Cose preziose

«Grazie alle tasse abbiamo scuola e sanità. Anche se il governo prova ad annientare entrambe»

di Loredana Lipperini   2 aprile 2024

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Giorgia Meloni si è inserita nella tradizione politica di chi giustifica l'evasione fiscale. Eppure, le imposte e la loro progressività fanno dello Stato una comunità. In cui ciascuno di noi dovrebbe rivendicare il proprio essere cittadino

Nel celebratissimo (e per molti versi meritevole) Storie della buonanotte per bambine ribelli, si proponevano una serie di modelli femminili forti affinché le bambine in questione crescessero con il proposito di diventare altrettanto straordinarie. Purtroppo, fra quei modelli c’era Margaret Thatcher. Thatcher, già, la premier della poll tax: se ricordate, era un’imposta che entrò in vigore nel 1988, e riguardava ogni cittadino maggiorenne, senza distinzione di reddito. La protesta cominciò in Scozia, e il 31 marzo 1990 cinquantamila persone invasero il centro di Glasgow. Fu un’azione pacifica cui si accompagnò il rifiuto di pagare la tassa: così unanime che Thatcher, infine, diede le dimissioni e il suo successore, John Major, la abolì nel 1991.

Prima però, nel 1987, Thatcher pronunciò la frase che divenne, nei fatti, il manifesto del liberismo: «Non esiste la società. Esistono gli individui, gli uomini e le donne, ed esistono le famiglie. E il governo non può fare niente se non attraverso le persone, e le persone devono guardare per prime a sé stesse. È nostro dovere badare prima a noi stessi e poi badare anche ai nostri vicini». La prima considerazione è che dovrebbe bastare Thatcher per fare giustizia del «purché sia una donna». La seconda considerazione è che Thatcher, almeno, non ha mai fatto smorfie in Parlamento e non ha mai nascosto la testa nella giacca, ma pazienza. La terza considerazione è che abbiamo un gigantesco problema ai vertici quanto a senso dello Stato.

La recente affermazione della premier Meloni è nella scia di Thatcher anche se va nel senso opposto rispetto alla poll tax: «Non penso e non dirò mai che le tasse sono bellissime, lo sono le libere donazioni e non i prelievi imposti per legge». C’era almeno un precedente dello scorso anno, quando Meloni parlò addirittura di «pizzo di Stato» (ma naturalmente era stata fraintesa). Del resto, non è una novità; nel 2004 Silvio Berlusconi disse esplicitamente, in una conferenza stampa ufficiale: «Se si chiede una pressione del 50% ognuno si sentirà moralmente autorizzato a evadere». E il giorno dopo ribadì: la «giustificazione morale» dell’evasione è una verità insita nel «diritto naturale».

Cambiamo Paese. Nel 2012 Stephen King afferrò un megafono durante una manifestazione in Florida, ringraziò Dio di essere ricco e chiese con rabbia di raddoppiare la tassazione sui suoi guadagni, pur consapevole del fatto che la maggior parte dei suoi colleghi ricchi «avrebbe preferito cospargersi le parti intime con liquido infiammabile, accendere un fiammifero, e danzare cantando Disco Inferno pur di non pagare un centesimo in più di tasse». Rivendicò, allora, quello che rivendichiamo tutti, o dovremmo: essere cittadini. Perché grazie alle tasse abbiamo scuola e sanità, almeno in Italia (anche se il governo Meloni prova ad annientare entrambe).

So che è utopico immaginare non dico l’equivalente di King in Italia, ma un qualsiasi appartenente alle fasce alte del reddito che ne segua l’esempio. Dunque, utopia per utopia, la cosa preziosa di oggi è Democrazia, la sfida della fraternità a cura di Francesco Occhetta, che esce per la giovane casa editrice Il Pellegrino. La fraternità, nel segno di Hannah Arendt, è quella che può almeno aiutare a immaginare un mondo dove esistono la società, e anche la comunità, e anche lo Stato che si fonda su entrambe. E Buona Pasqua.