Oltre al denaro versato dall’azionista pubblico servono altri 900 milioni da raccogliere sul mercato. Ma con le Borse in ribasso e una crisi economica in vista diventa sempre più difficile convincere i grandi investitori internazionali. Che attendono segnali chiari dal nuovo governo

Per traghettare verso un porto sicuro il Monte dei Paschi di Siena non sono bastati 22 miliardi in 11 anni. Una montagna di denaro inghiottita dal buco nero di conti perennemente in perdita, tra aumenti di capitale, aiuti di Stato, ribaltoni al vertice (quattro amministratori delegati nell’arco di un decennio) e solenni impegni mai mantenuti dalla politica. Con queste premesse, la banca più inguaiata d’Italia si prepara a chiedere altri 2,5 miliardi di euro al mercato. Non ci sono alternative, quei soldi servono tutti e subito. E infatti, nei piani annunciati da Luigi Lovaglio, il banchiere di lungo corso da otto mesi al timone dell’istituto, l’operazione partirà a metà ottobre per concludersi trenta giorni dopo. Difficile immaginare un periodo peggiore per affrontare gli investitori internazionali. E la pioggia di vendite che nei giorni scorsi ha accolto in Borsa il raggruppamento dei titoli Mps (uno ogni dieci) suona come l’ultima conferma che il mercato scommette al ribasso sul salvataggio.

 

Le incognite sul futuro dell’istituto, che non viaggia più in perdita ma deve rafforzare il patrimonio, vanno proiettate su uno scenario economico quanto mai instabile, con la crescita del Pil in frenata e una possibile recessione nel primo trimestre dell’anno prossimo. Senza contare che proprio nelle prime settimane d’autunno, i mercati dovranno valutare il rischio Italia alla luce del cambio di governo e la probabile nomina a Palazzo Chigi di Giorgia Meloni. Nonostante la svolta accomodante di queste ultime settimane, la leader di Fratelli d’Italia, a lungo populista, nazionalista e statalista in economia, dovrà impegnarsi ancora molto per cancellare dubbi e sospetti nei suoi confronti molto diffusi tra Francoforte (sede della Bce), Bruxelles, Londra e Washington, nel giro che conta della finanza internazionale.

ECONOMIA
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26/9/2022

Il governo di Roma, dove a breve si insedierà la coalizione di centrodestra, quattro anni fa è stato costretto a prendere il controllo di Mps per evitarne il crack. Nel 2018 il ministero dell’Economia mise sul piatto 5,4 miliardi per rilevare il 68 per cento circa del capitale dell’istituto, un investimento andato in fumo quasi del tutto, visto che alle quotazioni di Borsa di questi giorni il Monte vale poco più di 300 milioni. In mancanza di un compratore a cui girare la sua quota, l’azionista pubblico non potrà fare altro che sborsare circa 1,6 miliardi per fare la sua parte nel prossimo aumento di capitale ed evitare il flop dell’operazione. Va detto che sul futuro dell’istituto i partiti del centrodestra hanno dimostrato di avere idee quantomeno ondivaghe se non confuse.

 

Maurizio Leo, il tributarista romano considerato una delle menti economiche di Fratelli d’Italia, meno di un mese fa aveva proposto di rinviare a tempi migliori l’aumento di capitale, di sicuro a dopo le elezioni. Nel giro di poche settimane, forse in omaggio alla svolta moderata della leader del suo partito, Leo ha corretto il tiro, spendendo qualche parola a sostegno dell’amministratore delegato Lovaglio. Per Matteo Salvini, invece, Mps dovrebbe diventare il perno di un’aggregazione bancaria più vasta con l’obiettivo per finanziare le piccole medie imprese. Una dichiarazione d’intenti che però è sempre rimasta tale, sospesa nel chiacchiericcio della politica, senza un piano preciso per dare sostanza all’operazione.

Luigi Lovaglio

Dato per scontato l’appoggio dell’azionista pubblico, Siena dovrà comunque trovare il modo di raccogliere sul mercato gli altri 900 milioni indispensabili per completare l’aumento. Sarà difficile trovare adesioni nel popolo dei piccoli azionisti, giustamente sfiduciati dopo un decennio di tosature. I soldi vanno quindi cercati altrove. E infatti, negli ultimi dieci giorni Lovaglio ha viaggiato tra Londra e New York per convincere i grandi fondi internazionali a scommettere sul risanamento della banca. In effetti, la stretta di politica monetaria decisa dalla Bce apre nuove prospettive di guadagno per tutti gli istituti. Dopo anni di tassi ai minimi storici, l’intero sistema bancario, Mps compreso, potrà quindi cavalcare l’aumento dei margini di guadagno dell’attività creditizia classica, cioè ricevere denaro e darlo in prestito. Come dire che la crescita dei ricavi potrebbe alla fine rivelarsi più sostanziosa di quanto previsto nel piano industriale 2022-26. Secondo il documento presentato nel giugno scorso ai mercati, i profitti della banca senese dovrebbero passare dai 310 milioni del 2021 al miliardo circa del 2024, grazie anche ad alcune poste fiscali favorevoli.

 

Va però considerato che nelle ultime settimane sono aumentate le incognite legate ad altre voci di bilancio. La crisi economica che ha messo alle strette milioni di imprese e famiglie potrebbe far crescere di nuovo le sofferenze su crediti, di molto ridotte negli ultimi esercizi. E in caso di turbolenze sul fronte del debito pubblico, non è neppure da escludere una diminuzione del valore dei Btp in portafoglio, penalizzati dall’aumento dello spread.Tra Pil in frenata e cambio della guardia a Palazzo Chigi, non è quindi una sorpresa che gli investitori internazionali non facciano la fila per sottoscrivere l’aumento di capitale proposto da Lovaglio.

 

Finora le manifestazioni d’interesse più rilevanti sono arrivate da due vecchi compagni di viaggio del Monte: l’assicurazione francese Axa e la società di gestione del risparmio Anima. Entrambi vendono da anni i propri prodotti finanziari anche tramite la rete di filiali di Mps e sembrano disposti a investire sul futuro del loro alleato. «L’eventuale ingresso di questi soggetti nell’azionariato avverrà alle stesse condizioni previste per gli altri investitori», ha messo in chiaro Lovaglio durante l’assemblea dei soci del 15 settembre scorso per respingere i sospetti di possibili favoritismi. Non è da escludere, però, che strada facendo gli accordi commerciali tra l’istituto toscano e suoi due partner possano essere rivisti ed è difficile immaginare che al tavolo della trattativa Axa e Anima non ne approfittino per far pesare il ruolo di finanziatori e migliorare la loro posizione contrattuale.

Christine Lagarde

Prendere o lasciare. Il tempo stringe e non ci sono molte alternative, a parte il rinvio di un’operazione che viene descritta come assolutamente necessaria per garantire un futuro alla banca. Tra l’altro, a fine novembre, si chiude la finestra per i prepensionamenti di circa 3 mila dei 21 mila dipendenti del gruppo bancario. Un esodo, con scivolo anche di sette anni verso la pensione, che assorbirebbe 800 milioni sui 2,5 miliardi ricavati con l’aumento. È ancora aperto anche il confronto con la Commissione Europea che il 2 agosto ha concesso una nuova proroga all’Italia per privatizzare l’istituto, evitando le sanzioni per aiuti di Stato illegali. E siccome i compratori latitano, l’azionista pubblico non può fare altro che prendere tempo con un nuovo aumento di capitale, nella speranza che il miglioramento dei conti trasformi Mps in una preda appetibile per un’altra banca, italiana o straniera.

 

Di certo il governo non può permettersi un fiasco come quello dell’anno scorso, quando Unicredit fece saltare il tavolo della trattativa perché ritenne insufficiente la dote in denaro (si parlò di 7 miliardi) messa disposizione da Roma pur di concludere la vendita. All’epoca, era ottobre del 2021, Fratelli d’Italia e Lega erano schierati contro la privatizzazione. Caso vuole che dieci giorni prima dello stop a Unicredit, il segretario del Pd Enrico Letta aveva vinto le elezioni suppletive a Siena conquistando un posto alla Camera in sostituzione dell’ex ministro Pier Carlo Padoan, nominato alla presidenza proprio di Unicredit. A quasi un anno distanza, Letta sconfitto alle elezioni si prepara a uscire di scena. Ora comandano i suoi avversari di centrodestra, quelli che non volevano la «svendita» di Mps. Resta da capire se adesso Meloni e alleati saranno capaci di passare dagli slogan ai fatti.

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