Sono più di mille nel mondo le aziende che studiano app e microdispositivi per la salute femminile

Il lato rosa della tecnologia sta assumendo riflessi dorati. Il FemTech, l’insieme delle nuove tecniche pensate per il benessere femminile, è un campo in forte crescita a beneficio della metà della popolazione mondiale che nelle sue fasi biologiche vive mestruazioni, possibili gravidanze e menopausa. L’attenzione è rivolta anche a malattie tipicamente femminili, come l’endometriosi, e ad alcune tipologie di tumore.

 

A livello globale sono oltre mille le startup che stanno elaborando nuove idee per migliorare la salute e la vita delle donne. Le previsioni di crescita del settore arrivano ai 75 miliardi entro il 2025. Tecnologie, app, prodotti indossabili come anelli e bracciali, microdispositivi: strumenti utili per migliorare la vita quotidiana, monitorare e fornire dati sulla salute femminile. Le applicazioni vanno dalla cura della pelle e del benessere ormonale sino al controllo della fertilità e al miglioramento della vita sessuale. Anche gli algoritmi dell’intelligenza artificiale devono calibrarsi in base alle esigenze della popolazione dai cromosomi XX.

 

Focus, dunque, sulla biologia femminile e le sue peculiarità rispetto a quella maschile, anche perché la ricerca medica si è finora concentrata prevalentemente sulla loro salute. C’è da colmare un profondo gap: in merito alle sperimentazioni cliniche le donne restano indietro. Scontano anni di esclusione. Nel 1977 la Food & Drug Administration, l’ente governativo statunitense che si occupa della regolamentazione dei prodotti alimentari e farmaceutici, vietava la partecipazione delle donne in età fertile agli studi su nuove terapie e farmaci. La motivazione era quella di preservare la capacità riproduttiva femminile, ma i risultati hanno portato a farmaci e terapie calibrate solo sulla fisiologia e sul metabolismo dei maschi, con conseguenti effetti indesiderati verso le pazienti. Nel 1993, la FDA ha invertito la rotta. Ma ancora oggi, dopo oltre trent’anni, la percentuale di donne arruolate negli studi clinici supera difficilmente il 20 per cento. Nonostante una maggiore consapevolezza sulla medicina di genere e la presenza presso l’Istituto Superiore di Sanità di un Osservatorio dedicato, la strada resta lunga.