Verde urbano

A Roma ci sono sempre meno alberi. E la loro gestione è diventata un grosso problema

di Alice Scialoja   1 luglio 2024

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Quasi 18 mila sono stati abbattuti nella Capitale dal 2021 al 2023. Mentre ne sono stati piantumati solo 2.400. Per il Comune è questione di sicurezza. Mai cittadini protestano

Il nemico numero uno dei pini di Roma è la cocciniglia tartaruga. Gli alberi della Capitale sono, però, anche i grandi platani dei viali e dei lungoteveri, i lecci e le querce, i tigli, gli olmi e gli oleandri, per esempio. Che negli ultimi anni e mesi sono stati potati, capitozzati e abbattuti in grandi numeri. Quasi 18 mila gli abbattimenti nel triennio 2021-2023, secondo il riepilogo degli interventi di manutenzione del verde verticale, a fronte di 2.400 piantumazioni. Ed è vivo quanto la cocciniglia il tarlo delle succinte risposte dell’amministrazione comunale alla cittadinanza; molte le inquietudini, espresse nelle lettere ai giornali, le proteste di comitati e associazioni. Non ultimo, a metà maggio, l’appello di Italia Nostra al ministero della Cultura e all’Unesco, a tutela della grande bellezza del centro storico e non solo, contro la «linea demolitoria» del dipartimento Ambiente di Roma Capitale: un accanimento contro «i pini, i grandi alberi e tutti gli alberi che mostrino difetti o siano ritenuti giunti a una, del tutto presunta, età di fine vita». L’Unesco, dice Italia Nostra, «ha prontamente risposto confermando il suo interesse».

 

Stando alle stime dell’assessorato all’Ambiente, siamo però solo a metà dell’opera. Entro il 2026 sono da abbattere 35 mila alberi (cifra comprensiva dei 18 mila già buttati giù) malati, morti in piedi e arrivati a fine ciclo: «Circa l’8-9% delle piante in carico al Comune, che sono 320 mila», spiega l’assessora Sabrina Alfonsi. E prenderà il via a luglio il nuovo appalto di manutenzione del verde – 100 milioni di euro in tre anni – di cui sono alla firma in questi giorni i contratti. Non più 8 lotti come nel precedente triennio, ma 15, con un esito di gara valutato anche in base alle strumentazioni e alle competenze delle ditte, non più solo al massimo ribasso. Alfonsi annuncia un cambio di passo. Più soldi, più lotti, più agronomi e più strumenti, comprese due autobotti nuove per il servizio giardini. È la stessa Alfonsi a confermare che le potature fatte male, in alcuni casi, hanno indebolito gli alberi, a sottolineare l’aumento delle temperature a Roma – da qui la necessità d’integrare le operazioni d’innaffiamento in capo alle ditte – e a riconoscere il problema delle isole di calore. In particolare nella zona est della Capitale, la più esposta secondo gli studi del Comune, sono partite nuove forestazioni: veri e propri boschi previsti dal decreto Clima, con piantine messe a dimora a ottobre 2023. A cui si aggiungeranno quelle previste con il Pnrr – circa 113 mila piantine a ottobre 2024 e poi quelle dei due anni successivi – e ulteriori interventi legati ad altri due appalti per quasi 7 milioni di euro, tra fondi comunali e fondi per il Giubileo.

 

A fronte della parola chiave dell’amministrazione – sicurezza – ci si interroga però sul concetto di «fine ciclo vitale» e sulle possibilità di rischio zero, sul metodo e sui controlli, sulla trasparenza e sulla comunicazione. Sul sito del Comune, le informazioni ai cittadini sono pubblicate in corso d’opera. Sono del 28 maggio scorso, all’indomani dei primi tagli, quelle su dieci aceri e sei platani in via Guido Reni al Flaminio, i cui «abbattimenti si rendono necessari per urgenti motivi di pubblica incolumità, a seguito della perizia agronomica redatta dai tecnici della ditta di appalto, dalla quale è emerso che gli alberi investigati sono in classe di propensione al cedimento D, dunque tale da far ritenere che il fattore di sicurezza naturale dell’albero fosse oramai esaurito. Due dei sei platani risultano a fine ciclo vitale, secchi e morti in piedi».

 

Gli alberi abbattuti sono per lo più piante grandi (come i pini del Pincio, di Villa Ada o di Villa Glori) che hanno una capacità di assorbimento della CO2 e di trattenimento delle polveri sottili, ma anche di raffrescamento che quelle piccole non hanno. «Non si sta valutando appieno il valore ambientale degli alberi, specie di quelli maturi, che è inestimabile», sottolinea l’agronomo Daniele Zanzi. «Si dice: mettiamo nuovi alberi, ma non si spende un euro per mantenere quelli maturi, che hanno una capacità in termini di benefici ecosistemici molto più grande di un giovane albero». E le piante ritenute pericolose perché hanno 70 anni? Zanzi è categorico: «Non è un criterio scientifico; il fine ciclo è una teoria derivata dalla frutticoltura, dove, quando la produzione di una pianta inizia a decrescere, la si sostituisce».

 

I nuovi alberi non sempre sopravvivono. «Il Comune è in pesante deficit rispetto alle piantumazioni», dice Jacopa Stinchelli, presidente del comitato “Difendiamo i pini”, nato nel 2021 in seguito ad abbattimenti a Villa Glori, che da allora monitora con altri comitati tutti i municipi di Roma. «Gli alberi ripiantati due anni fa per la maggior parte sono morti. Ci hanno risposto che è una percentuale fisiologica». Non sempre sono annaffiati a sufficienza. Incerti, inoltre, i numeri delle cure fatte e da fare contro la Toumeyella parvicornis (la cocciniglia tartaruga) che sta divorando i pini. Alfonsi sottolinea il quadro trovato dalla giunta, con «molte delle ditte titolari dei lotti non adeguate a fare le endoterapie. Quando siamo arrivati, in alcune zone era già troppo tardi; tanto che la prima dose che abbiamo fatto praticamente a tutti gli alberi, per molti non ha dato i risultati sperati». Ma esiste un censimento degli alberi di Roma e un progetto di manutenzione e di cura? Per ora è in dirittura d’arrivo la mappatura di tutto il verde romano realizzata con il Gis, sistema avanzato d’informazione geografica. Troppo poco per salvare i grandi alberi.