Crisi industriali
Dcm, oltre sessanta lavoratori rimangono nel limbo in Puglia
Sono stati licenziati dalla ditta del settore aeronautico ad aprile. Ora attendono il subentro di Italsistemi. Ma la riassunzione appare lontana
Cose che accadono all’ombra del miracolo turistico estivo pugliese. Una piccola grande battaglia di posizione combattuta senza clamori, che non guadagna spazi nei tg. Negli ultimi mesi si è intensificata la lotta dei 66 lavoratori Dcm di Brindisi, licenziati ad aprile scorso dopo anni di cassa integrazione.
Due sit-in tra giugno e luglio, per loro: il primo si è concluso con un incontro con il prefetto, a cui hanno riepilogato le vicissitudini personali e della fabbrica aeronautica ex Gse; il secondo s’è svolto sotto la sede cittadina di Confindustria e poi al Comune, dove hanno incontrato l’assessore al Lavoro, Lidia Penta.
Al fianco dei 66 soprattutto i Cobas, che spalleggiano «una lotta tenuta ai margini del dibattito politico-sindacale, in una provincia dove il settore aeronautico, che ha perso tanti posti di lavoro, dovrebbe essere rilanciato». Si spera in un reintegro dei licenziati, dopo l’auspicato e probabile subentro di Italsistemi.
Di recente si sarebbe tenuto un colloquio informale proprio con quest’ultima società. Ma al tavolo c’erano assenze pesanti. «I rappresentanti del comitato degli ex lavoratori Dcm hanno chiesto ai delegati interni dello stabilimento, loro vecchi colleghi, di poter partecipare come uditori, ma hanno ottenuto, di fatto, un rifiuto. Eppure la loro presenza era importante, perché la stessa Italsistemi si era pubblicamente impegnata a una loro possibile riassunzione», spiega il segretario provinciale Cobas, Roberto Aprile. Adesso quest’opzione pare «scomparsa completamente dall’orizzonte».
I Cobas ricordano la cronologia delle disavventure dei 66, paradigmatica di tendenze ormai cristallizzate nell’industria globale e locale. Quando la Gse fallì nel 2017, il suo complesso brindisino venne rilevato dal gruppo Dema. Ma a quel punto le maestranze appena assorbite furono smembrate in due tronchi: quello ufficiale, il Dar, è rimasto sempre operativo; l’altro, il Dcm, avrebbe invece assunto subito le fattezze di un contenitore-limbo per gli operai in “eccesso”. In vista di una ventilata rigenerazione occupazionale.
Cioè “Aspettando Godot”. Questa la ricostruzione dei comitati di base suffragata, con qualche leggera variazione sul tema, anche da fonti politiche regionali. Poi il meccanismo si è inceppato e il 23 aprile è piombata la notizia ferale dei 66 licenziamenti. L’organico iniziale Dcm era di 112 persone, a tanto ammontava il numero di coloro che fruirono del primo ammortizzatore sociale.Da un presente inquieto e sospeso a un futuro nero come un cielo senza più stelle. Né aerei, viene da dire.
Lo scorso marzo Italsistemi ha depositato al Tribunale di Napoli una proposta vincolante per l’acquisizione dell’azienda. Ma le interesserebbe solo lo stabilimento Dar. Intanto, presso gli uffici dell’Agenzia regionale per le Politiche attive del lavoro di Brindisi, si è costituito un «bacino di prossimità» dei lavoratori Dcm. Per mostrare che esistono. E perché, in virtù di questa configurazione, i 66 «esuberi» guadagnano una prelazione, un «diritto di priorità» su eventuali nuove assunzioni nel settore aeronautico nella zona. Samuel Beckett permettendo.