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Economia
ottobre, 2023

Il contrabbando ora riguarda anche le sigarette elettroniche. E vale milioni

Il boom del fumo alternativo interessa anche il settore della criminalità. Si aggira il divieto per i minorenni e si vendono prodotti più pericolosi. Ai danni di Erario e aziende in regola

I fumatori non concordano: i più accaniti affermano che non soddisfano a pieno, altri invece che affievoliscono il vizio. Ma basta guardarsi intorno per rendersene conto: le sigarette elettroniche sono sempre più diffuse. Si vedono in mano soprattutto ai giovani e hanno attirato l’attenzione di istituzioni, multinazionali e criminalità. In Italia, secondo i dati Istat pubblicati a gennaio 2023 e riferiti all’anno 2021, gli utilizzatori abituali e occasionali di e-cig sono il 2,4 per cento della popolazione, ovvero circa 1.200.000 persone. I giovani sono i più interessati all’uso di questi dispositivi: tra i 18 e i 34 anni, il 5,2 per cento utilizza la sigaretta elettronica e il 4,6 per cento i prodotti a tabacco riscaldato non bruciato.

 

Si tratta di una galassia in continua evoluzione. Ci sono infatti le e-cig che funzionano con i liquidi, i prodotti a tabacco riscaldato e da poco anche i dispositivi usa e getta. La loro crescente diffusione implica una necessaria sensibilizzazione verso i rischi che si possono correre utilizzandoli. In Italia, secondo quanto riportato dall’Istituto Superiore di Sanità, con la diffusione dei dispositivi elettronici il fumatore diventa poli-consumatore. E l’allarme è soprattutto per gli adolescenti: più di un terzo degli studenti tra i 14 e i 17 anni che assumono nicotina utilizza uno dei prodotti disponibili sul mercato; una quota consistente li usa tutti.

 

«Non si tratta di prodotti sani», spiega il professor Fabio Beatrice, direttore scientifico dell’Osservatorio Mohre: «Sono assolutamente da sconsigliare e bisogna farlo in maniera ancora più rigorosa nei confronti dei giovani». Secondo Beatrice, infatti, l’idea del fumo sano, sviluppatasi negli Usa, è una distorsione che non esiste. «Il fumo elettronico è, semmai, interessante per un’altra ragione: l’aiuto che si può dare ai fumatori incalliti». Per lo specialista, insomma, il target della sigaretta elettronica dev’essere quello di chi non riesce a smettere di fumare: «L’obiettivo principale è senza dubbio quello di aiutare il fumatore a smettere completamente. Ma che cosa succede nel caso in cui non si riesca a farlo? Trattandosi di una dipendenza non si può non immaginare una proposta alternativa per chi chiede aiuto. Bisogna, quindi, pensare a una via d’uscita che allontani quantomeno dai prodotti della combustione, iniziando a riflettere su una forma di prevenzione parziale». E una funzione di questo tipo può venire dalle sigarette elettroniche: «Un report del 2018, intitolato “Evidence review of e-cigarettes and heated tobacco products” e commissionato dal Public Health England, ha concluso che le sostanze cancerogene presenti nella sigaretta elettronica erano ampiamente inferiori allo 0,5 per cento del rischio del fumo normale».

 

e-cig non c’è combustione di tabacco

 

Un esempio di tale approccio viene proprio dal Regno Unito. «L’Inghilterra – spiega Umberto Roccatti, presidente di Anafe Confindustria (Associazione nazionale produttori di fumo elettronico) – negli ultimi dieci anni è passata dal 22 per cento di fumatori al 12 per cento. Come ha fatto? Ha cominciato a considerare le sigarette elettroniche come strumento per far smettere di fumare, partendo dall’utilizzo di prodotti meno rischiosi delle sigarette convenzionali. Secondo questi dati, gli inglesi si stanno avvicinando agli obiettivi posti dal Beating Cancer Plan, il piano implementato dall’Unione europea che prevede di avere al massimo il 5 per cento di fumatori sulla popolazione totale a livello comunitario entro il 2040».

 

Percentuale da cui, riporta Anafe, noi siamo ancora lontani: «In Italia, i fumatori sono attorno al 23 per cento. È un dato stabile, a vent’anni dall’introduzione della legge Sirchia. Da allora sono state adottate esclusivamente politiche di cessazione: o si smette di fumare o si smette di fumare. Queste politiche si sono rivelate e si continuano a rivelare irricevibili per i fumatori. Noi, come Anafe, vogliamo spingere le istituzioni a rivalutare le politiche infruttuose di cessazione e sostenere le politiche di rischio ridotto».

 

In Italia, racconta ancora Roccatti, ci sono una ventina di produttori autorizzati a realizzare sigarette elettroniche. I distributori con deposito fiscale sono invece un centinaio, sono loro che riforniscono 2.500 rivenditori autorizzati dall’Agenzia delle Accise, Dogane e dei Monopoli e circa 54 mila tabaccherie. Chi vende le e-cig deve disporre di una licenza: «Questi prodotti non si possono vendere in supermercati, ferramenta, drogherie o negozi etnici. Se il commerciante autorizzato alla vendita consente a un minorenne di acquistare una sigaretta elettronica, avrà, al primo illecito, l’attività chiusa per due settimane, mentre al secondo perderà la licenza». Queste regole stringenti sono garanzia di qualità e sicurezza: «Innanzitutto, i prodotti nei canali ufficiali vengono testati nella loro composizione chimica e nei vapori emessi; quindi, solo dopo sei mesi, ricevono l’autorizzazione per essere messi sul mercato. Poi, per quanto riguarda la questione dei giovani, la legge vieta appunto la vendita ai minori di 18 anni».

 

Come detto, la diffusione delle sigarette elettroniche ha attirato anche l’attenzione della criminalità. In questo scenario si inseriscono, infatti, i rivenditori illegali che, infrangendo le norme, tentano di vendere, in particolare ai giovani, prodotti pericolosi e non testati. «I prodotti di contrabbando – prosegue il presidente di Anafe – sono dispositivi che non hanno superato le analisi tecniche e tossicologiche. Il pericolo diventa maggiore se consideriamo che il target del mercato illecito sono i minorenni, non autorizzati ad acquistare dai rivenditori con regolare licenza. La distribuzione avviene principalmente sui social network e su canali come Telegram. Parliamo di prodotti non conformi, con serbatoi in grado di contenere un volume di liquido superiore a due millilitri (ml) e con una concentrazione nicotinica maggiore rispetto al livello massimo consentito dalla legge, fissato a 20 mg/ml, ovvero al due per cento».

 

I danni derivanti dal contrabbando, oltre che la salute, riguardano anche gli aspetti economici e l’ambiente. Nello specifico, il danno economico non tocca solo le aziende che operano regolarmente, ma anche l’Erario, perché c’è un’imposta di consumo che viene elusa. «Anafe valuta un mercato del contrabbando che pesa tra il 10 e il 15 per cento del mercato totale», aggiunge Roccatti. L’altra questione è quella ambientale: le rivendite autorizzate ritirano il prodotto esausto che entra in un canale di riciclo ufficiale. Chiaramente, se il prodotto non è ufficiale, è difficile che venga ritirato da una rivendita.

 

Individuare e fermare questo mercato illecito non è, d’altra parte, così semplice. «Se il contrabbando del tabacco si sposta soprattutto sulle vie della criminalità organizzata – conclude il presidente di Anafe – nel caso delle sigarette elettroniche si tratta di microcriminalità, che è forse ancora più difficile da intercettare».

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