La ricerca

Grazie alla ricerca scientifica avere un figlio dopo un tumore al seno è sicuro

di Chiara Sgreccia   10 maggio 2024

  • linkedintwitterfacebook
Airc, Azalea della Riceca

Numerose evidenze scientifiche dimostrano che non è pericoloso decidere di avere una gravidanza dopo essere guarite. Per sostenere l'importanza dello studio, e celebrare quarant'anni di impegno, l'Airc torna nelle piazze domenica 12 maggio

«Quando ho saputo di avere un tumore al seno tutto è passato in secondo piano. Anche il mio desiderio di maternità. Volevo dei figli ma la notizia è stata così impattante e la procedura di cura talmente veloce che in quel momento non ci ho pensato più», racconta Benedetta. Oggi ha trent’anni e due figlie, Sole e Noa. Si dice felice dopo aver superato un periodo buio, «in cui non provavo più niente: nessun sentimento o emozione». Spiega di essere riuscita ad allattare entrambe le figlie con un solo seno, «non ero affatto sicura di farcela. Ma è andata bene», dice con tono soddisfatto.

Se lo si vuole, riuscire ad avere un figlio dopo un tumore al seno è possibile. Senza che questo comporti rischi aggiuntivi per la vita della donna che sceglie di farlo. Sebbene i timori di accrescere le possibilità di recidiva e la durata delle terapie antitumorali spesso fungano da deterrente, ci sono numerose evidenze scientifiche a dimostrare che non è pericoloso decidere di avere una gravidanza dopo essere guariti dal tumore alla mammella. Tra gli studi ultimi pubblicati, quello con focus sui pazienti con tumore al seno e mutazioni dei geni Brca1 o Brca2, condotto dal professore Matteo Lambertini, che lavora all’Ospedale policlinico San Martino e all’Università di Genova, realizzato grazie al supporto di Fondazione Airc, che domenica 12 maggio, in occasione della festa della mamma, torna nelle piazze del Paese con l’Azalea della ricerca. E celebra 40 anni di impegno per sostenere la ricerca sui tumori che colpiscono le donne, con l’obiettivo di migliorare la qualità della cura e della vita.

Il tumore al seno infatti è il tumore femminile più frequente. In Italia, secondo il ministero della Salute, nel 2023 le nuove diagnosi sono state quasi 56 mila. Ma, come sottolineano gli esperti di Airc, oggi le possibilità di guarire sono alte: due donne su tre sono vive a cinque anni da una diagnosi di cancro. Per questo è fondamentale sia procedere con diagnosi sempre più precoci sia concentrare l’attenzione sulla vita dei pazienti dopo la malattia. «A Benedetta è stato diagnosticato il tumore da giovane, dopo l’intervento di mastectomia non ha dovuto seguire altre terapie. Quindi la sua fertilità non è stata compromessa ed è riuscita a portare avanti la gravidanza. Ma non è la normalità», spiega Alessandra Gennari, professoressa di Oncologia all’Università del Piemonte Orientale e direttrice della struttura universitaria di oncologia dell’Ospedale Maggiore della Carità di Novara: «Ci sono molte donne che si trovano ad affrontare il cancro al seno, che per curarsi oltre alla chemioterapia devono seguire le terapie ormonali. In questi casi, qualora la paziente desideri avere figli, è necessario adottare alcune precauzioni, come mettere in quiescenza le ovaie o raccogliere gli ovociti, o entrambi. Le tecniche da utilizzare dipendono dai casi ma il tempismo è importante. Così come sapere che avere un tumore al seno non significa dover rinunciare alla maternità, perché non ci sono rischi maggiori né per la donna né per il bambino». 

Come spiega la professoressa Gennari, a giocare un ruolo fondamentale in queste situazioni è l’informazione: «Le pazienti devono essere messe a conoscenza della possibilità che hanno, perché sono momenti difficili in cui, spesso sconvolte dalla diagnosi, mettono il resto in secondo piano. Invece è proprio tra i compiti dell’oncologo prendere in considerazione la realtà oltre il tumore».