Jens Weidmann, in quest'Europa non c'è spazio per la solidarietà
Il Presidente e rappresentante della Bundesbank presso la Bce ha bacchettato l'Italia. Ribadendo in questa intervista le ragioni dell'austerità"
Nella sala gremita della residenza dell’ambasciatore tedesco a Roma si affollano giornalisti e rappresentanti delle istituzioni, manager pubblici e banchieri privati. Tutti giunti ad ascoltare la conferenza stampa di Jens Weidmann, il presidente della Deutsche Bundesbank, la banca centrale della Germania.
Cinquant'anni, economista monetario, il suo destino è stato fino ad oggi strettamente legato a quello di Angela Merkel. Nominato dalla Cancelliera a direttore della divisione di politica economica e finanziaria del governo tedesco nel 2006, dal 2011 è passato alla banca centrale tedesca. Negli ultimi mesi sta girando senza sosta tutta l’Europa per spiegare le politiche e gli obiettivi della Germania e dell’Europa. Convinto sostenitore delle politiche di austerità, spiega che nell’attuale Unione non è possibile promuovere né la solidarietà auspicata dal governo italiano né alcun taglio ai debiti pubblici nazionali. L’unica strada possibile è quella dell’austerità. A meno che non si proceda verso la creazione di un unico Stato europeo.
Presidente Weidmann, recentemente il ministro delle finanze italiano Pier Carlo Padoan ha detto che “una unione monetaria più forte necessita di forti istituzioni comunitarie.” E’ d’accordo? Pensa anche Lei che per salvare l’Euro sia indispensabile procedere verso la creazione di un unico Stato europeo?
Il ragionamento di Padoan è simile a quello che l’ex Cancelliere tedesco Helmut Kohl fece in occasione della conferenza di Maastricht, quando affermò che fosse anomala “l’idea di mantenere in modo duraturo un’unione economica e monetaria senza un’unione politica.” Che è però quello che stiamo vivendo oggi. L’euro è quello che Tommaso Padoa Schioppa definì come una “moneta senza Stato”, cioè un’unione monetaria che prevede una politica monetaria comune, ma 19 politiche economiche e finanziarie nazionali diverse e ampiamente autonome. Questa combinazione genera, come vediamo, gravi problemi. Una “moneta senza Stato” necessita pertanto di regole che coordinino le politiche nazionali e per questo motivo appartengono alle norme di coordinamento dell’Unione monetaria il principio del “non salvataggio finanziario” e il divieto del finanziamento monetario del settore pubblico.
IL DISCORSO INTEGRALE DIJENS WEINDMANN
Quali sono gli aspetti più pericolosi per la stabilità dell’intero sistema europeo?
L’elevato indebitamento pubblico a livello nazionale di alcuni Stati. Esso può risultare allettante agli occhi del singolo Paese ma è nocivo per l’area dell’euro nel suo complesso, perché un incremento del debito in un singolo Stato membro può determinare un innalzamento dei tassi di interesse a lungo termine per tutti gli Stati dell’eurozona. In questo modo l’indebitamento di uno Stato può far sprofondare l’intera area dell’euro e così i Paesi membri potrebbero vedersi costretti ad assumersi la responsabilità per i debiti dello Stato in questione. Cosa, questa, che porterebbe alla caduta di un importante pilastro dell’Unione monetaria, cioè del principio di responsabilità. L’indebitamento eccessivo degli Stati membri rischia di indurre a esercitare pressione sulla propria politica monetaria, quella che gli economisti definiscono come dominanza fiscale.
E' ciò che è avvenuto con la Grecia. Cosa resta, in tutto questo, dei principi di solidarietà ai quali si appellavano i padri costituenti della Comunità europea?
Al fine di garantire la solidità dell’Unione monetaria il quadro normativo di Maastricht prevede stretti limiti alla solidarietà finanziaria tra gli Stati membri. Solidarietà deve voler significare l’assunzione delle proprie responsabilità da parte degli Stati e non rendere responsabili gli altri delle conseguenze delle proprie decisioni. Chi accumula debiti più elevati rispetto ad altri deve pagare per questo anche interessi più elevati sui mercati dei capitali.
Anche senza solidarietà il sistema europeo mostra ancora la sua enorme debolezza complessiva. Entrando in crisi a seguito del solo rischio di default di uno Stato marginale come la Grecia…
Con la Grecia sono in corso le trattative. Il governo Tsipras ha mostrato di avere cambiato opinione e essere disponibile ad attuare le direttive. Questa è la strada da seguire. Allentando, invece, il principio del “non salvataggio finanziario”, si generano nuovi e gravi problemi di natura economica e politica. Se gli Stati non si vedono in grado di ripagare gli aiuti finanziari ricevuti, ciò può generare tensioni politiche, come tra l’altro l’introduzione di vincoli agli aiuti finanziari, cosa che viene spesso vissuta come una intromissione eccessiva nella sovranità nazionale.
A protestare per la mancanza di solidarietà è stato negli ultimi mesi anche il nostro governo. Che cosa rimprovera all’Italia?
In Italia, come in altri Paesi, la disoccupazione era già troppo alta anche prima della crisi. Segno questo che una parte significativa dei problemi economici dell’area dell’euro sono di natura strutturale e non congiunturale. Per questo motivo in Italia, oltre al Jobs Act, sono necessarie altre riforme strutturali col fine di raggiungere a lungo termine conti pubblici solidi e strutture economiche competitive. Deve poi essere creata ancora una amministrazione funzionante e affidabile, una giustizia certa e veloce e un apparato statale più efficiente nel suo complesso. L’elevato indebitamento delle famiglie e delle imprese e gli alti livelli di crediti deteriorati frenano ancora le attività economiche e in particolare gli investimenti e la concessione dei crediti. Con il nuovo strumento rappresentato dal Fondo nazionale di risoluzione creato per assorbire i crediti in sofferenza, anche l’Italia ha intrapreso la giusta strada.
Se la crisi è strutturale serviranno però delle riforme non solo in Italia, ma in tutto il sistema europeo…
In Europa bisogna continuare sulla strada della responsabilità. Una politica di bilancio meno austera è sicuramente in grado di mettere in moto temporaneamente la crescita. Tuttavia una crescita duratura nel lungo periodo non può sorreggersi su una montagna di debiti in continuo aumento. La politica monetaria comune si deve orientare alle necessità dell’intera area dell’euro, la stessa non può agire considerando le esigenze dei singoli Stati membri e la crisi lo dimostra. Banche in difficoltà e Stati destabilizzati sono affondati insieme. In questo senso sono ipotizzabili due alternative: o gli Stati trasferiscono sia il potere decisionale sia la responsabilità per le questioni di bilancio a livello europeo, ad esempio nella forma di una unione fiscale europea; oppure gli Stati continuano ad avere la sovranità sul bilancio, sopportando però anche le responsabilità per le conseguenze. Una vera unione fiscale europea potrebbe effettivamente ristabilire la giusta armonia tra le azioni e la responsabilità.
Quali misure devono essere adottate nella pratica per passare dallo stato attuale all’auspicata unione fiscale?
Un’unione fiscale europea sarebbe il passo più grande nel processo di integrazione dall’introduzione dell’euro a oggi. Per questo servirebbero ampie modifiche ai trattati europei attraversi referendum negli Stati. A mio avviso si tratta di ostacoli enormi. Al momento non vedo la volontà di superare questi limiti, né in Italia, né in Germania, né in altri Paesi. Matteo Renzi, per esempio, ha dichiarato in occasione della presentazione del bilancio italiano che la politica fiscale italiana viene fatta in Italia e che l’Italia non permette che essa venga dettata dai burocrati di Bruxelles.
Lei sta quindi dicendo che, allo stato attuale, non ci sono le condizioni per procedere nella creazione di un’unione doganale. Quali sono le strade alternative per salvare l’euro?
Finché si mantenere la sovranità degli Stati membri nelle questioni di bilancio l’unica via da percorrere è quella di attribuire agli Stati membri le responsabilità per le proprie azioni, attraverso politiche di austerità. Servirebbe poi un minore grado di libertà della Commissione europea nello svolgimento delle attività di controllo sulle regole di bilancio. La Commissione, infatti, si trova in una situazione di conflittualità degli obiettivi: da un lato deve agire come garante dei Trattati e controllare l’applicazione delle regole; dall’altro è una istituzione politica chiamata a mediare tra gli interessi più diversi. Il risultato è che tende continuamente a scendere a compromessi a danno del rispetto del bilancio. Una autorità fiscale europea, che assume il compito del controllo di bilancio attualmente di competenza della Commissione, sarebbe una soluzione a questo problema.
Presidente Weidmann, il governo italiano continua a spingere per la strada della solidarietà. Pier Carlo Padoan ritiene che “la condivisione dei rischi e delle responsabilità rappresentino forti incentivi a rispettare le regole e a prevenire comportamenti opportunistici”. E’ d’accordo?
No, non lo sono. Sono invece d’accordo con Mario Draghi quando dice che “coloro che affermano che solo una classica federazione possa essere duratura, alzano troppo l’asticella.” Con la realizzazione dell’Unione bancaria è stato compiuto un passo molto importante del processo di integrazione. Ora è giunto il momento di decidere se il passo finale possa essere quello di osare un salto di qualità verso una maggiore integrazione oppure se debba essere rafforzato il principio della responsabilità sancito dal quadro di Maastricht. Sicuramente una integrazione politica più forte sarebbe una soluzione per rendere l’Unione monetaria più robusta. Tuttavia già una unione fiscale europea comporterebbe modifiche ai Trattati europei e referendum negli Stati membri. Un effettivo trasferimento della sovranità di bilancio in capo a una struttura europea sarebbe altrimenti irrealizzabile. Se si ha timore della rinuncia alla sovranità nazionale, il rafforzamento del quadro esistente rimane l’unica alternativa per rendere l’Unione monetaria più stabile. Anche in tal caso azioni e responsabilità devono andare di pari passo.