Le quotazioni del metallo sono tornate a crescere dopo anni di ribassi. Perché il terremoto delle borse delle ultime settimane spaventa molti investitori che cercano un bene rifugio. Ma anche potenziali guadagni record
di Paola Pilati
26 gennaio 2016
oroQuasi cinque anni di orso, e ora l'oro sta per prendersi la rivincita. In discesa dal 2011, il metallo giallo è in grande spolvero da qualche settimana, tornato sopra i 1100 dollari l'oncia. E i segnali che non si tratta di un fuoco di paglia ci sono tutti. Intanto l'inflazione, che resta bassa negli Usa, e allontana la possibilità che la Fed tenga fede agli aumenti di tasso previsti nel 2016 (quattro, per raggiungere l'1 percento a fine anno secondo il programma). Forse saranno di meno e la Yellen si fermerà prima.
Poi c'è il dollaro, destinato quindi a indebolirsi, con ciò rendendo l'oro, quotato in dollari, più a buon mercato. Infine l'altro fattore che spinge la quotazione è la turbolenza dei mercati che si è scatenata da inizio anno, e che non è detto sia finita. Così, nel giro di pochissimo tempo, il clima degli investitoti intorno all'oro si è letteralmente rovesciato.
A fine 2015 l'umore dominante era quello della fuga. Il più grande Etf sull'oro, lo Spdr Gold Shares, nel 2015 ha perso l'11 per cento circa, dopo una serie nera in discesa che in tre anni ha bruciato il 39 per cento del suo valore dal picco record di 1900 dollari l'oncia di settembre 2011. A dicembre scorso, tanto per dire, l'olandese Amro Bank prevedeva che l'oro sarebbe planato sui 900 dollari l'oncia nel giro di pochi mesi nel 2016.
Ma il terremoto dei mercati dei giorni scorsi ha cambiato lo scenario. E la paura che il futuro sarà più grigio del previsto, soprattutto per l'economia americana, ha contagiato molti gestori di fondi. E molti investitori. Che hanno ricominciato a pensare all'oro come un modo per abbattere il rischio. Proprio come è avvenuto negli anni del QE americano, il quantitative easing con cui la Fed ha inondato di dollari il mercato, facendo scendere il valore del biglietto verde e aumentare quello dell'oro, che ha giocato il ruolo di “antivaluta” il cui valore non poteva venire eroso in quanto agganciato a un metallo fisicamente poco disponibile.
Da inizio gennaio, gli Etf dell'oro hanno visto arrivare un miliardo di dollari di investimenti nuovi di zecca. Se l'economia Usa non dovesse crescere secondo le previsioni (i segnali sono contraddittori), gli aumenti dei tassi verrebbero rinviati. E con i tassi bassi l'oro, che non paga cedole, resterebbe attraente.
Non solo. La produzione di oro sta scendendo. Nel momento della crescita delle quotazioni, con il prezzo esploso in poco tempo da 300 a 1900 dollari, molti progetti di estrazione erano diventati economicamente sostenibili. Adesso invece, col declino del prezzo anno dopo anno, molti progetti sono stati abbandonati, le miniere sono state chiuse e le ricerche interrotte.
Per cavalcare la nuova onda, che possono fare gli investitori? Possono comprare monete e lingotti, come fanno molti prendendo d'assalto i rivenditori di sterline e rand, oppure investire sugli Etf, gli exchange traded fund, basati o sull'oro fisico, o sulle miniere d'oro. Queste ultime vengono viste come ancora più attraenti per chi vuole spuntare guadagni potenziali più alti (sono quindi più a rischio), in quanto un aumento anche non tanto grande della quotazione si traduce in guadagni significativi per l'industria mineraria. Un esempio? Se il costo di produzione è 900 dollari l'oncia, e il prezzo di vendita è 1000, con un guadagno di 100 dollari il profitto è dell'11 per cento; con un prezzo di 1100 dollari, il profitto dell'industria mineraria è di 200 dollari, cioè sale al 22 per cento.
Un altro argomento usato dai sostenitori di un nuovo bull market dell'oro è che ormai il mercato è davvero globale. Cioè si svolge per il 90 per cento fuori dagli Usa, e in valute diverse dal dollaro e spesso svalutate. La Cina da sola produce il 15 per cento del totale, l'America centrale e meridionale con il 17 per cento, il Nordamerica il 15, l'Africa il 20 per cento e la Cis, la comunità degli stati indipendenti dell'ex Urss per il 14 per cento. Un terzo del totale è oro che proviene dal riciclaggio del metallo già estratto. Ed è diventato oggetto del desiderio di strati sempre più ampi e diffusi di popolazione.
Persino le banche centrali – che fino a poco tempo fa erano venditrici di quote delle proprie riserve auree - hanno giocato un ruolo importante nel mutamento di clima sull'oro, aumentando le riserve di 500 tonnellate nel corso del 2015. Probabilmente anche loro hanno pensato che fosse una buona assicurazione contro gli alti e bassi della finanza e contro il rischio, ruolo che una volta in un portafoglio svolgevano i bond ma che ora non riescono più a svolgere.
Il World Gold Council (che è di parte rappresentando l'industria estrattiva) sostiene che è dimostrato da ricerche che nel lungo termine avere dal 2 al 10 per cento del proprio portafoglio investito in oro aiuta a migliorarne la performance. Perché fa da antidoto alla volatilità dei mercati borsistici, ed essendo facilmente liquidabile fa anche da riserva di sicurezza nei momenti di rischio sistemico. E la correlazione rovesciata con il dollaro – se quest'ultimo scende quello sale - protegge dalla svalutazione della moneta.
Accodarsi al trend e correre a comprare, dunque? Quel che è certo è che il mood sulle Borse, fino a pochi giorni fa tutto all'insegna delle magnifiche sorti e progressive, ha sbattuto contro un'amara realtà. E che la turbolenza non si è affatto placata. Basta dare una occhiata all'ultimo report di Morgan Stanley Research, che sottolinea come i gestori dei fondi siedano adesso sopra un montagna di titoli che ha perso da inizio anno qualsiasi collegamento con il benchmark con cui devono vedersela. E che quindi cominceranno a revisionare i portafogli. Le scosse di aggiustamento sui mercati insomma non sono finite. Urge una zattera solida.