Ambiente a rischio
Le "anziane donne svizzere" vincono in tribunale: e la tutela dell'ambiente diventa un diritto umano
La Corte europea accoglie il ricorso delle attiviste preoccupate dai possibili effetti dell'inquinamento sulla loro salute. Una sentenza storica che influenzerà le strategie degli ecologisti in tutto il mondo. E che vede tra gli sconfitti non solo il governo di Berna ma anche quello italiano
La via giudiziaria alla lotta al cambiamento climatico avanza, e segna un punto importante – anche se su altri due aspetti viene sconfitta. In tutto il mondo gli ambientalisti stanno guardando alle tre sentenze della Corte europea dei diritti dell’uomo (CEDU) su altrettanti ricorsi presentati da ambientalisti europei con un entusiasmo che sembra figlio della “politica del bicchiere mezzo pieno”: è una vittoria parziale ma può essere la prima di una serie. E può indirizzare il cammino alle decisioni di altri giudici non solo in Europa ma nel mondo intero. «Questa sentenza non è solo una vittoria per la nostra associazione: è una vittoria per tutte le generazioni», ha commentato Rosmarie Wydler-Wälti, co-presidente dell’associazione Anziane per il clima Svizzera.
I tre ricorsi arrivati a sentenza insieme erano simili: un gruppo di ambientalisti si era unito per far giudicare come una violazione dei diritti umani l’inquinamento dell’ambiente. Un cambio di strategia importante rispetto alle azioni tradizionali come proteste, raccolte di firme o manifestazioni di piazza: una tendenza su cui L’Espresso aveva fatto il punto poche settimane fa. La sentenza di oggi «segna un punto di svolta», ha detto Corina Heri, un’esperta di cause che riguardano il clima per l’Università di Zurigo. E Gerry Liston, avvocato per il Global Legal Action Network, l’ha definita «una pietra nella lotta globale verso un futuro più vivibile. Anche una sola vittoria in uno di questi tre ricorsi è lo sviluppo più significativo nella lotta al cambiamento climatico dalla firma degli Accordi di Parigi».
Il ricorso accettato è quello delle “Anziane per il clima Svizzera”: un gruppo di cittadine che, sentendosi esposte ai cambiamenti climatici come «i canarini in miniera», hanno accusato la Svizzera di non fare abbastanza per proteggere la loro salute dalle conseguenze del riscaldamento globale provocato dall’inquinamento. Per le donne è una grande soddisfazione, anche perché avevano deciso di rivolgersi al tribunale europeo dopo che il loro ricorso era stato rigettato dai giudici svizzeri. La sentenza della Cedu è vincolante per i Paesi europei, anche se la Corte non ha modo di far rispettare quest’obbligo.
Greenpeace fa notare che anche l'Italia è coinvolta nella sconfitta svizzera. L'avvocatura generale dello Stato infatti aveva presentato una memoria a sostegno della posizione della Svizzera. In essa si sosteneva, tra l'altro, che «il ricorrente non può essere considerato una "vittima" solo sulla base del rischio di danni futuri». Proprio questo era un punto fondamentale di tutti e tre i ricorsi presentati alla Cedu: che un cittadino che si è ammalato per l'inquinamento possa far causa è ovvio, la novità è proprio la presentazione di un ricorso in base ai rischi dei danni che l'inquinamento può provocare. Dopo la sentenza della Cedu, sostiene Greenpeace, «tutti gli Stati del Consiglio d'Europa potrebbero essere invitati dai loro cittadini a rivedere e, se necessario, rafforzare la loro politica climatica sulla base dei principi sviluppati dalla Cedu per salvaguardare i diritti umani».
Sono stati respinti invece - ma per motivi procedurali e quindi senza entrare nel merito - gli altri due ricorsi. Un gruppo di giovani portoghesi aveva citato in tribunale per il mancato rispetto degli impegni previsti dall’accordo di Parigi non il solo Portogallo ma anche gli altri 32 Paesi europei. Una causa più specifica riguardava la Francia: qui l’accusa dell’ex sindaco di Grande-Synthe, paese sul Canale della Manica, partiva dai rischi di inondazione a cui la cittadina è esposta a causa dell’innalzamento del livello del mare, legato al cambiamento del clima. Anche in questo caso, l’accusa al governo francese era di non aver fatto abbastanza per rispettare gli impegni che permetterebbero di limitare l’aumento della temperatura media, e quindi lo scioglimento dei ghiacci polari e il conseguente innalzamento dei mari.