulsioni alternative diventeranno un serio protagonista. Ma per almeno 15 anni, nella sua culla e patria, l’Europa, il gasolio seguiterà a tenere decisamente botta. La società di consulenza globale Roland Berger, nel recente rapporto intitolato “Controversia diesel: choc temporaneo o cambio di paradigma nei motori?”, vede il gasolio scendere dall’attuale 53 per cento delle nuove immatricolazioni europee al 48 per cento nel 2020 e al 41 per cento nel 2030. Stefano Aversa, capo per Europa, Africa e Medio Oriente di AlixPartners, altra grande firma della consulenza, è più pessimista sulle sorti del diesel: per lui, potrebbe scendere al 35 per cento, nel Vecchio Continente, nel giro di 10-12 anni.
Se il gasolio scende, quale concorrente occuperà gli spazi vuoti? Roland Berger vede i vari tipi di auto ibride salire, in Europa, fino al 25 per cento del mercato, mentre la categoria delle “emissioni zero” (elettriche pure e vetture a idrogeno) potrebbe issarsi al 6 per cento, superando quelle a gas (immaginate al 5 per cento). Si tratta di una simulazione che la stessa Roland Berger definisce ottimistica, e che potrà trasformarsi in realtà solo se si realizzerà una serie di condizioni, tra cui la forte riduzione dei costi delle batterie e i pesanti investimenti nelle infrastrutture di ricarica. Al tradizionale motore a scoppio resterebbero così appena i due terzi della torta, per spartirsi la quale continuerebbe l’aspro derby tra motori a benzina e a gasolio.
«Il diesel terrà in Europa, soprattutto nelle categorie di vetture più pesanti, diciamo dal segmento C, quello della Golf, fino al segmento E, quello della Mercedes Classe E» dice Andrea Marinoni, senior partner di Roland Berger, che aggiunge: «Il vero spartiacque sarà comunque il 2020: dopo di allora, non sarà più possibile rispettare i vincoli europei semplicemente affinando ulteriormente i motori esistenti. Per la prima volta, la normativa si rivelerà un ostacolo difficile da scavalcare con le tecnologie già disponibili. Bisognerà andare oltre e si svilupperanno altre catene di trazione, basate sui vari ibridi, l’elettrico e l’idrogeno».
Il dado è tratto anche per Fabio Orecchini, docente di Macchine e sistemi per l’energia e l’ambiente, e responsabile del Care, il Center for Automotive Research Evolution dell’università Guglielmo Marconi: «È un buonissimo segnale che anche i grandi costruttori europei che tanto hanno puntato sul diesel, non solo i tedeschi ma pure i francesi, comincino a sostenere come tra uno o due decenni le auto potranno essere completamente diverse». Finora, in realtà, l’unico a dire chiaro e tondo che il diesel è già arrivato al suo apogeo e ha probabilmente imboccato la discesa è stato Carlos Ghosn, il numero uno dell’alleanza Renault-Nissan, che ha venduto circa 280 mila veicoli elettrici al mondo e nel 2014 controllava il 58 per cento del mercato globale delle “emissioni zero”.
Il sodalizio franco-nipponico, tuttavia, ha pure creduto parecchio nelle motorizzazioni a gasolio e continua a farlo. Per il 2016, la Nissan – che ha ottenuto un clamoroso successo in Europa con la crossover Qashqai costruita in Inghilterra – ipotizza di vendere in Italia soprattutto macchine diesel: il 68 per cento del totale. Nonostante l’elevata percentuale, la Nissan è ben lontana dalle punte estreme della diesel-mania sull’italico mercato. Per le case tedesche dominanti nel cosiddetto comparto “premium” il consenso del pubblico al gasolio si sarebbe un tempo definito bulgaro. Guardiamo la Bmw: se nel mix mondiale delle vendite ogni cento auto vendute dalla Casa bavarese ce ne sono 38 a gasolio, la quota sale al 73 per cento in Germania, a livello europeo si arriva all’80 per cento e in Italia addirittura al 95 per cento. Stesso panorama sotto la Stella di Stoccarda, che alla clientela tricolore piazza il 93 per cento di macchine a gasolio.
I manager Mercedes hanno varie volte espresso la convinzione che l’ibrido plug-in (dove la batteria si può ricaricare anche collegandola alla presa della corrente) sarà una tecnologia importante già a partire dai prossimi 5-10 anni. Ciò nonostante, per ora non sembrano aver alzato il piede dall’acceleratore, sul diesel. Tanto che proprio in America, cioè il teatro più problematico per le macchine a gasolio dal settembre scorso, presenteranno un diesel nuovo di zecca a bordo della prossima Classe E. Sarà una delle novità del Naias Detroit, il più importante salone dell’auto negli Stati Uniti, in calendario per lunedì 11 gennaio.
Una bella dichiarazione di fiducia nei confronti del diesel la fa pure un marchio generalista come la Ford: la nuova Edge, la Suv che definiscono “full size” , sarà commercializzata esclusivamente con motori a gasolio. Già, per ora le vetture dalla considerevole stazza, indipendentemente dal censo, al diesel non possono proprio rinunciare. «Il travaso verso ibrido ed elettrico ci sarà, ma ci vorrà del tempo: se le due categorie, insieme, arriveranno al 10 per cento del mercato continentale ci sarà già da leccarsi i baffi», prevede Massimo Nascimbene, condirettore del mensile “Quattroruote”, secondo il quale il gasolio ha ancora parecchio da dire: «Anche se il panorama è cambiato: per rispettare i limiti imposti dall’Euro 6 è diventato più complesso il trattamento dei gas di scarico, i costi di produzione sono aumentati di 400-500 euro e sono spariti i propulsori a gasolio ultrapiccoli.
Tuttavia sull’alto di gamma continua a non esserci partita, neppure con gli ibridi». Perché il pubblico non si è invaghito per caso del turbo a gasolio: «Piace per motivi economici e prestazionali: ha valori di coppia stratosferici e una notevole efficienza motoristica, riuscendo a sfruttare il 40/45 per cento dell’energia del carburante per trasformarla in energia di movimento, mentre i motori a benzina viaggiano tra il 30 e il 35 per cento», sottolinea Nascimbene. Il condirettore di “Quattroruote” non è stupito del fatto che, dopo lo scoppio dello scandalo Volkswagen, la gente non abbia voltato le spalle al diesel: «Non si è verificato il fenomeno di colpevolizzazione del diesel, il pasticcio è stato visto soprattutto come di marca Volkswagen: ha combinato il guaio, lo dovrà risolvere lei. E nei Paesi mediterranei, dove il cliente guarda all’affidabilità, al divertimento di guida, alla tenuta del valore dell’usato, le colpe del gruppo tedesco non sono in cima ai pensieri del potenziale acquirente».
Ricorda Nascimbene che da noi, per esempio, le versioni a basso impatto che tanto piacciono al pubblico del Nord Europa spesso non vengono neppure importate: «In Gran Bretagna, in Danimarca, in parte della Germania, molte persone calcolano davvero quanta CO2 emetterà la propria vettura portandole al lavoro o al cinema. L’approccio mentale degli italiani, e dei latini in genere, è decisamente diverso».
Dice ancora Marinoni di Roland Berger: «La fase di grande cambiamento che l’industria dell’auto deve affrontare consente anche a molte imprese italiane di partecipare attivamente alla rivoluzione: penso ai fornitori di secondo o terzo livello, quelli che vendono componenti importanti a colossi come Bosch, BorgWarner, Honeywell. In Italia siamo fortissimi nel risolvere problemi ad altissimo contenuto tecnologico, dove le grosse dimensioni non sono obbligatorie. Sono anche aziende di questo genere che possono inventare soluzioni decisive nella lunga filiera del power-train. Dei nomi? Mi vengono in mente la Irca del gruppo Zoppas, che produce resistenze ed è innovativa nel trattamento dei gas di scarico post-combustione, e la friulana Brovedani, che si occupa di iniezione».
Il diesel ha quasi 120 anni di vita ma gli investimenti corposi per svilupparlo si sono concentrati soprattutto negli ultimi vent’anni, dopo l’introduzione del common-rail. Spiega il professor Orecchini: «Rispetto al benzina, il diesel partiva svantaggiato: dev’essere più pesante, per il sistema di combustione spontanea, richiede materiali più pesanti ed è, di base, più sporco. Lo sforzo economico e tecnico per affinarlo è stato gigantesco, e i passi avanti sono stati enormi. È diventato pulito, efficiente, bello da guidare. Un colossale impegno che ha trovato sbocchi solo in una delle grandi macro-aree, l’Europa, che ha conquistato per metà».
I maxi-investimenti sono stati ripagati, ritiene Orecchini, e il prossimo decennio può essere quello giusto «per sfruttare la fine della corsa e iniziare a puntare su altro, cioè sulla progressiva elettrificazione. Il declino del diesel sarà gestito come un atterraggio morbido, perché tutti hanno già avviato importanti piani produttivi che non possono essere cancellati di botto. Però, se vuole avere un domani, l’industria dell’auto europea deve pensare al mondo intero: le vetture a gasolio, fuori dal Vecchio Continente, non sono mai veramente decollate; da 15 anni hanno provato a sfondare negli Usa, sono arrivate al 4 per cento e lo scandalo delle centraline potrebbe averle azzoppate per sempre, oltre Oceano.
È destinato a essere tagliato fuori anche dal pianeta dell’ibrido, dove sembra aver vinto il matrimonio dell’elettrico con la benzina. Mercedes a parte, chi ha provato a lanciare l’accoppiata diesel/elettrico – come Volvo e gruppo Psa – ha già fatto marcia indietro. Tuttavia, e paradossalmente anche grazie agli obiettivi di abbattimento della CO2 chiesti da Bruxelles, il bastione europeo del gasolio reggerà ancora diversi anni. Sempre che non salti fuori il taroccamento di massa del software disonesto.