I dati

Gap di genere, Italia sempre peggio: ora siamo al settantanovesimo posto nel mondo

di Chiara Sgreccia   7 luglio 2023

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Nella classifica globale sul divario di genere realizzata dal World economic forum, il nostro Paese perde 16 posizioni. «Poche donne occupate, sempre meno quelle in politica. E il tasso dei femminicidi non è comune per uno Stato avanzato»

Meno 16 posizioni. Su un totale di 146 Paesi, nella classifica globale sul divario di genere, realizzata ogni anno dal World economic forum, l’Italia, nel 2023, è passata dal 63° al 79° posto. Siamo scesi sotto la metà. Prima di noi in tantissimi: dalla Nuova Zelanda all’Uganda, un punto in più dell’Italia. Sopra a tutti l’Islanda, l’unico Stato al mondo il cui l’indice di parità supera il 90 per cento, poi Norvegia e Finlandia. L’Europa è la zona in cui serviranno meno anni per colmare il gap tra i generi: 67. Ne mancano, invece, 152 per l’area che comprende il Medio Oriente e il Nord Africa. L’Afghanistan è l’ultimo Stato in classifica.

 

«I dati ci dicono che la condizione delle donne in Italia (e non solo) sta peggiorando. Non possiamo ignorarli: da quando Giorgia Meloni è la presidente del Consiglio e Elly Schlein la segretaria del Pd, si è diffusa l’idea che gli ostacoli che allontanano le donne dall’occupazione e dalla leadership si siano dissolti. Ma è una falsa narrazione che dimentica la realtà del Paese», chiarisce l'economista Azzurra Rinaldi, direttrice della School of gender economics all'università Unitelma Sapienza di Roma, autrice del libro “Le signore non parlano di soldi”. «Tra le ragioni principali per cui l’Italia ha perso così tanti punti in classifica c’è proprio l’empowerment politico: siamo scesi dal 40° al 64° posto. Nel governo attuale ci sono meno donne di quante ce n’erano con Mario Draghi, uomo bianco, cisgender e più avanti con l’età: solo sei ministri su 24 sono donne. Quattro quelle con portafoglio. Meloni non è femminista e il tema della rappresentanza politica non è mai stato al centro della sua agenda».

 

Anche per la partecipazione delle cittadine alla vita economica del Paese, l’Italia è in pessima posizione: 104 su 146. «Una su due non è occupata. E, infatti, la presenza femminile nel mondo del lavoro è di 18 punti inferiore a quella degli uomini. Il reddito stimato guadagnato è più basso del 24 per cento e nelle posizioni apicali siedono gli uomini per il 43 per cento in più», spiega Rinaldi. «Di fronte a una situazione così drammatica sarebbe fondamentale una presa di coscienza politica per promuovere azioni che puntino a raggiungere la parità. Per il benessere di tutto il Paese. Ma non succede».

 

Le politiche attuali remano in direzione opposta. Sono volte a rafforzare l’equazione non vera secondo cui donna significa madre: «Pure con una prospettiva miope: abbiamo il ministero della Natalità ma non prendiamo in considerazione che nei Paesi più ricchi, dimostrano i dati, sono le donne che lavorano a fare più figli. Perché costano molti soldi, ancora di più in assenza di una rete strutturata di servizi pubblici». Come spiega Rinaldi, maggiore parità tra i generi oltre alla crescita della natalità porterebbe «all’effetto win win» secondo cui più donne occupate fanno crescere il Pil e quindi più tasse da spendere in servizi per la collettività.

 

«Invece per le italiane le cose vanno male anche quando si parla di aspettativa di vita in salute: siamo in 105° posizione, secondo il Global gender gap report 2023. Per i femminicidi, perché veniamo uccise ad un tasso che non è comune per uno Stato avanzato». I dati che emergono dalla 17° edizione del Rapporto, infatti, non descrivono una delle democrazie più progredite al mondo. Ma l’Italia come Paese in balia delle disuguaglianze. Che pone la questione della parità di genere in coda alle emergenze da affrontare.