Economia

L'Italia investe un miliardo nell'Ia: ma non basta

di Alessandro Longo   22 aprile 2024

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I fondi di Cassa Depositi e Prestiti destinati alle aziende che si occupano dell’Intelligenza artificiale erano attesi da tempo, ma sono pochi rispetto agli altri Paesi. E la ricerca nazionale è solo teorica

L’Italia si è desta sull’Intelligenza artificiale. Ma senza esagerare: il capo ancora tentenna, gli occhi socchiusi; inclini a quel sonno che – a fatica – da poco hanno dovuto lasciare. È un aprile ricco di notizie per i piani Paese su quella che promette di essere una tecnologia dirompente per l’economia e la società. Il piano industriale di Cassa Depositi e Prestiti (2024-2028) contiene la più grande scommessa economica finora lanciata dall’Italia sull’Ia: un miliardo di euro di supporto alle aziende che la fanno. Di questi giorni anche un disegno di legge Meloni con la nuova strategia sull’Ia, con (altri) 148 milioni di euro per le startup e un ambizioso piano a tutto tondo, per la ricerca e lo sviluppo dell’Ia nella Pa e nelle imprese, in particolare quelle strategiche per noi (manifattura, made in Italy).

 

Si apprende infine dal ministero competente (il Mimit) che tra maggio e giugno aprirà il tanto atteso (dal 2020) Istituto italiano per l’Intelligenza artificiale, a Torino. Avrà 20 milioni all’anno per affrontare il principale problema dell’Italia in questo campo: non riusciamo a fare innovazione applicata all’industria, quindi direttamente utile all’economia; la nostra ricerca resta per gran parte teorica, nelle università.

 

Bene: ma, secondo molti esperti, non basta. Troppo poco rispetto a quello che stanno facendo gli altri Paesi europei. «Bisogna fare di più: l’Italia deve trovare le risorse per sfruttare quest’opportunità di uscire dal pantano, fatto di Pil e salari entrambi stagnanti da decenni», spiega Umberto Bertelè, professore emerito del Politecnico di Milano, decano della trasformazione digitale dell’Italia. «L’Ia può rendere il lavoro più produttivo e quindi più remunerativo e le aziende italiane più competitive», aggiunge, come sostengono pure diversi osservatori (McKinsey, Boston Consulting Group). Uno studio 2023 di Microsoft-Ambrosetti addirittura stima in 310 miliardi l’anno il potenziale dall’Ia per l’economia italiana.

 

Che sia importante lo sa bene Cdp e, almeno a parole, l’ha ribadito più volte il governo. «L’Ia rappresenta un pilastro strategico all’interno del piano industriale appena presentato e che si innesta nella Strategia nazionale sull’Intelligenza artificiale», spiega a L’Espresso Agostino Scornajenchi, amministratore delegato di Cdp Venture Capital. Nel piano c’è l’istituzione di un fondo ad hoc da 500 milioni di euro per lo sviluppo di tecnologie e 500 milioni di co-investimenti con sei fondi settoriali (agritech, spazio, salute, energia, industria, infrastrutture & mobilità) destinati a realtà imprenditoriali che già oggi utilizzano l’Ia. In particolare, «120 milioni andranno al trasferimento tecnologico, ossia l’anello di congiunzione fra ricerca e mercato; 580 milioni in aziende cosiddette early stage, che già lavorano su applicazioni verticali e 300 milioni a progetti più maturi, i due-tre campioni italiani che potranno competere sul mercato internazionale garantendo all’Italia un’indipendenza tecnologica e la sicurezza dei dati sensibili», aggiunge.

 

Cdp prevede un effetto leva sul sistema economico, «pari a tre miliardi di investimenti cumulati da oggi al 2028-2029: quindi il nostro intervento garantisce una solida base di partenza per attrarre ulteriori risorse dal mercato nazionale e internazionale». A guardare il presente dell’innovazione in Italia, però, non riusciamo a essere altrettanto ottimisti. Spiega Giorgio Metta, direttore scientifico dell’Istituto italiano di Tecnologia, tra i principali poli italiani (fondato nel 2003 dall’allora governo, 18 centri in tutta Italia, duemila dipendenti): «In Italia facciamo molto bene solo nella ricerca di base, utile ma teorica; se l’Italia vuole avere ambizioni importanti – come può e deve – dovrebbe spronare di più la ricerca applicata all’industria: l’istituto di Torino è un progetto troppo piccolo rispetto a quanto avviene all’estero».

 

«Per la ricerca saranno molto utili i 115 milioni di euro che vengono dal Pnrr per la fondazione Fair (Future Artificial Intelligence Research)», aggiunge Nicola Gatti, che si occupa di Ia per il Politecnico di Milano ed è nel comitato scientifico della fondazione, «ma Francia, Germania e Regno Unito stanno mettendo tre volte i nostri fondi». «All’estero c’è più spinta sia dallo Stato sia dal venture capital, per le startup», nota Gatti. Concorda Stefano da Empoli, economista presidente dell’istituto I-Com e autore di vari libri sul tema (da ultimo, “L’economia di ChatGpt”, Egea, 2023): «I dati Ocse dicono che per investimenti in startup dell’Ia ci battono anche piccoli Paesi come Svezia e Olanda; il miliardo di euro da Cdp è tanto rispetto all’attuale deserto, ma resta poco rispetto a quanto fanno gli altri».

 

Il principale campione europeo ora è la francese Mistral, fortemente supportata dal governo. Ci ha investito anche Microsoft e ora ha una valutazione di due miliardi di dollari. Il suo omonimo prodotto è simile a ChatGpt (dell’americana OpenAi), il chatbot che (da fine 2022) ha scatenato il boom dell’Ia nel mondo. La nuova strategia italiana per la prima volta prevede la creazione di tre campioni nazionali (ancora tutti da individuare) nell’ambito dell’Intelligenza artificiale generativa, la nuova branca di Ia resa popolare appunto da ChatGpt.

 

Che fare? Gli esperti concordano: bisogna rafforzare il legame tra il buono che c’è ora (la ricerca) e i distretti industriali; «è necessario fare sistema per garantire sufficiente accesso ai capitali da parte delle startup e chiudere il gap con gli altri Paesi europei», dice Scornajenchi. E per farlo occorre osare, «spostare fondi pubblici da altri settori, più tradizionali; altrimenti – avvisa Bertelè – saremo condannati a essere Paese arretrato, in un circolo vizioso di scarsa produttività e bassi salari».