Lotta all'evasione

Così grazie al governo Meloni gli evasori dormono sonni tranquilli

di Gloria Riva   23 aprile 2024

  • linkedintwitterfacebook

L'Agenzia delle Entrate, su indicazioni dell'Esecutivo, prevede di ridurre i controlli, che scendono di un quarto rispetto a due anni fa. E si punta tutto sul concordato preventivo, nonostante lo scetticismo dei fiscalisti. Il rischio è di rinunciare a parecchie entrate fiscali per l'Erario

Pochi controlli, ma buoni. L’avversione del governo per tasse e Fisco è stata ampiamente sdoganata da Giorgia Meloni con la frase: «Mai dirò che le tasse sono una cosa bellissima». Si punta invece a un «Fisco più giusto», alleggerendo la pressione fiscale per tutti. Per tutti, in prospettiva. Nell’immediato la pressione scende per chi evade, riducendo la mole delle verifiche eseguite dall’Agenzia delle Entrate.

 

Mentre Meloni discetta sulla moralità dei tributi – che in quanto tali non sono né belli né brutti, bensì utili – e mentre il ministro dell’Economia, Giancarlo Giorgetti, fa le acrobazie perché, a furia di flat tax e riduzione delle aliquote, in cassa non c’è rimasto un euro, l’Agenzia delle Entrate pubblica il Piao, Piano Integrato di Attività e Organizzazione 2024-2026, il documento di programmazione delle attività per i prossimi tre anni, che rappresenta un’interessante cartina di tornasole delle scelte politiche in materia di riscossione dei tributi.

 

Il Piao descrive gli obiettivi delle attività di contrasto all’evasione fiscale e offre il totale delle verifiche sostanziali, cioè gli accertamenti programmati, per quest’anno e per i successivi due, dall’Agenzia delle Entrate su tutti i tipi di imposte: tasse dirette, Iva, Irap, controlli automatizzati, imposta di registri, crediti d’imposta, contributi a fondo perduto e così via. Il target è di 320 mila controlli l’anno. Per capire se siano molti o pochi è necessario raffrontare questo dato con il piano precedente. Tuttavia, il dettaglio offerto nella programmazione di quest’anno non è confrontabile con quello del 2023, quando ci si è limitati a indicare i 60 mila accertamenti realizzati congiuntamente dall’Agenzia delle Entrate e dalla Guardia di Finanza. Per avere un valore confrontabile con le 320 mila verifiche, è necessario rifarsi alla Relazione sull’Evasione fiscale 2023 pubblicata in autunno. C’è scritto che nel ’22 le verifiche relative alle imposte sono state 426.686, in aumento rispetto a 2020 e 2021, biennio segnato dal congelamento delle ispezioni per il Coronavirus. Dunque, si passa dai 426.686 controlli del ’22 ai 320 mila di quest’anno, con una riduzione di 106 mila verifiche, cioè meno 25 per cento. Non poco. La situazione è ancora meno confortante se si osserva la quantità dei controlli sostanziali, indispensabili per contrastare l’evasione fiscale soprattutto degli autonomi, effettuati dieci anni fa: nel 2014, i controlli erano 642 mila, esattamente il doppio di oggi. Il record spetta al 2016: 773 mila verifiche.

 

Dicevamo, pochi controlli ma buoni. O almeno, così sperano Giorgetti e il suo viceministro, Maurizio Leo. La scelta politica del governo è ridurre le possibilità di accertamento, a favore del concordato preventivo. A tal proposito, tuttavia, l’Agenzia delle Entrate non indica nel Piao il volume di accordi che potrebbe essere raggiunto nei prossimi mesi. È quindi impossibile stabilire quanta parte del gettito perso dai mancati accertamenti verrà recuperata grazie al concordato preventivo. Di sicuro, però, il concordato è la grande scommessa su cui si gioca la stabilizzazione dei traballanti conti pubblici, ed è la variabile a sorpresa che Giorgetti e Leo intendono mettere sul tavolo in autunno, quando non potranno più presentare un «Def asciutto», come l’hanno definito la settimana scorsa, ma dovranno per forza offrire un quadro programmatico, cioè descrivere nel dettaglio gli obiettivi di finanza pubblica e soprattutto le misure previste per tradurli in pratica. Tradotto: dovranno spiegare dove prenderanno i circa 18 miliardi per realizzare gli interventi prioritari che hanno promesso, su tutti la conferma della riduzione del cuneo fiscale e il taglio dell’Irpef, le due misure bandiera che, altrimenti, si esauriranno alla fine del 2024. In realtà, i miliardi necessari sono molti di più, probabilmente 25, perché servono risorse anche per la sanità pubblica e per non far mancare il sostegno alle pensioni.

 

 

In teoria il governo avrebbe dovuto spiegare già ora dove reperire quel denaro, ma ha deciso di rimandare tutto a settembre, forse per non turbare gli animi in vista delle elezioni europee e allontanare lo spettro di un aumento delle tasse, inevitabile se il quadro economico dovesse restare immutato e non dovesse esserci un sussulto di crescita economica. Due le carte a disposizione del governo: proseguire sulla strada di una svendita in massa di asset pubblici, imprese e beni vari, che tuttavia difficilmente frutterà i 20 miliardi promessi. La seconda carta è il concordato biennale preventivo che risulta essere il cuore della prossima riforma fiscale del governo. Funzionerà? I commercialisti esprimono scetticismo rispetto alla possibilità che un’immensa platea di partite Iva, con volumi di guadagno entro i 5 milioni di euro, dove si annida buona parte dell’evasione fiscale, decida di pagare, una buona volta, le tasse. Infatti, il concordato preventivo funzionerà solo se molti contribuenti accetteranno la proposta del Fisco di pagare un po’ più tasse nel 2024 e nel 2025 per avere la certezza di non subire accertamenti. E qui sorge il primo dubbio: se l’Agenzia delle Entrate prevede di ridurre di un quarto i controlli nel 2024, allora la probabilità di ricevere un accertamento si riduce, quindi molti potrebbero decidere di sfidare la sorte ed evitare il concordato.

 

Sostengono i tributaristi che i contribuenti incerti sull’andamento dei propri redditi nel biennio non paiono disposti ad accettare la proposta di pagare un po’ più tasse per restare tranquilli, perché nel caso di riduzione del loro reddito resterebbero vincolati a quanto pattuito con il Fisco. Quindi, sempre stando al parere dei fiscalisti, i contribuenti che accetteranno l’accordo preventivo saranno solo quelli certi di avere un consistente aumento di reddito nei prossimi due anni, magari perché hanno già in mano i contratti o gli affidamenti. Tuttavia questo rischia di ridurre, anziché aumentare, il gettito potenziale per l’Erario.

 

Sul fronte del volume di denaro che lo Stato punta a incassare grazie al concordato preventivo c’è ancora massimo riserbo, si sa soltanto che la platea a cui verrà proposto un accordo è di 4,5 milioni di contribuenti, fra forfettari e partite Iva. I contribuenti dovranno accettare o no le proposte del Fisco entro il 15 ottobre, e solo allora sarà possibile stimare il gettito atteso nella Finanziaria per il 2025.

 

Ernesto Maria Ruffini e Maurizio Leo

 

Speriamo che i commercialisti si sbaglino, perché, tornando al documento programmatico dell’Agenzia delle Entrate, l’altra certezza oltre alla riduzione dei controlli è la contrazione degli incassi provenienti dalle verifiche: le entrare derivanti dall’attività di contrasto all’evasione fiscale saranno pari a 11,1 miliardi nel 2024, per poi crescere a 11,2 e poi 11,3 miliardi nei due anni successivi. Ora, anche escludendo la quota di entrate ottenuta grazie ai condoni, comunque siamo almeno 4 miliardi sotto ai risultati ottenuti nel 2022 e nel 2023. Insomma, speriamo davvero che le buonissime maniere usate dal governo nei confronti degli evasori fiscali sortiscano un effetto positivo per far quadrare i conti pubblici. Altrimenti? Altrimenti saranno i soliti noti a pagare il conto: consumatori, lavoratori dipendenti e pensionati.