Economia
3 febbraio, 2021

Da Mediobanca a Generali, la scalata al potere del miliardario Leonardo Del Vecchio

<p>Leonardo Del Vecchio</p>
<p>Leonardo Del Vecchio</p>

Il fondatore di Luxottica sta rastrellando azioni della banca d'affari che fu di Enrico Cuccia. Ma l'obiettivo finale è il gruppo assicurativo di Trieste. Un'operazione che può ribaltare gli equilibri dell'alta finanza italiana

Nello stagno dell’economia italiana, schiacciata tra l’emergenza Covid e un futuro più incerto che mai, si muove una trottola che macina miliardi. Da mesi, in un crescendo di affari e di ambizioni, Leonardo Del Vecchio sta giocando da protagonista la partita che deciderà gli equilibri di potere della finanza nostrana. È una partita complessa, con mille variabili in gioco, compresa quella della politica romana.

Intanto, però, la trama del racconto porta fino in Lussemburgo, che garantisce burocrazia snella e zero tasse, o quasi. Nel Granducato si trova la holding Delfin, ovvero la cassaforte in cui Del Vecchio custodisce la quota di controllo (il 32 per cento) di Esillor Luxottica, il leader mondiale delle lenti e degli occhiali. Allo stesso indirizzo lussemburghese, di recente sono stati parcheggiati alcuni pacchetti azionari di importanza strategica per il controllo del sistema finanziario nazionale. Cominciamo dalla fine: nei primi giorni di febbraio  il fondatore di Luxottica ha rastrellato 11 milioni di titoli Mediobanca per un valore di oltre 80 milioni, raggiungendo così una quota del 13,2 per cento circa del capitale. Quest’ultima incursione si aggiunge a una lunga serie di acquisti cominciata nell’autunno del 2019, quando Del Vecchio annunciò di possedere il 7 per cento circa dell’istituto che fu di Enrico Cuccia.

La Bce ha già autorizzato lo scalatore a salire fino al 20 per cento, ma Del Vecchio non ha fretta. Forte di un patrimonio personale di oltre 20 miliardi, mister Luxottica può permettersi di dosare gli acquisti nel tempo sfruttando al meglio gli alti e bassi della quotazione. Resta al momento senza risposta l’interrogativo di fondo: qual è l’obiettivo finale di un’operazione senza precedenti sul palcoscenico della Borsa italiana? Nessun singolo investitore si era infatti mai lanciato in una scalata solitaria della più importante banca d’affari nazionale. I tempi sono cambiati.

Mediobanca non è più la stanza di compensazione del capitalismo tricolore, ma l’istituto oggi guidato dall’amministratore delegato Alberto Nagel resta comunque l’azionista principale delle Assicurazioni Generali con una quota del 13 per cento. Se consideriamo che lo stesso Del Vecchio possiede un altro 4,8 per cento della compagnia, si capisce perché gli analisti abbiano interpretato sin da principio le mosse dello scalatore come una manovra per arrivare al controllo del Leone di Trieste. Già nove anni fa, nella primavera del 2012, il patron di Luxottica aveva rovesciato il tavolo innescando il ribaltone che portò alle dimissioni di Giovanni Perissinotto, il capo azienda dell’epoca.

Questa volta la posta in gioco è diversa e, se possibile, ancora più ricca. Le Generali hanno un assetto azionario che, almeno in teoria, si presta ai colpi di mano. Il 40 per cento circa del capitale è in portafoglio a investitori cosiddetti istituzionali, categoria estremamente variegata che comprende per esempio fondi pensione ed hedge fund. Un altro 20 per cento fa capo a una platea di decine di migliaia di risparmiatori. Infine, ci sono altri due soci pesanti come l’immobiliarista ed editore romano Francesco Gaetano Caltagirone, che è anche vicepresidente, con il 5,4 per cento, e la famiglia Benetton, forte di un 4 per cento. Sulla carta, quindi, c’è spazio per chi volesse tentare un colpo di mano. Non per niente, da anni la compagnia triestina è al centro di voci su ipotetiche scalate da parte di concorrenti stranieri come il gruppo francese Axa, mentre una parte del mondo politico, soprattutto nel centrodestra, periodicamente rilancia l’allarme sulle oscure manovre della finanza d’Oltralpe.

Al momento, però, la partita si gioca sullo scacchiere italiano. Del Vecchio ha fatto una scommessa da un paio di miliardi, cioè il valore delle sue partecipazioni in Mediobanca e Generali. Pare difficile, quindi, che si accontenti di incassare i dividendi senza dire la sua sulla gestione. In autunno c’era chi ipotizzava che il nuovo arrivato avrebbe fatto pesare la sua posizione di primo azionista della banca d’affari, magari per chiedere un deciso cambio di strategia. Non è successo niente.

L’amministratore delegato Nagel è rimasto al suo posto e in occasione dell’assemblea dei soci dell’ottobre scorso Del Vecchio si è limitato ad appoggiare la lista di consiglieri proposta dagli investitori istituzionali, senza andare allo scontro con i membri del patto di consultazione (Doris, Berlusconi, Benetton Gavio, Ferrero e molti altri) che con il 12,6 per cento del capitale esprime la maggioranza dei componenti del board. Archiviato senza conseguenze quel primo confronto tra soci, lo scalatore non ha mai smesso di comprare azioni Mediobanca ed è probabile che il rastrellamento prosegua senza dare troppo nell’occhio. Nel frattempo, a Trieste, sono sempre più frequenti i segnali di una possibile rottura delle intese che hanno fin qui assicurato la stabilità degli assetti di vertice delle Generali. Un’occasione per chi, come Del Vecchio, da mesi sta scaldando i muscoli in vista di un’imminente resa dei conti.

La prima scossa risale a poche settimane fa, ai primi di gennaio, quando negli ambienti finanziari hanno preso consistenza le voci che davano per partenti il direttore generale Frédéric De Courtois e il responsabile investimenti Timothy Ryan, due manager del gruppo assicurativo chiamati a Trieste negli anni scorsi dall’amministratore delegato Philppe Donnet. La quasi totalità degli osservatori interpreta la doppia uscita come la conferma che la posizione del numero uno Donnet non è più salda come un tempo.

La crisi economica, unita al crollo dei tassi d’interesse, ha lasciato il segno sui conti del gruppo, che a fine settembre, nell’ultima trimestrale, ha visto calare del 40 per cento i profitti. A pesare sul futuro prossimo sono anche gli sviluppi, per ora imprevedibili, del caso Cattolica, la compagnia in difficoltà di cui Generali nel giugno scorso ha comprato una quota del 25 per cento del capitale per 300 milioni. L’Ivass, l’ente di vigilanza delle assicurazioni, indaga da mesi sui conti e sulla gestione recente di Cattolica e adesso anche la Consob ha avviato accertamenti sull’andamento del titolo nei giorni in cui è stato annunciato l’intervento del gruppo triestino.

C’è il sospetto che qualcuno a conoscenza in anticipo dell’operazione ne abbia approfittato per speculare in Borsa. Sta di fatto che da allora la quotazione di Cattolica ha perso quasi il 30 per cento rispetto al prezzo pagato per la sua quota da Generali, che quindi ora viaggia in perdita di circa 90 milioni. Non è una somma enorme per un gruppo che nei primi nove mesi del 2020 ha prodotto oltre un miliardo di profitti. Ben più preoccupanti sarebbero le conseguenze in termini d’immagine e reputazione per la compagnia, se le indagini di Consob e Ivass dovessero scoprire irregolarità in una società su cui Generali ha puntato 300 milioni.

Facile prevedere, a questo punto, che nei prossimi mesi il numero uno Donnet sarà chiamato a gestire una situazione più complicata del previsto e il fatto che, come disposto dalle autorità di vigilanza, l’anno scorso la compagnia di Trieste, al pari di tutti i concorrenti, non abbia potuto distribuire il dividendo non contribuisce certo a migliorare l’umore degli azionisti. Nessuno tra i grandi soci si è fin qui esposto, ma Del Vecchio, come ha più volte dimostrato nella sua lunga carriera, non è il tipo che si tira indietro se deve chiedere conto di una gestione che non lo soddisfa. Dopo mesi di manovre in Borsa, mai come adesso il patron di Luxottica, giunto alla veneranda età di 85 anni, si trova nella posizione di far valere le sue ragioni. Sarebbe il coronamento di una vicenda umana straordinaria: l’imprenditore partito dal nulla, l’orfano cresciuto nel collegio milanese dei Martinitt, che mette in riga l’aristocrazia del capitale.

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