Maxi-tangenti Eni, giallo in Nigeria: killer sparano al capo dell'anticorruzione

Inchiesta de L'Espresso sulle manovre, politiche e criminali, per fermare le indagini internazionali sulla corruzione petrolifera. I documenti svelano che la società italiana, ora indagata anche in Africa, rischia sanzioni colossali: da 3 a 9 miliardi 

Depistaggi dentro le istituzioni in Italia. E omicidi eccellenti in Nigeria. All'ombra di maxi-tangenti e processi miliardari per il petrolio.

Mentre in Italia un magistrato di Siracusa e un avvocato siciliano dell'Eni venivano inquisiti e poi arrestati con l'accusa-choc di aver inventato una falsa inchiesta penale, nel tentativo (fallito) di bloccare le vere indagini della procura di Milano su una maxi-corruzione petrolifera in Nigeria, nel più popoloso paese africano è successo molto di peggio: un commando di killer ha tentato di ammazzare il capo dell'autorità anticorruzione, Ibrahim Magu, che si è salvato per miracolo. Nella sparatoria è rimasto ucciso un poliziotto della sua scorta.

Lo scrive l'Espresso che, nel numero in edicola da domenica 18 febbraio, ricostruisce mesi di manovre, politiche e criminali, in corso in Nigeria e in altri paesi per bloccare indagini e processi sulla super-tangente da oltre un miliardo addebitata a Eni e Shell. Lo stesso caso di corruzione internazionale è al centro del processo contro i vertici delle due società petrolifere che si aprirà a Milano il prossimo 5 marzo, il giorno dopo le elezioni. E rappresenta anche il capitolo più velenoso delle indagini di Roma e Messina su una cordata di presunte toghe sporche al servizio dell'Eni.

L'autorità anticorruzione nigeriana indaga da mesi, con gli inquirenti italiani, americani, britannici e olandesi, sulla sparizione dell'intero prezzo versato da Eni e Shell nel 2011 per un enorme giacimento di greggio: un miliardo e 92 milioni dollari, destinati sulla carta allo Stato africano, ma in realtà totalmente intascati da ex ministri, parlamentari, politici, generali e faccendieri legati all'ex presidente Jonathan. In questi mesi Magu, 54 anni, ex poliziotto, nominato dall'attuale presidente Buhari, si è opposto a pesanti pressioni politiche per bloccare i processi in Nigeria. E ha chiesto di annullare la licenza petrolifera di Eni e Shell, per riassegnarla con una regolare asta internazionale. Appena 48 ore prima di trovarsi i killer sotto casa, Magu aveva dichiarato al Parlamento che «contro la corruzione in Nigeria dobbiamo agire o morire».

In questo quadro di clamorosi depistaggi in Italia e attentati in Africa, L'Espresso ha esaminato anche i documenti che quantificano le possibili conseguenze economiche della maxi-corruzione. L'Eni, che è controllata dallo Stato italiano, corre rischi legali colossali: il bilancio finale dello scandalo potrebbe salire da 3 fino a 9 miliardi.

Nel marzo 2017, in un'intervista a L'Espresso, proprio Magu aveva quantificato la «soglia minima» delle sanzioni applicabili a Eni e Shell: «Chiederemo multe per almeno due miliardi di dollari e il ritiro della licenza petrolifera». Un parere giudiziario inviato al governo nigeriano ipotizza però sanzioni fino a 6,5 miliardi. Oltre alla perdita del giacimento miliardario.

La Nigeria è una nazione ricchissima di gas e petrolio, ma con una popolazine poverissima. L'inchiesta sulla gigantesca corruzione petrolifera, nata da una denuncia dell'organizzazione internazionale Re:Common, spiega anche perché migliaia di nigeriani continuano a scappare dal loro paese per emigrare in Italia.

LEGGI ANCHE

L'E COMMUNITY

Entra nella nostra community Whatsapp

L'edicola

Siamo tutti complici - Cosa c'è nel nuovo numero dell'Espresso