Sostiene Mario Draghi che produttori e rivenditori di energia devono «partecipare al sostegno del resto dell’economia». Lo dice da mesi, da quando, erano gli ultimi giorni del 2021, il presidente del Consiglio parlò dei «profitti fantastici» incassati da alcune grandi aziende grazie al rialzo record dei prezzi di gas ed elettricità. Draghi non faceva nomi, ma era chiaro il riferimento a grandi gruppi come Eni ed Enel, che infatti hanno moltiplicato ricavi e profitti. Adesso però, a più di quattro mesi di distanza da quella che già all’epoca venne interpretata come una chiara dichiarazione d’intenti, il governo rischia seriamente di mancare il bersaglio. La nuova tassa voluta da Draghi, introdotta a marzo per decreto sotto forma di «contributo a titolo solidaristico straordinario», difficilmente frutterà alle casse dello Stato gli 11 miliardi immaginati dal Tesoro nelle settimane scorse, quando, a sorpresa, è stato annunciato un aumento del prelievo. Dal 10 per cento fissato da principio si potrebbe infatti arrivare a un balzello pari al 25 per cento dei cosiddetti extraprofitti. Questi ultimi saranno calcolati confrontando i guadagni realizzati tra ottobre 2021 e aprile 2022 con quelli dello stesso periodo di un anno prima, i sette mesi tra ottobre 2020 e aprile 2021.
Il provvedimento è stato accolto dalle prevedibili proteste delle aziende chiamate a versare il tributo supplementare. E anche numerosi fiscalisti, non solo quelli a libro paga della lobby dell’energia, hanno bocciato la norma messa a punto dal governo con lo scopo dichiarato di finanziare sussidi e aiuti per imprese e cittadini senza ricorrere a deficit aggiuntivo di bilancio. Il fatto è che, per come è stato formulato, il provvedimento potrebbe innescare una raffica di ricorsi fino alla Corte Costituzionale. Già nel 2015 la Consulta aveva bocciato un’altra imposta straordinaria, la cosiddetta Robin Tax, che andava a colpire gli utili di aziende petrolifere ed elettriche. Anche in questo caso, protestano le associazioni di categoria, la norma è discriminatoria, e quindi incostituzionale, perché si accanisce su una sola categoria di imprese.
Di sicuro, quindi, il decreto sugli extraprofitti darà molto lavoro ad avvocati e tributaristi. E non è affatto detto che il governo riesca a far valere le sue ragioni. Anzi, al momento appare più probabile che i giudici finiscano per bocciare il provvedimento al termine di un contenzioso che potrebbe durare anni. «Mi sembra una legge scritta male e in fretta», commenta Francesco Tundo, ordinario di Diritto tributario all’università di Bologna. «È un decreto - dice Tundo - che nasce dall’esigenza di far cassa nel più breve tempo possibile e avrà di sicuro una vita difficile esposto com’è a dubbi di costituzionalità che mi sembrano più che fondati».
Nicola Monti, ad Edison
C’è di peggio, però. Perché, prima ancora di essere affondato in tribunale, il «contributo straordinario» varato dal governo sembra destinato a mancare clamorosamente gli obiettivi di gettito sperati dal governo. Eppure, per dirla con Draghi, i «profitti fantastici» sono arrivati in abbondanza. I colossi nostrani dell’energia viaggiano a gonfie vele. Lo dimostrano i conti di Eni, Enel, Edison, quelli dei big delle rinnovabili come Erg e della lombarda A2A. Enel, per dire, ha da poco annunciato i risultati di un primo trimestre da record, chiuso con ricavi passati da 18 a 34 miliardi di euro, quasi raddoppiati rispetto allo stesso periodo del 2021, e gli utili al lordo delle tasse sono aumentati del 20 per cento circa, da 2,1 a 2,3 miliardi. Grazie al boom dei prezzi di petrolio e gas, nei primi tre mesi del 2022 anche Eni ha moltiplicato per due il fatturato, che ha toccato i 32 miliardi di euro, mentre i profitti industriali sono esplosi a 5,2 miliardi da 1,3 miliardi dell’anno scorso.
A prima vista, quindi, non mancano certo gli extraprofitti su cui applicare il prelievo supplementare introdotto dal governo. A conti fatti però, le due maggiori aziende energetiche del Paese, entrambe a controllo pubblico, dovrebbero cavarsela a buon mercato. L’Enel è già uscita allo scoperto. Il direttore finanziario Alberto De Paoli di recente ha precisato che la nuova tassa peserà al massimo per un centinaio di milioni sui conti del gruppo. Per l’Eni invece al momento mancano stime ufficiali, ma gli analisti prevedono che il contributo extra difficilmente supererà il miliardo. Una somma importante, certo, ma va considerato che il colosso petrolifero di Stato, date le dimensioni, finirà con ogni probabilità per versare una somma di gran lunga superiore a quella di tutte le altre aziende colpite dal provvedimento governativo. Infine Nicola Monti, a capo di un altro peso massimo come Edison (7,1 miliardi di ricavi nel primo trimestre contro 2,1 di un anno prima) ha chiarito che il gruppo con base a Milano controllato dalla francese Edf prevede di accantonare duecentocinquanta milioni per far fronte alle richieste di Roma. «È un provvedimento sproporzionato e mal formulato», attaccato Monti. «Noi siamo pronti a contribuire, ma questa fase di mercato eccezionale favorisce anche altre aziende. Pensiamo per esempio ai trader di gas ed energia, oppure agli operatori finanziari che trattano contratti derivati sulle materie prime».
A questo punto, gli 11 miliardi che il Tesoro contava di incassare entro i prossimi mesi sembrano un obiettivo quanto mai velleitario. Alla fine, il gettito complessivo del tributo sugli extraprofitti potrebbe rivelarsi di molto inferiore alla metà di quanto preventivato e per finanziare i prossimi interventi anti-crisi, a cominciare da quelli diretti a proteggere il potere d’acquisto dei salari eroso dall’inflazione, il governo sarà costretto ad attingere altrove oppure, più probabilmente, dovrà rassegnarsi ad aumentare ancora una volta il deficit di bilancio.
Come si spiega il clamoroso errore di calcolo dell’esecutivo? Si è scoperto che il meccanismo fiscale che regola il «contributo solidaristico» lascia alle aziende ampi margini di manovra per compensare i profitti che arrivano dalla vendita di energia con i costi derivanti da altre voci, a cominciare dall’acquisto della materia prima. Va infatti considerato che l’impennata dei prezzi del gas pesa sui produttori di elettricità che usano questo combustibile per alimentare una quota importante delle loro centrali. È il caso, per esempio, dell’Enel. Succede anche che molte imprese siano vincolate a contratti di fornitura di elettricità a lungo termine siglati anche uno o due anni fa, quando i prezzi erano molto più bassi di quelli attuali. Questi rivenditori possono quindi sfruttare solo parzialmente l’impennata delle quotazioni di questi ultimi mesi. Infine, ci sono i costi dei contratti di copertura, con cui le aziende del settore energia, produttori o semplici rivenditori, si proteggono dalle oscillazioni di prezzo del gas e dell’elettricità.
Il quadro, insomma, è a dir poco variegato ed è su questa realtà complessa che rischia di infrangersi il tentativo del governo di far emergere, per tassarli, i «profitti incredibili» evocati da Draghi. Di sicuro la fetta di gran lunga maggiore di questi guadagni è finita nei bilanci delle imprese che hanno puntato sulle fonti rinnovabili, cioè idroelettrico, eolico o solare. Tutte aziende che non devono far fronte all’aumento dei costi della materia prima, ma vendono comunque elettricità a un prezzo agganciato alle tariffe del gas. I margini di guadagno già elevati in tempi normali, sono quindi di molto aumentati negli ultimi mesi. A gennaio, con il decreto Sostegni Ter, il governo aveva colpito i profitti di questa categoria introducendo di fatto un prezzo limite di vendita dell’energia da fonti rinnovabili. E adesso, protestano imprenditori e manager, arriva un’altra stangata.
Paolo Merli, Amministratore Delegato ERG
Ci vorranno comunque settimane per capire quale sarà l’impatto concreto delle nuove tasse sui bilanci. E non è neppure da escludere che nel frattempo la legge non venga corretta almeno parzialmente dal governo per mettersi al riparo dai ricorsi. Intanto però c’è già chi è riuscito a passare alla cassa. Ai primi dell’anno, per esempio, il gruppo Erg controllato dalla famiglia Garrone, ha venduto all’Enel le sue centrali idroelettriche, una ventina di impianti disseminati tra Marche, Lazio e Umbria. L’azienda pubblica ha sborsato un miliardo e 265 milioni per comprare Erg Hydro, che a giudicare dai bilanci è una vera macchina da soldi: nel 2021 i profitti lordi (Ebitda) hanno toccato i 151 milioni su 194 milioni di ricavi, con un margine di guadagno del 78 per cento. Edison invece a dicembre del 2021 ha girato al Crédit Agricole il 49 per cento di una società che controlla attività nell’eolico e nel solare. L’operazione ha fruttato al venditore una plusvalenza di 541 milioni. Un profitto davvero «fantastico». E quasi esentasse, per effetto delle norme sulla vendita di partecipazioni (Pex). L’ultimo bilancio civilistico di Edison si è così chiuso con circa 720 milioni di utili, dopo aver pagato solo 15 milioni di imposte. Spiccioli.