Sport milionario
Così il calcio degli oligarchi dribbla le regole del fair play finanziario. E le sanzioni
Tra bilanci gonfiati e contratti con cifre da capogiro, i capitali stranieri conquistano il pallone in Europa. Ma i tifosi chiedono trasparenza. E le federazioni cercano di restituire competitività al sistema avvelenato dai casi Chelsea, Manchester city e Psg
Qualcosa si muove nell’Inghilterra depressa dal dopo-Brexit e arriva dal profondo dell’orgoglio nazionale, il football. Gli inventori del calcio tentano di uscire dalla morsa dei capitali stranieri che sta distruggendo ogni principio di leale concorrenza sportiva.
Sono state le associazioni e le fondazioni di tifosi, così diverse dalle bande di ultras che comandano nelle curve italiane, a lanciare il messaggio al governo conservatore e a pretendere un’autorità di regolazione indipendente, chiamata Iref. Hanno imposto principi e chiesto all’esecutivo tory di farsene carico in un White paper dedicato all’argomento con il sostegno di Tracey Crouch, ex ministro dello sport con Theresa May a Downing street.
In prima linea sul banco degli accusati ci sono il Manchester city emiratino e il Chelsea dell’industriale statunitense Todd Boehly. Fra i bersagli c’è anche il Newcastle controllato dal Public investment fund saudita e presieduto da Yasir al Rumayyan, uno dei più stretti collaboratori del principe Mohammed bin Salman, che intende giocare un ruolo sempre più attivo sul palcoscenico del pallone globale, dopo il mondiale in Qatar, candidandosi a organizzare la manifestazione nel 2030.
Il City, uscito dalla sudditanza verso l’altro club di Manchester, lo United, con la vittoria in quattro degli ultimi cinque campionati di Premier League, è finito sotto esame da parte della magistratura per una serie di reati che sarebbero stati commessi fino al 2018, quando Football leaks rivelò le irregolarità finanziarie nei bilanci del gioiello della corona del City group, una conglomerata calcistica che controlla dodici squadre, fra le quali il Palermo, in quattro continenti Africa esclusa.
L’allenatore, il catalano Pep Guardiola, è passato in pochi giorni dalle dichiarazioni bellicose verso i suoi stessi datori di lavoro alle accuse di complotto ai danni del City. Già nel 2020, ha ricordato l’ex centrocampista di Barcellona e Brescia, gli azzurri erano stati sanzionati dall’Uefa per 30 milioni di euro con due anni di inibizione al patron Mansour bin Zayed al Nahyan. All’appello del Tribunale arbitrale dello Sport di Ginevra la multa era scesa a 10 milioni di euro, meno di metà dello stipendio annuale di Kevin De Bruyne, e la squalifica annullata.
Per restare al passo con i rivali di Manchester, i blues del Chelsea hanno forzato i principi di fair play finanziario imposti dall’Uefa, che impone alle sue federazioni contratti quinquennali ai giocatori salvo diversa decisione da parte della federazione nazionale. Con questa specie di comma 22, il club londinese ha potuto acquistare in un biennio calciatori per poco meno di 1 miliardo di euro spalmando gli ammortamenti in oltre otto anni contro i cinque stabiliti negli altri tornei maggiori dell’Europa. La campagna acquisti è stata vertiginosa.
Il più recente fra i colpi di mercato è da record: 121 milioni spesi per il genietto del centrocampo dell’Argentina campione mondiale, Enzo Fernández. Altri 100 milioni sono serviti per l’ucraino Mykhaylo Mudryk, 80 per Wesley Fofana e 66 per il terzino spagnolo Marc Cucurella, che non è certo il nuovo Roberto Carlos. I 38 milioni dati al Napoli per Kalidou Koulibaly sono argent de poche per un club ceduto per 5 miliardi di euro da Roman Abramovich, sanzionato dopo l’invasione dell’Ucraina.
Con ritardo sta ritrovando nerbo anche la Uefa, rimasta a guardare mentre le federazioni nazionali smontavano il fair play finanziario lanciato dall’ex presidente continentale Michel Platini. L’attuale numero uno, lo sloveno Aleksander Ceferin, è sotto pressione da parte della Liga e della federazione spagnole, che hanno scoperto i bilanci virtuosi dopo anni di follie, e dal fronte tedesco che, invece, si è attenuto alle regole con precisione teutonica salvo accorgersi che i club della Bundesliga hanno perso competitività nei tornei continentali con due sole Champions e una Europa league vinte negli ultimi vent’anni.
L’altro caso allo studio della federazione europea è quello del Paris Saint-Germain preso undici anni fa dalla famiglia reale del Qatar ai margini del calcio nazionale e trasformato in una corazzata continentale che ha chiuso la stagione 21-22 con 700 milioni di euro di ricavi e 370 milioni di perdite. Anche il club guidato da Nasser al Khelaifi si è destreggiato senza troppo danno fra le sanzioni sul fair play dopo accuse di bilanci gonfiati attraverso sponsor statali come la compagnia di bandiera Qatar airways, che versa ai parigini 80 milioni all’anno quando Emirates ne dà 70 al Real Madrid, il club più vincente del mondo.
A settembre dell’anno scorso il Psg è stato uno degli otto club sanzionati dall’Uefa insieme a quattro società italiane (Inter, Milan, Juventus e Roma), altre due francesi (Om e Monaco) e il Besiktas di Istanbul. La multa era la più alta, 65 milioni di euro, ma le regole prevedono che se ne versi solo il 15 per cento in attesa dei successivi gradi di giudizio.
Il club che batte bandiera qatariota ha risposto con un rilancio senza precedenti rinnovando il contratto a Kylian Mbappé corteggiato dal Real per 636 milioni di euro in tre anni. Il triennale da 110 milioni di euro netti concesso al compagno di squadra Leo Messi nel 2021 sembra quasi un’elemosina, mentre Cristiano Ronaldo se n’è andato a Riyad con un quinquennale da 190 milioni l’anno. A questi livelli di spesa il resto del mondo avrà presto l’unica consolazione di tifare contro.