Il rapporto
Cybersicurezza: crescono le nuove imprese. Il Lazio capofila per fatturato
Lo studio di Unioncamere sulla nascita di aziende per la protezione dei dati informatici. Tremila in Italia, trend in aumento al ritmo del 6 per cento l’anno. E gli addetti sono oltre 28 mila
La protezione dei nostri dati e delle nostre comunicazioni digitali è diventato un settore sempre più centrale per l’economia. E se la minaccia degli hacker, come dimostrano sempre più numerosi casi di cronaca, è sempre più pressante, dall’altra parte della barricata si registra una crescita costante di imprese di cybersicurezza.
Le società italiane attive in questo settore sono quasi tremila e in costante crescita. Dopo il boom del periodo 2017-2019, in cui le aziende sono quadruplicate (+300%), negli ultimi due anni è mezzo si è registrata una crescita del 6%. A rivelarlo è un’elaborazione di Unioncamere-InfoCamere sui dati del Registro delle imprese delle Camere di Commercio che mostra negli ultimi anni anche l’aumento nel numero degli addetti (+7.000 tra il 2018 e il 2020), passati da 21.500 a 28.400 unità. Vuol dire che ogni azienda ha in media 15 dipendenti.
Ma anche in questo settore si riscontrano forti differenze tra le varie regioni: la Basilicata nel 2020 aveva 52 addetti, la Campania e l’Emilia Romagna rispettivamente 1.474 e 1.536. Più di 5.000 unità per Lazio, Lombardia e Trentino Alto Adige (64% di tutto il settore), con un’altissima concentrazione in quest’ultima, 339 per azienda, mentre le prime due si fermano a 15 e 21.
Il dato più rilevante è però quello relativo al valore di produzione: per le 815 imprese costituite nella forma di società di capitale che hanno presentato il bilancio negli ultimi tre anni (il 32% del totale), è aumentato del 58% rispetto a quello realizzato dalle stesse imprese nel 2018, per circa tre miliardi di euro. La prima regione per fatturato è il Lazio, 1.3 miliardi, 44,8% del totale. Seconda la Lombardia con 754 milioni, mentre la terza regione, molto distaccata, è l’Emilia-Romagna (294 milioni).
Dopo gli attacchi hacker della scorsa estate, non solo alla Regione Lazio, ma anche alla Colonial Pipeline, l’oleodotto che porta il carburante dal Texas a New York, o all’ Electronic Arts, la più famosa società di videogiochi, si è resa ancora più manifesta la necessità di proteggersi dagli attacchi provenienti dal web. Lo schema dei “pirati” consiste spesso nell’adescare un pesce distratto nel mare magnum del’Internet. «L’anello debole è l’essere umano», spiega Alessandro Curioni, uno dei massimi esperti di cybersicurezza in Italia. «Mandare una mail fasulla e chiedere di cliccare sul link malevolo è assai più facile che architettare un attacco informatico. Otto volte su dieci la trappola scatta così».
La difesa base, come avvenuto per il Colonial Pipeline e la Regione Lazio, che ha chiesto difatti aiuto all’Fbi e ha usufruito di un software made in Usa, è quella di eseguire il backup, la copia di sicurezza dell’archivio su un server. Ma molto spesso non è sufficiente, e per questo motivo sta aumentando costantemente la richiesta di società che rendano sicuri i dati e le informazioni, gli ostaggi del secolo XXI.