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Economia
settembre, 2022

La proposta della Destra sul contante favorisce nero ed evasione

Per Giorgia Meloni l’obbligo di Pos per i negozianti è un favore alle banche. E vanno alzati limiti per i pagamenti con denaro liquido. Matteo Salvini è d’accordo. Ma per Bankitalia e Commissione Ue queste misure favorirebbero l’economia sommersa e il riciclaggio

Il deputato leghista Claudio Borghi, paladino No euro temporaneamente in sonno, l’ha spiegato a modo suo qualche mese fa. «Secondo voi, se io sono una persona onesta che vuole comprare una collana all’amante che cosa posso fare con il limite degli acquisti in contanti a mille euro?», andava chiedendosi Borghi. Per poi rispondersi a favor di telecamere: «Vado a Lugano e pago cash». Divertente? Non molto, ma la storiella illustra alla perfezione un cavallo di battaglia della destra nostrana. Quasi un’ossessione, un obiettivo irrinunciabile dei tre partiti alleati: Fratelli d’Italia, Lega e Forza Italia. Già quattro anni fa, nelle prime settimane del governo gialloverde, Matteo Salvini illustrò il suo pensiero con l’enfasi che merita una scelta scolpita nella pietra. «Ognuno è libero di usare i soldi del suo conto corrente come vuole, dove vuole e pagando quello che vuole», disse l’allora ministro degli Interni davanti a una platea di commercianti della Confesercenti. Più chiaro di così. E allora stop a ogni vincolo sul denaro liquido. Carte, di credito, di debito e bonifici bancari? Li usi chi vuole, ma nessun obbligo imposto per legge.

 

Questo, in breve, il pensiero unico del centrodestra, che giusto sei mesi fa fece fronte comune per togliere di mezzo la norma che dal primo gennaio di quest’anno aveva abbassato da duemila a mille euro la soglia massima per i pagamenti in contanti. Lega e Forza Italia si schierarono contro il governo di cui facevano parte, per appoggiare un emendamento del deputato salviniano Massimo Bitonci votato anche da Fratelli d’Italia. Niente da fare, quindi. Le nuove regole, quelle che dimezzano il tetto massimo gli acquisti cash, entreranno in vigore nel 2023.

 

Non è finita qui: se a fine settembre lo schieramento di centrodestra uscirà vincente dalle urne, pare molto probabile che la riforma verrà rinviata a data destinarsi. Un copione già andato in scena due volte nel recente passato. Nel 2002 e poi ancora nel 2008, Silvio Berlusconi da poco tornato a Palazzo Chigi corresse al rialzo il tetto stabilito dai precedenti governi di centrosinistra. Matteo Renzi fece lo stesso nel 2016. E anche tra poche settimane, con la destra di nuovo al potere, basterebbe un decreto legge per fare retromarcia.

Tra i punti del programma della coalizione compare infatti anche «l’innalzamento del limite all’uso del denaro contante». Con buona pace dell’Unione Europea, che da tempo invita i Paesi membri a promuovere l’uso degli strumenti di pagamento tracciabili (carte o bonifici) come mezzo di contrasto al riciclaggio e all’evasione fiscale. Risale a luglio dell’anno scorso un pacchetto di proposte della Commissione di Bruxelles che, tra l’altro, fissa a 10 mila euro il massimale per le operazioni in contanti, lasciando la possibilità agli Stati membri di stabilire un tetto più basso. In Grecia, altro Paese come l’Italia dove il nero va alla grande, siamo addirittura a 500 euro, in Spagna e Francia a mille, in Portogallo e Polonia a tremila, mentre altrove, come in Germania, Austria e Olanda, non c’è limite di legge al cash. Anche la Banca d’Italia, in uno studio pubblicato a ottobre dell’anno scorso (titolo: Pecunia Olet), ha segnalato che allargare le maglie nell’uso del denaro contante finisce per alimentare l’economia sommersa, pari, secondo le più recenti stime dell’Istat (2019), a oltre il 10 per cento del Pil nazionale. Uno spazio sterminato, dove prospera l’illegalità e il pagamento delle tasse resta un optional.

 

Questione di opinioni. Secondo Giorgia Meloni, per dire, le norme che favoriscono gli strumenti di pagamento elettronici sarebbero un regalo alle banche, che lucrano su ogni operazione grazie a un complesso sistema di commissioni. A febbraio, quando la maggioranza si spaccò sui nuovi limiti al contante, la leader di Fratelli d’Italia esultò per la vittoria del centrodestra, descrivendola come la «dimostrazione che un’alternativa alla deriva tecnofinanziaria dell’ultimo decennio è possibile». Di recente, Meloni è tornata all’attacco contro la norma, in vigore dal 30 giugno, che stabilisce una sanzione (30 euro, più il 4 per cento del valore della transazione rifiutata) a carico di commercianti, professionisti e artigiani che non accettano pagamenti con carta di credito, di debito (tipo Bancomat) o prepagata. È una svolta importante, almeno sulla carta. L’obbligo del dispositivo Pos (point of sale) era infatti già in vigore dal 2014, ma l’eventuale violazione non era punita a termini di legge. La novità rientra tra le misure previste dal Piano nazionale di ripresa e resilienza (Pnrr) varato per accedere ai 191,5 miliardi del recovery fund europeo. Uno dei traguardi intermedi del piano prescriveva - si legge nei documenti ufficiali - l’entrata in vigore entro il secondo trimestre del 2022 di una riforma legislativa che garantisse «sanzioni amministrative efficaci in caso di rifiuto da parte di fornitori privati di accettare pagamenti elettronici».

Il governo uscente ha quindi soddisfatto le richieste dell’Europa. In pratica, però, la legge offre molte comode scappatoie per chi non rispetta i nuovi obblighi. Per evitare la sanzione il commerciante potrà sempre appellarsi a problemi di connessione o altri malfunzionamenti del dispositivo. Al cliente, allora, per far valere le sue ragioni non resterà che sporgere denuncia, con relativa perdita di tempo e denaro. Ecco perché molti esperti dubitano che le sanzioni riescano davvero a scoraggiare i furbetti del Pos. In compenso, la riforma è destinata a portare nuovi ingenti profitti ai grandi gruppi finanziari. Questa la tesi del centrodestra, con cui sono schierate anche le associazioni di categoria dei commercianti.

 

In sostanza, i gestori della moneta elettronica forniscono i loro servizi a negozianti e artigiani, costretti a sopportare oneri aggiuntivi per l’installazione e l’uso dei dispositivi di pagamento. «Basta commissioni», insiste Fratelli d’Italia, che ha lanciato una campagna per i Pos a costo zero. D’altra parte, è difficile immaginare chi dovrebbe farsi carico delle ingenti spese per la gestione dei pagamenti elettronici. Un’attività complessa e molto delicata che viene svolta dalle banche e da altre società di servizi finanziari. Tra queste ultime, il leader di mercato in Italia è Nexi, un’azienda quotata in Borsa con oltre 2 miliardi di giro d’affari nel 2021 che ha come secondo azionista lo Stato italiano con una quota del 17 per cento circa divisa tra Cassa depositi e prestiti (13,5 per cento) e Poste (3,5 per cento).

 

Non è facile stabilire con precisione il valore delle commissioni che gravano su ogni singola transazione. La struttura dei costi è complessa e spesso entrano in gioco operatori diversi: le banche, le società di servizi, i circuiti internazionali come Visa o Mastercard, ognuno con un proprio listino. La tendenza generale, però, è a un ribasso degli oneri che gravano sui commercianti, se non altro per effetto della concorrenza tra piattaforme diverse. In genere, il prelievo può essere compreso tra l’1 e il 2 per cento del valore dell’acquisto, a cui, a volte, va ad aggiungersi una fee supplementare di un euro o due. Va detto che di recente, proprio per favorire la diffusione dei pagamenti elettronici in chiave anti evasione fiscale, gli ultimi governi hanno varato alcuni provvedimenti per alleggerire i costi a carico di commercianti e professionisti. Dall’autunno del 2019, con il governo Conte 2, è previsto per legge un credito d’imposta del 30 per cento sulle commissioni legate all’uso e all’installazione dei Pos. Lo sgravio fiscale è stato portato al 100 per cento tra luglio 2021 e 2022, quando è tornato al 30 per cento.

 

Per effetto anche di questi incentivi, e nonostante le proteste dei partiti di destra, negli ultimi anni la moneta elettronica ha guadagnato terreno sul contante. In base ai dati più recenti diffusi dalla Banca d’Italia, nel 2020 l’85,3 per cento delle famiglie possedeva almeno una carta di debito contro il 75,8 per cento registrato nel 2016. Per le carte di credito la quota è passata dal 30 al 36,1 per cento. Nell’arco di un decennio, tra il 2011 e il 2021, il numero dei Pos è aumentato da 1,5 a 4,1 milioni, Nel solo 2021, come segnala Bankitalia, è stato registrato un incremento del 12 per cento dei dispositivi per i pagamenti elettronici, mentre, sempre l’anno scorso, il valore degli acquisti pagati con moneta digitale è cresciuto del 21 per cento in confronto al 2020.

 

Le statistiche però confermano anche che l’Italia, pur in forte recupero, resta indietro rispetto alla media europea. Nel nostro Paese, il numero di operazioni pro capite con carte di pagamento è ancora pari alla metà, o anche meno, rispetto a quello registrato in Francia, Olanda o Belgio. In Svezia la diffusione dei Pos è addirittura in calo perché questi dispositivi diventano sempre più spesso obsoleti rispetto a sistemi più innovativi, basati per esempio sugli smartphone. In Italia invece, la destra che punta al governo è pronta a innestare la retromarcia: contante è meglio, parola di Meloni.

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