Bolle finanziarie
Pfizer, Zoom, Peloton e gli altri: ecco chi ha fatto miliardi durante il Covid e ora è nei guai
Farmaci, delivery, videogiochi, attrezzi da ginnastica. I settori che hanno prosperato durante la pandemia ora soffrono in Borsa. E molte aziende devono licenziare e ridimensionarsi
La chiamano «bolla Covid» ed è peggiore di tanti casi analoghi del passato, dal tonfo delle «dot.com» al Nasdaq del 2000 alla crisi dell’immobiliare Usa del 2007. Il record negativo spetta alla Peloton, fornitrice di attrezzature da palestra a partire dalla stationary bike, volgarmente detta cyclette in tutte le sue evoluzioni. E poi vogatori, tapis-roulant, tappeti per yoga e pilates, pesetti da sollevare, con tutti i paraphernalia di app che danno il ritmo, dettano programmi, registrano pulsazioni e pressione. Nell’emergenza-pandemia tutti hanno scoperto i benefici di fare sport in casa e la Peloton ha macinato tali utili che si è scatenata la corsa in Borsa: è arrivata a valere 117 dollari per azione e 49,3 miliardi di dollari in totale nel gennaio 2021, ma ora è crollata del 97% a 4,2 dollari e di miliardi ne vale non più di 1,3.
Il 4 maggio l’amministratore delegato Barry McCarthy ha annunciato le dimissioni e il licenziamento del 15% dei suoi dipendenti (circa 400 persone). Ma anche un nome iperblasonato come Amazon conosce un destino simile. L’azienda condotta da Jeff Bezos era quotata sul New York Stock Exchange 185,97 dollari il 6 luglio 2021. Solo un anno e mezzo dopo, il 27 dicembre 2022, era scesa a 84 dollari: da allora si è lentamente ripresa ma solo dopo avere diversificato il business nel cloud computing, e comunque nel marzo di quest’anno ha annunciato l’ennesimo taglio di 18 mila dipendenti. E che dire di Zoom, regina delle videoconferenze fondata nel 2011 e capitanata da Eric Yuan, passata dai 159 dollari di quotazione al Nasdaq ovvero 559 miliardi di valore di mercato del 12 ottobre 2020 (dall’inizio di quell’anno aveva guadagnato a quel punto il 765%) ai 55,19 del 6 maggio 2024, che riducono la capitalizzazione a 18,4 miliardi? Chi ha comprato 100 dollari in azioni alla fine del 2020, quando il titolo sembrava destinato a sorti magnifiche e progressive, se ne ritrova in tasca 20. Ancora: come commentare la riduzione di otto volte del valore di Twilio (da 435,29 dollari per azione del 12 febbraio 2021 a 57,55 dello scorso fine aprile), una software house che offre un’applicazione per parlare e spedire messaggi dal pc di casa fondata da Jeff Lawson a San Francisco e cresciuta del 290% durante il Covid?
Attenzione alle date per comprendere cos’hanno in comune queste montagne russe borsistiche: sono tutte aziende che hanno conosciuto il massimo splendore e quotazioni stellari durante la pandemia, fra il 2020 e il 2021. Peloton (un nome che paradossalmente indica i ciclisti quando marciano in gruppo) con la proposta di farsi la palestra in casa durante il lockdown. Zoom perché consente di lavorare in smart working e studiare in Dad (didattica a distanza). Amazon perché permette di comprare qualsiasi cosa senza muoversi dal divano (compresa la spesa alimentare potenziata nel 2020 con l’acquisto della maggior rivale, Whole Foods, per 13,7 miliardi). Attenzione adesso alle date dei minimi di Borsa, più vicine a oggi: una volta che si è ripristinata la normalità, ecco il crollo fragoroso di fatturati e quotazioni, con l’inevitabile corollario di posti di lavoro persi nell’ordine delle decine di migliaia e di soldi dei risparmiatori (di tutto il mondo) bruciati in Borsa: secondo il Financial Times questo gioco spericolato è costato 1.500 miliardi di dollari solo considerando i 50 maggiori titoli (valore iniziale superiore ai 10 miliardi) dei «pandemic era winners». Per di più, nell’e-commerce gli aumenti dei tassi hanno ridotto le capacità di acquisto, sia in Europa che negli Usa. La crisi s’insinua giù per li rami costruiti durante la pandemia, e arriva fino ai giochi online, tipico passatempo da pomeriggi solitari: lo sviluppatore di videogame Unity Software ha annunciato il taglio del 25% della forza lavoro, pari a 1.800 dipendenti, e la stessa Amazon che aveva comprato in pieno lockdown per 6,5 miliardi una piattaforma di streaming e appunto giochi online (compresi quelli d’azzardo), Twitch, ora ne sta riducendo di 500 sviluppatori lo staff.
Secondo S&P Global, la maggior parte dei titoli passati dalle stelle agli inferi (solo in pochi casi risollevatisi) sono del settore tecnologico. «Molte aziende pensavano che lo shock pandemico sarebbe durato più a lungo e hanno gonfiato organici e investimenti, con il risultato di essere costrette ora a draconiane e precipitose ristrutturazioni», è il commento di Steven Blitz, capo economista di Ts Lombard. Scendendo di dimensioni, è infinito il numero di società che con il Covid hanno prosperato ma passata la macabra “festa” hanno subìto spaventose perdite a volte fino a fallire. Il venditore via Web di fast-fashion Boohoo, quello di cibo per cani Chewi.com, la giapponese Jd.com: tutte storie cominciate alla grande e finite malissimo.
Questi vertiginosi alti e soprattutto bassi legati alla pandemia coinvolgono perfino i gruppi farmaceutici, che pure portano il merito di avere salvato con i vaccini milioni di vite umane. Gioca a sfavore, oltre alle prevedibili perdite di giro d’affari perché la pandemia è passata, l’ondata di «no-vaxism» di ritorno sotto ogni latitudine. Il senatore indipendente Robert Kennedy Jr. ci sta addirittura imperniando la campagna elettorale ed è arrivato al 10% dei consensi (non è chiaro se li toglie a Biden o a Trump). Quando poi si è aggiunta l’ammissione di rarissimi effetti collaterali (poche decine su miliardi di somministrazioni) la diga si è aperta. L’AstraZeneca ha ritirato dal commercio l’8 maggio il suo vaccino Vaxzevria: le vendite sono crollate dai 4 miliardi di dollari nel 2021 a soli 12 milioni nel 2023, e la casa ha spiegato che il prodotto era superato perché tarato sull’antico ceppo di Wuhan. Perfino la Pfizer ha reso noto che tutti i guadagni realizzati negli anni del Covid sono stati ormai azzerati dalle perdite: il valore di Borsa del primo gruppo farmaceutico mondiale è sceso a 145 miliardi di dollari, meno della metà dei picchi di fine 2021. Intanto, nel 2023 si è registrato il maggior numero di bancarotte da molti decenni fra le startup biotech. «Gli investimenti di venture capital in società di biotecnologie negli Usa, Paese di riferimento nel settore – aggiunge Lidia Pieri, ceo di Sibylla Biotech – negli anni del Covid sono quasi raddoppiati: da un valore nel 2018 di 3,5 miliardi e nel 2019 di 3,3 miliardi, si è passati di colpo a 5,6 miliardi nel 2020 e 6,7 nel 2021, grazie all’entusiasmo portato alla ricerca scientifica dalla pandemia». Per di più, «durante il Covid molte piccole aziende sono state quotate in Borsa con una valorizzazione troppo alta e sproporzionata al valore degli asset, spesso preclinici». Quando tutto è finito, gli investimenti sono crollati a 4,6 miliardi nel 2022 e 4,9 l’anno dopo: «Diverse società quotate non hanno raggiunto gli obiettivi devalorizzando il titolo. Oggi gli investitori sono più cauti: devono coprire – conclude Pieri – le perdite subite a causa dei fallimenti, resi più evidenti dall’abnorme afflusso di capitali durante la pandemia, e sono diventati più severi nella valutazione del valore. C’è meno denaro disponibile e la selezione è più dura».
Ogni trend sovraccaricato di aspettative, investimenti e dipendenti nella pandemia è alle prese con guai da eccessiva crescita, non solo in America. Figure diventate familiari come i rider, al centro di strenue battaglie sindacali, hanno un nuovo problema: Will Shu, ceo americano della multinazionale Deliveroo, ha annunciato il taglio del 7% dei dipendenti. Né si salva lo streaming televisivo: resistono solo Netflix e Disney (che peraltro ha registrato il primo trimestre in utile solo nel 2024 dal suo lancio del 2019), ma decine di concorrenti minori sono finiti fuori mercato. E ora le «streaming wars» hanno fatto la prima vittima illustre: la gloriosa Paramount, produttrice di successi planetari ma concentratasi malauguratamente negli ultimi anni sulle produzioni televisive, è in vendita al miglior offerente. L’era della «Peak Tv» quando tutti stavamo in casa è lontana.