Il caso
Bankitalia si è fatta il suo AirBnb
Gli appartamenti nel centro di Roma di proprietà della Banca Centrale sono affittati a una società spagnola. Che a sua volta pratica affitti brevi da centinaia di euro al giorno
Colpiva, della casa romana dell’ex ministro dell’Economia Tommaso Padoa-Schioppa la frugalità degli arredi. Mobili di Ikea, ovunque carte su carte. Tipico di uno che non è lì in vacanza. Correva l’anno 2006. Andateci ora, in via della Chiesa Nuova 18, per apprezzare la raffinatezza del mobilio, la cura e il lusso degli ambienti: aria condizionata, wifi, smart tivù, cassaforte… Ovviamente, se ve lo potete permettere. Si può arrivare fino a 736 euro al giorno.
Di questi appartamenti in via della Chiesa Nuova 18 la società spagnola Be Mate ne ha due. Sono i famosi affitti brevi per turisti, quelli che stanno stravolgendo anche il tessuto sociale dei centri storici delle città d’arte. La faccenda è esplosa in modo clamoroso nei mesi scorsi con le proteste degli studenti, le cui famiglie devono fare i conti con l’aumento vertiginoso dei canoni d’affitto e la carenza di appartamenti che ormai anche nelle periferie vengono dirottati verso il mercato più speculativo del turismo. Un problema enorme, già denunciato in un convegno organizzato nel 2018 dalla Sidief, acronimo che sta per Società italiana di iniziative edilizie e fondiarie: l’immobiliare della Banca d’Italia. Il presidente dell’epoca, Mario Breglia, individuava proprio nell’esplosione degli affitti brevi una delle cause che acuiva le difficoltà di trovare case a prezzi decenti per le categorie meno agiate. Piccolo particolare, qualche tempo dopo si scopre che pure l’immobiliare della Banca d’Italia alimenta il mercato degli affitti brevi per turisti, a prezzi astronomici. I due appartamenti di via della Chiesa Nuova 18 sono appunto dell’istituto di via Nazionale: Sidief li ha affittati alla società spagnola Be Mate del gruppo Room Mate, che ora a sua volta li affitta ai turisti. Come altri 10 alloggi sparsi fra via Labicana 110, vicino al Colosseo, via San Francesco a Ripa 111, a Trastevere, e Corso Vittorio Emanuele 287, a uno sputo da via Giulia. Prezzi variabili, ma i 400 euro al giorno sono la normalità.
Per non parlare del pezzo forte, il palazzo di Piazza Borghese a Roma dove ha abitato fino al 2020 l’ex direttore generale di Bankitalia ed ex presidente del consiglio Lamberto Dini. Anche su quello hanno messo le mani gli spagnoli. La Sidief gliel’ha affittato tutto quanto per realizzare un progetto di ristrutturazione da 30 milioni di euro affidato all’architetta iberica Patricia Urquiola. Ne nasceranno 26 appartamenti destinati agli affitti brevi turistici extralusso, e un grande spazio per feste ed eventi. Un tempo c’è chi l’avrebbe banalmente definita speculazione: ancor più discutibile perché su beni di proprietà di una istituzione pubblica, qual è la Banca d’Italia. Intendiamoci, difficilmente quei 26 appartamenti, al pari degli altri 12 disseminati nel centro di Roma, avrebbero risolto i problemi della casa per famiglie non agiate o studenti. Anche se il palazzo di Piazza Borghese è adiacente alla facoltà di Architettura della Sapienza e la sua trasformazione in studentato da parte di un proprietario coerente con il proprio ruolo pubblico, pur non essendo altrettanto redditizia, non sarebbe stata una bestemmia.
Ma senza arrivare a questo estremo, non c’era altra strada per non imbarcarsi in un’avventura tanto controversa? La Banca d’Italia sottolinea che sia nel caso del palazzo dove alloggiava Dini sia in quello degli altri 12 appartamenti concessi alla Be Mate per gli affitti turistici brevi, si tratta di grandi metrature poco appetibili per la destinazione abitativa. Sicuro. Possibile però che non ci siano a Roma società commerciali e importanti professionisti interessati ad affittare un ufficio o una sede prestigiosa nel centro di Roma? La risposta di Bankitalia lascia di stucco: affittare a una società operante nel settore degli affitti brevi turistici garantisce a Sidief un reddito doppio rispetto a quello dell’affitto a uno studio professionale. E tutto parte da qua. Spiegano che comincia una decina d’anni fa, quando la Banca centrale europea sollecita tutte le banche centrali a concentrarsi nel proprio core business, abbandonando le attività collaterali. A quel punto si decide che la proprietà degli immobili va separata dalla gestione. In che modo? Dagli anni Settanta la Banca d’Italia ha una piccola società immobiliare, la Sidief, nata per dare casa ai dipendenti dell’istituto trasferiti da una città all’altra. Quella società controlla un certo numero di appartamenti, ma dal 2013 per rispettare la direttiva della Bce le viene conferito l’intero patrimonio immobiliare della Banca d’Italia. Circa 8.100 case e negozi, con un valore di mercato di 1,38 miliardi. E Sidief diventa un colosso. Uno dei più grandi operatori del settore in Italia.
La sua gestione è nettamente distinta da quella dell’istituto di via Nazionale. Se ne occupa un consiglio di amministrazione di tre persone, attualmente presieduto dal giurista Marcello Clarich, che propone anche le linee strategiche. La Banca d’Italia tiene sempre a precisarlo. Ma siccome è anche proprietaria, il consiglio di amministrazione è affiancato da un comitato di sorveglianza composto da cinque suoi funzionari. Come in ogni spa che si rispetti, poi, la linea generale è tracciata dall’azionista. E la linea è che si deve perseguire a tutti i costi l’equilibrio economico. Il minimo sindacale, ovvio. Perché mai una società immobiliare, anche se pubblica, dovrebbe rimetterci? Infatti la Sidief, da quando esiste, non ha mai chiuso un bilancio in perdita. Dal 1993, primo anno i cui bilanci sono disponibili nella banca dati di Infocamere, ha accumulato utili netti per 70 milioni. Più di 30 soltanto dal 2014. L’ultimo bilancio, quello del 2022, riporta profitti netti per oltre 4 milioni. Un bel po’ di soldi, anno dopo anno. Eppure la Banca d’Italia lamenta che Sidief non riesce a fronteggiare le spese di manutenzione dei grandi appartamenti. Sostiene che l’equilibrio economico è assicurato per il momento dalla vendita di immobili nelle città dove l’istituto non ha più filiali, e che nei prossimi anni è prevista una graduale riduzione delle vendite.
Da questo ad aprire il fronte degli affitti brevi, per trovare un altro filone di ricavi, il passo è breve. Forse non è stata proprio Bankitalia a richiedere alla sua immobiliare di fare «investimenti remunerativi»? Siamo nel 2018, lo stesso anno in cui in quel convegno organizzato dalla Sidief si lancia l’allarme sul rischio di distorsione del mercato generato proprio dagli affitti brevi per turisti. Ed è oggettivamente un curioso cortocircuito. La regola di base è che gli appartamenti sono offerti in prelazione a dipendenti e pensionati. Gli affitti sono a canone concordato: la banca rivendica che Sidief è l’unica immobiliare ad applicarlo in tutta Italia con un accordo sindacale. Dopo due bandi andati deserti gli alloggi vuoti possono tuttavia essere assegnati al mondo esterno. Be Mate arriva in questa fase, aggiudicandosi 12 appartamenti in quattro stabili. Mentre in rapida successione si chiude pure l’operazione Fontanella di Borghese.
La Banca d’Italia argomenta che in fin dei conti sono appena 12 appartamenti su più di 8 mila. Garantisce poi che sarà posta la massima attenzione perché gli affitti brevi non creino problemi a chi abita in quei palazzi (come si sta invece verificando un po’ dappertutto in situazioni del genere). Per concludere che l’operazione affitti brevi altro non è che «sperimentale». Così sperimentale, dicono, da essere pronti a fare «marcia indietro» se la cosa non dovesse funzionare. Tanto più che questi appartamenti, sottolinea ancora la banca, sono progettati per locazione e non come bed & breakfast, con spese di ristrutturazione a carico della sua società. Anche se una «marcia indietro» a Piazza Borghese sembra francamente difficile, dopo un investimento di tale portata: 30 milioni. E a prima vista verrebbe da chiedersi come mai Sidief, che non riesce a far fronte alle manutenzioni ordinarie nei grandi appartamenti, paga invece senza fare una piega le ristrutturazioni in funzione degli affitti brevi.
La verità è che in questa storia qualcosa davvero non torna. Sul fatto che la Banca d’Italia persegua l’equilibrio economico in tutte le attività non ci piove. Sarebbe assurdo il contrario. Ma è coerente con il suo ruolo pubblico e istituzionale alimentare attraverso una società controllata operazioni speculative sul mercato immobiliare, peraltro in un ramo d’affari che ha così pesanti ripercussioni sociali in alcune nostre grandi città? Dicono che sono 12 appartamenti su 8 mila (senza però contare il palazzo di Piazza Borghese). Ma fosse anche soltanto uno è il segnale che conta. E non è un bel segnale.