Il 18 settembre il Financial Times titolava «Meloni: È finita la luna di miele con i mercato». E scegliere quella data per raccontare che gli investitori internazionali stanno tenendo gli occhi puntati su alcune mosse del governo non è casuale. Scadeva lunedì, ma è stato posticipato a mercoledì 20 settembre, il termine ultimo per presentare emendamenti al ddl Capitali, una norma pensata già nel corso del governo Draghi, che ha preso forma in primavera e che,era nata con l'obiettivo di svecchiare il Testo Unico della Finanza scritto proprio da Mario Draghi nel 1998.
L'obiettivo era quello di attrarre capitali internazionali e trattenere capitali e società italiane, in fuga dall'Italia e in cerca di lidi più flessibili. All'interno del testo, infatti, si prevedeva l'introduzione del voto plurimo, ovvero della possibilità per le società non quotate di estendere da tre a dieci i voti attribuibili a ogni azione e allineare il nostro diritto societario ai modelli internazionali, così da contenere la fuga delle aziende da Piazza Affari. Ma negli emendamenti, presentati questa estate e discussi nelle prime settimane di settembre, quello presentato da Fausto Orsomarso (FdI) e Dario Damiani (FI) ha l'effetto opposto, ovvero di scoraggiare gli investitori internazionali e lasciare l'Italia. Nel loro emendamento c'è un comma che depotenzia il meccanismo della lista del cda, che è una prassi per consentire al consiglio di amministrazione uscente di presentare all'assemblea la lista dei nuovi consiglieri da eleggere, così da favorire la managerialità, e quindi l'indipendenza, all'interno delle società quotate. Il rischio (se dovesse passare l'emendamento) è quello di rendere le società ingovernabili e di privare gli azionisti di minoranza di qualsiasi voce in capitolo. L'enfasi su questo emendamento sembra accentuata dagli interessi che gravitano introno ai rinnovi del board di Mediobanca e Generali, come l'Espresso ha già raccontato. Ecco perché il tempismo del Financial Times sembra non essere causale, ma motivato dall'irrequietezza dei grandi investitori internazionali.
Colossi come BlackRock, Vanguard Asset Management, Fidelity, J.P. Morgan e così via, che hanno piccole partecipazioni nelle società quotate, si sentono maggiormente garantiti da consigli di amministrazione con un alto livello di managerialità, anziché da società dove a decidere sono piccoli azionisti, con gestioni famigliari. Inoltre le modifiche in discussione in questi giorni sono un pessimo segnale che si dà, al di là del merito, agli azionisti internazionali: ovvero l'idea che il legislatore entri a gamba tesa in dinamiche di finanzia internazionale e all'interno di contese per il controllo e prenda le parti di uno o dell'altro. Il governo ha già lanciato pericolosi messaggi in tal senso, il più roboante dei quali è la tassa sugli extraprofitti delle banche che, giusta o no, in un solo giorno ha bruciato il 10 per cento di capitalizzazione degli istituti di credito quotati e, soprattutto, ha generato una grave perdita di credibilità per il Paese di fronte agli investitori istituzionali.
Un altro segnale in tal senso è stato l'uso della Golden Power per Pirelli, ovvero dei poteri speciali di cui gode il governo italiano, che sono stati recentemente rivisti ed estesi. Il socio cinese voleva far valere il suo 40 per cento in termini di poteri decisionali, ma il governo italiano – giocando sul fatto che la società sta sviluppando una tecnologia critica che raccoglie dati sulla viabilità, e quindi soggetta ai poteri speciali – ha fatto valere la golden power, affermando che spetta a Tronchetti Provera, ovvero al socio italiano, indicare l'amministratore delegato. Dunque, il governo ha trovato un modo ingegnoso per mantenere in Italia il controllo di una società senza disporre dei capitali necessari e questa potrebbe non essere una buona notizia per un azionista straniero.
Più di recente, la decisione di mettere un cap sul prezzo dei biglietti aerei, mandando su tutte le furie le società straniere – specialmente Ryanair – che operano in Italia. Non è neppure passata inosservata l'assenza di Giorgia Meloni al Forum Ambrosetti di Cernobbio di inizio mese, anzi. Mentre il gotha degli industriali discuteva di economia e finanza, e si domandava come si potesse giustificare una politica economica come quella avviata dal Governo, la premier era a Monza, quindi una cinquantina di chilometri di distanza, al Gran Premio di Formula Uno. E la finanza internazionale inizia a lanciare segnali di fumo al governo, per esempio allontanando il rendimento dei titoli di Stato italiani da quelli tedeschi: lo spread è già a quota 180 ad indicare la preoccupazione dei mercati sull'andamento dell'Italia.