Un equipaggio di sei persone: tre sul satellite, tre nel Gateway che è in costruzione a Torino. Parmitano fa il punto sulla missione Artemis. E sulle tecnologie che la sosterranno

Non è un gourmet, come racconta sorridendo, ma è l’italiano dei record nello Spazio. Incontriamo Luca Parmitano allo Iac, l’International astronautical congress di Milano. Indossa la stessa tuta blu con cui l’abbiamo visto tante volte nelle dirette dallo Spazio.

Cominciamo dalla madre di tutte le curiosità: sarà Luca Parmitano il primo uomo a tornare sulla Luna?

«Mi viene da ridere perché non è scritto da nessuna parte, però, certo, siamo un ristretto numero di astronauti dell'Esa ad avere la possibilità di partecipare al programma Artemis, perché bisogna aver volato prima. Siamo in sei ad avere alle spalle tre voli e quindi c'è un 50% di possibilità».

Cosa cambierà negli addestramenti in vista delle missioni Artemis?

«Per chi ha un'esperienza come la mia sulla Stazione spaziale internazionale, il grande cambiamento è che ogni missione ora verrà fatta ad hoc, con addestramento specifico, mentre ad oggi c’è un addestramento generico al quale si aggiungono attività specifiche per missioni extra veicolari o per gli esperimenti specifici. Però tutto quello che riguarda la Stazione stessa, come astronave, è molto consolidato e di solito gli astronauti riescono ad addestrarsi anche con ampio anticipo prima di essere assegnati».

Per le prossime missioni non esiste un protocollo.

«Dobbiamo realizzarlo. L'anno prossimo partirà la prima missione verso la Luna, Artemis II, e anche questa è al momento imprevedibile. E poi una terza missione Artemis che dovrebbe scendere sulla superficie lunare, ma potrebbe diventare già una prima missione Gateway. Si tratta di una postazione orbitante intorno alla Luna e la stiamo costruendo sulla Terra. A Torino l'ho già vista, ho già fatto una prima fase di sperimentazione come equipaggio ma in orbita non è stata mai utilizzata. Sarà un’orbita Halo, relativamente stabile che permette di avere un sistema a 90 gradi rispetto al piano orbitale Terra-Luna. Le tempistiche di questa orbita variano moltissimo in base alla distanza dalla Luna. Però è un concetto assolutamente innovativo che non abbiamo mai sviluppato. Quindi anche l'addestramento è tutto da generare in base alla tipologia di missione».

Che cosa cambia rispetto alla Stazione spaziale internazionale?

«È chiaro che non perderemo l'esperienza acquisita con l’Iss, è un vantaggio quello di avere 25 anni di esperienza sulla Stazione. Il grande cambiamento saranno le dimensioni: il Gateway sarà grande circa un terzo rispetto all’Iss, ma l'equipaggio sarà ridotto, perché sarà una stazione parzialmente abitata da quattro astronauti che in alcuni periodi saranno due. E cambia anche la gestione della Stazione. L’Iss è stata permanentemente abitata, chiunque abbia meno di 25 anni oggi non ha mai vissuto in un Pianeta senza astronauti in orbita. Il Gateway invece non è nato per essere permanentemente abitato. È una postazione molto lontana e verrà abitata per il periodo di esplorazione in superficie della Luna – quindi tre settimane – più sei settimane di permanenza a bordo. Tutto il resto del tempo sarà disabitata e avremo a bordo dei sistemi che devono essere molto più robusti da un punto di vista di autogestione perché non avranno il supporto dell'essere umano e non avranno il supporto neanche della Terra».

A ottobre è stato firmato l’accordo per la realizzazione della costellazione di Tlc, Moonlight, del valore di 123mln di euro, che vede Telespazio capofila di una compagine internazionale.

«È un programma che conosco poco perché è ancora poco sviluppato. Ma di fatto la Luna non ha un campo magnetico, quindi non potremmo utilizzare nemmeno una bussola e non abbiamo una cartografia abbastanza accurata per la navigazione lunare. Quindi questa costellazione dovrebbe fornire il supporto di Tlc indispensabile. Oggi però è impensabile un sistema che faccia solo una cosa, non siamo in grado di sostenere costi di programmi specializzati e quindi la flessibilità, la capacità di fare più cose e con costi contenuti, è un requisito inviolabile. Quindi Moonlight dovrà essere un sistema flessibile, facilmente riparabile e inseribile in orbita lunare. L’obiettivo di allunaggio riguarda i Poli e per sfruttare la potenzialità di acqua sotto forma di ghiaccio sarà anche necessario avere una copertura satellitare che arrivi fino al Polo Sud. Le missioni avranno un cambiamento radicale, dalla sperimentazione scientifica a bordo si passerà all'esplorazione del deep space e della Luna. È un cambiamento rivoluzionario. L'ambiente lunare è diverso da quello dell’Iss, che è sempre protetto dalle particelle cosmiche dalla magnetosfera. Mentre sulla Luna non abbiamo protezione elettromagnetica dalle particelle cosmiche, per cui la ricerca che andremo a fare a bordo della stazione Gateway vuole sì rispondere a delle domande, ma credo che uno degli impatti più grandi sarà quello di trovare nuove domande, perché è un ambiente che non conosciamo».

Degli esperimenti scientifici che ha fatto, qual è stato quello che le è più piaciuto?

«Ho passato 366 giorni a bordo e ho effettuato centinaia di esperimenti, ma non c’è un esperimento più importante di un altro. Però ne cito uno su cui sto ancora lavorando che si chiama Ams, l'alpha spettrometro al quale sono legato perché buona parte dell'esperimento ha una connotazione italiana, e da italiano questo mi rende orgoglioso. E poi ci ho lavorato a lungo con quattro attività extra-veicolari che ho effettuato per riparare questo strumento: sta lavorando talmente bene che se ne farà un upgrade, per migliorare la capacità di ricezione di particelle cosmiche di questo cacciatore di materia oscura. Questo esperimento cattura particelle cariche: come mi ha detto uno scienziato che lavora sulle particelle cosmiche, mentre studiare i fotoni vuol dire guardare il tubo di scappamento, guardare le particelle cariche significa osservare il motore. È quello che dobbiamo fare se vogliamo capire come funziona l'Universo».

Se andasse sulla Luna, quale sarebbe il bonus food che porterebbe? È famoso per la parmigiana nello Spazio, oltre che per i numerosi record, dalla prima passeggiata nello Spazio alle prime foto spaziali dalla calotta dell’Iss.

«Chi mi conosce sa che io non sono un gourmet e raramente scelgo il bonus food per mio gusto personale. Ma il mio approccio è quello di cercare qualcosa che possa essere condiviso con i colleghi per fare un'esperienza comune: perché alla fine siamo esseri umani, e non c'è un momento collettivo più classico di quello del cibo, della condivisione del cibo. Anche nello Spazio, dove abbiamo così poche possibilità di evasione e di distrazione.Però al cibo per la prossima missione non ci ho ancora pensato, non per scaramanzia ma perché non è una mia priorità al momento. Quando lo diventerà sarà interessante magari chiedere alle mie figlie o a mia moglie se hanno suggerimenti di qualcosa che vorrebbero condividere con i miei colleghi».