L’ente previdenziale gestisce oltre 300mila assegni pensionistici e ha un patrimonio immobiliare smisurato che accende gli appetiti di molti. Come dimostra lo scontro interno e i conflitti d’interesse che riguardano anche nomi come Valter Mainetti e Raffaele Mincione

In tempi di riforme pensionistiche c’è una battaglia che si combatte a suon di carte bollate, di tribunali e di inchieste della magistratura che riguarda Enasarco, l’ente previdenziale che gestisce le 330 mila pensioni degli agenti di commercio. Nel corso degli anni il patrimonio immobiliare dell’ente è andato crescendo a dismisura divenendo una diligence importante per sviluppare investimenti e creare dividendi. Operazioni non sempre riuscite che hanno creato delle voragini nei bilanci e un conflitto senza precedenti tra le varie anime degli agenti di commercio.

 

Come spesso accade, una prassi virtuosa come la valorizzazione del patrimonio immobiliare diviene qualcos’altro in grado di scuotere dalle fondamenta un mondo solido e che vanta un portafoglio di rilevanza mondiale ma che, secondo molti, è stato di volta in volta sovradimensionato per colmare le perdite determinate dai gestori che si sono succeduti; una prassi che potrebbe costare il crack all’ente e compromettere le pensioni di migliaia di agenti.

 

Questo scontro passa soprattutto per il governo del Consiglio di Amministrazione, che ha visto dopo una serie di ricorsi, veder prevalere su Antonello Marzolla, torinese, già insediato da più di un anno, il romano Alfonsino Mei. Il Tribunale Civile di Roma ha infatti riassegnato tre seggi alla lista di Mei, “Fare Presto!” determinando così un nuovo riassetto interno. Oltre il dato giuridico, la notizia che il consulente finanziario romano è salito al vertice di Enasarco riporta l’attenzione su una trama di conflitti di interessi e inchieste della magistratura che hanno attraversato gli scandali immobiliari recenti dall’inchiesta vaticana sull'acquisizione del palazzo di Sloane Avenue a Londra fino alla sparizione di 200 milioni di euro proprio dei fondi Enasarco.

 

È opinione diffusa dentro le stanze di via Usodimare, che la vittoria di Mei non sia altro che il tentativo di Valter Mainetti, patron di Sorgente SGR, di tornare a guidare le danze dentro Enasarco. Mainetti, uomo sobrio e che ha fatto del distacco la sua cifra stilistica, si è sempre mostrato vicino alla famiglia Mei e qualche tempo fa lo videro arrivare nella festa di compleanno molto sopra le righe di Alfonsino Mei. “Il luminoso”, come lo chiamano tra gli addetti ai lavori, non si muove mai dalle sue confort zone, e la sua presenza in quella pittoresca festa per i cinquant’anni del consulente finanziario sembrò essere la consacrazione definitiva per Mei, laureato alla “Link Campus” e cresciuto a pane e consulenze.

 

Se c’è un accadimento che racconta la malagestione dell’ente previdenziale è proprio il rapporto tra Fondazione Enasarco e Sorgente SGR di Valter Mainetti, un rapporto diventato col tempo un contenzioso di proporzioni vaste e che ha assunto rivoli e derivazioni che toccano molte vertenze giudiziarie ed investigative in corso. Il “fattaccio” che vede contrapposto Mainetti ad Enasarco ha origini antiche e risiede nella gestione di due fondi immobiliari di proprietà dell’Ente, Megas e Michelangelo Due, che con i loro immobili ad oggi superano il valore commerciale complessivo di 750 milioni di euro. Una cifra enorme per strutture come la Galleria Alberto Sordi, in affitto per alcuni vani al Governo Italiano, il palazzo di via del Tritone, 132 dove ha sede la stessa Sorgente e “Il Foglio”, “La Rinascente” di Piazza Fiume, unità immobiliari di pregio in via Senato a Milano.

 

Insomma non un bouquet immobiliare qualsiasi, ma pezzi pregiati dove ruotano interessi diversi tra loro. Come si può immaginare il patron del gruppo, Valter Mainetti, classe 1947, era chiamato non solo a far rendere bene gli investimenti ma anche ad essere elemento di sicurezza e garanzia degli interessi simbolici e pratici. In entrambi i casi l’obiettivo sembra essere fallito. Una macchia per Mainetti, conosciuto da tutti e da nessuno, silenzioso, quasi mistico, etereo, quasi distaccato dalle brighe del mondo.

 

Mainetti più che nel glamour ama rifugiarsi con sua moglie, Paola Alunni Tullini, nell’arte. Infatti ha dato vita con la Fondazione Sorgente a un circuito artistico davvero invidiabile, che custodisce piccoli e grandi tesori, come la testa marmorea dell’imperatore Marcello. La fondazione ha ricevuto dal Ministero dei Beni Culturali l’accredito fiscale per ricevere il 5x1000.

 

L’altra passione, un po’ più problematica, è l’editoria, con la quale ha spesso fatto a cazzotti. È “Il Foglio” la creatura che Mainetti ha comperato qualche tempo fa, quasi a costo zero, visto che è detentrice del contributo della Presidenza del Consiglio dei Ministri per l’editoria. Mainetti è socio anche della casa di produzione cinematografica di suo figlio Gabriele, la Goon Films, che ha regolarmente incassato i contributi della direzione Cinema sempre del Ministero dei Beni Culturali per i suoi due film “Lo chiamavano Jeeg Robot” e “Freaks Out”.

 

Tutto in regola, tutto legittimo, anche se forse tutto poco opportuno, perché se da un lato lo Stato da i soldi a Mainetti per le sue numerose attività, dall’altro la Banca d’Italia, ha ravveduto per parecchi anni una gestione poco oculata che l’ha tenuta in gestione commissariale per molto tempo. Nelle ultime settimane in casa Mainetti sono piovute altre due tegole: la messa in mora e la richiesta di restituzione di 12 milioni di euro da parte della SIAE che gli contesta lo spostamento illegittimo di fondi dei propri asset immobiliari e lo sfratto, dai locali di Via del Tritone che come dicevamo ospitano la sede del gruppo e de “Il Foglio”, correlato dalla richiesta di corrispondere tutti i canoni arretrati ad Enasarco di un contratto che si confezionò su misura qualche anno fa quando era gestore dei medesimi beni.

 

Un enorme conflitto di interessi, non il primo e neanche l’ultimo: Alfonsino Mei era infatti consulente del fondo Megas e sua nipote, Rebecca, tutt’ora lavora per una società del gruppo Mainetti. Ma il filo più consistente che ricollega i due sono le frequentazioni con lo Studio Guido Alpa che ha gestito il contenzioso della Lista “Fare Presto” di Mei contro Enasarco e che contemporaneamente difende Valter Mainetti nel contenzioso contro Enasarco, un caso seguito all’interno dello studio dall’avvocato Luca Di Donna, indagato per associazione a delinquere finalizzato al traffico di influenze illecite in un altro procedimento e segnalato all’antiriciclaggio per aver incassato dei compensi tra gli altri da una società bulgara di proprietà di Raffaele Mincione che tratta alimenti per neonati.

 

Mincione, finanziere di Pomezia, è il protagonista dello scandalo dell’acquisto del palazzo di Sloane Avenue a Londra da parte della Segreteria di Stato del Vaticano e c’è da ricordare che si rivolse allo studio Alpa per le vicende giudiziarie scaturite dalla tentata scalata a Banca Carige, dove Alfonsino Mei era candidato in una lista collegata a lui. E fu proprio Giuseppe Conte, all’epoca socio di Guido Alpa, ad assistere sempre Mincione per un parere sulla golden power su Retelit, una società che si occupa di fibre ottiche, dichiarandone strategica l’attività. Parere che verrà reso effettivo proprio da Conte una volta divenuto Presidente del Consiglio.

 

La Retelit era controllata dal fondo Athena e la Wrm di Mincione, società per la quale Alfonsino Mei chiese i 100 milioni ad Enasarco ora oggetto di una approfondita indagine della Guardia di Finanza e che qualche settimana fa ha acquisito i documenti relativi alle presunte pressioni indebite che Mei avrebbe esercitato proprio sul vecchio Cda dell’ente. Nella mail che abbiamo visionato in esclusiva, l’ex vicepresidente di Enasarco, Costante Persiani, scrive all’ex presidente Gianroberto Costa per rappresentargli che il 20 febbraio 2018, in corso Venezia a Milano, Mei chiese di investire ulteriori 100 milioni su Mincione e se così non fosse accaduto avrebbe scatenato una campagna mediatica contro l’Ente.

 

Cosa che effettivamente avvenne con una serie di articoli nei giorni successivi al rifiuto dell’ente di continuare a foraggiare gli affari di Mincione. Inoltre Retelit e il fondo immobiliare Tiziano (Gruppo Sorgente) di Mainetti sono state beneficiarie di investimenti proprio dal cardinale Angelo Becciu, nelle more degli investimenti eseguiti durante l’acquisizione del palazzo di Sloane Avenue a Londra. A chiudere il quadro di questo complicato risiko economico e finanziario c’è un’inchiesta in corso negli Stati Uniti, nata proprio nelle more del caso vaticano, che punta dritto al Jersey e tutti quei soggetti che hanno utilizzato gli Stati Uniti come base operativa verso paradisi fiscali e creazione di società off-shore.

 

Sarebbero state individuate numerose società connesse allo scandalo, vere e proprie casseforti dove far planare gli indebiti incassi. Una società denominata “Sorgente Management Limited” con sede alle Bahamas e avente un trust con Malta e il Credit Suisse ha attirato le attenzioni degli inquirenti, non solo per un’omonimia con la denominazione dell’impero di Mainetti ma anche per un flusso di denaro sospetto proveniente dal nostro Paese nel corso degli ultimi anni.

 

Come sempre, tutti innocenti fino a prova contraria. Nel frattempo Alfonsino Mei, divenuto presidente, ha dichiarato in consiglio di amministrazione di voler revocare il mandato ai legali che seguono le varie cause per Enasarco. Sul fronte istituzionale c’è un’atmosfera di vigile attesa: mentre il Ministro del Lavoro Andrea Orlando sta meditando se commissariare o meno, Tommaso Nannicini, Presidente della Commissione parlamentare per il controllo sull’attività degli enti previdenziali, già mesi fa aveva consigliato di commissariare tutto, ravvedendo i rischi concreti di un default di vaste proporzioni che metterebbe in ginocchio una categoria che, complice la pandemia, attraversa un periodo davvero difficile. A certificare il conflitto di interessi tra Alfonsino Mei ed Enasarco è intervenuto, lo scorso 10 febbraio, il Tribunale Civile di Roma che ha nominato un “tutore”, l’avvocato Antonio Spataro, che avrà il compito di vigilare sulle vertenze in corso. Un atto che secondo molti preannuncia il commissariamento dell’ente.