La Borsa reagisce con distacco al risultato elettorale. Ma gli investitori attendono al varco la leader di Fratelli d’Italia, che nelle prossime settimane dovrà affrontare calo della crescita, crisi energetica e costo del debito pubblico in aumento

E i mercati, per ora, stanno a guardare. La vittoria di Giorgia Meloni, ampiamente prevista dai sondaggi, è stata accolta senza stress, quasi con sereno distacco, dalla Borsa di Milano, che nella mattinata oscilla attorno a un rialzo dell’1 per cento. La reazione viene letta dagli operatori più che altro come un rimbalzo dopo le perdite vistose dell’ultima settimana e della precedente. Anche lo spread tra i Btp e il Bund tedesco si è allargato solo di qualche punto. Nessuna impennata: la tendenza resta quella già chiara da giorni, con i titoli italiani che perdono quota per i timori dei mercati sulla tenuta dei conti pubblici italiani dopo la svolta di politica monetaria della Bce, con il doppio rialzo dei tassi deciso a luglio e poi a settembre, in attesa di un altro, probabile, a ottobre.

 

Preso atto dei risultati elettorali, i mercati ora attendono al varco la coalizione di centrodestra, che dovrà affrontare una situazione economica a dir poco complicata, tra inflazione galoppante, famiglie e imprese messe alle strette dai costi dell’energia e, all’orizzonte, la minaccia di un rallentamento della crescita economica, se non di una recessione, nei primi mesi dell’anno prossimo.

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Già domani, 27 settembre, il governo uscente, quello di Mario Draghi, è chiamato a presentare la Nadef, la Nota di aggiornamento del documento di economia e finanza, che prenderà atto del peggioramento del quadro economico generale. Il 15 ottobre invece la Commissione di Bruxelles attende dall’Italia, come da tutti gli altri Stati membri, il Documento programmatico di bilancio, in cui vengono illustrate le linee generali della manovra sui conti pubblici per il 2023. Anche quest’ultima scadenza verrà di fatto gestita dall’esecutivo Draghi in attesa dell’arrivo del nuovo inquilino di Palazzo Chigi. Se, come sembra ormai certo, sarà Giorgia Meloni a ricevere l’incarico di formare il prossimo governo, l’attenzione dei mercati sarà rivolta alle nomine nelle poltrone chiave e alle prime indicazioni di politica economica.

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Nelle settimane di campagna elettorale la leader di Fratelli d’Italia ha fatto professione di moderatismo anche in economia, prendendo posizione, per esempio, contro un nuovo scostamento di bilancio (cioè maggiore deficit), per coprire le spese supplementari sotto forma di aiuti a famiglie e imprese in difficoltà per il caro energia. Non è escluso che, come per altri incarichi di rilievo, Meloni chiami al governo una figura tecnica anche per il ministero dell’Economia, qualcuno che possa spendere un patrimonio di credibilità nelle più importanti capitali europee (da Berlino a Parigi) a Bruxelles e nella Bce. In particolare, la banca centrale di Francoforte potrebbe essere chiamata a sostenere con nuovi acquisti le quotazioni dei titoli pubblici italiani, in caso di turbolenze sui mercati. Il sostegno però arriverà solo a condizione che la politica economica di Roma non faccia deragliare a suon di nuove spese il treno del risanamento dei conti pubblici.

 

Per farsi un’idea dei rischi basta tornare con la memoria alla primavera del 2018, dopo le elezioni del 4 marzo che videro il trionfo dei Cinque stelle e della Lega. Per oltre due mesi Borsa e spread non fecero segnare forti oscillazioni, fino a all’ultima settimana di maggio, quando con l’incarico a Giuseppe Conte si profilò la nuova alleanza di governo tra grillini e leghisti. Nel giro di due settimane, dal 15 al 29 maggio, lo spread volò da 130 a 303 punti, per poi sfiorare i 330 punti nell’autunno successivo. Ora siamo attorno a quota 235, ma la finanza internazionale ancora si chiede se la vera Giorgia Meloni è quella moderata degli ultimi due mesi, oppure quella, statalista e nazionalista, che per vent’anni ha attaccato Bruxelles e le banche.

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