Definanziamento ordinario

Il governo Meloni taglia l'istruzione: per le università nel 2024 stanziati 173 milioni di euro in meno

di Chiara Sgreccia   12 luglio 2024

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L'allarme dei sindacati degli studenti: la cifra emerge dalla bozza del decreto con cui il Mur stabilisce la ripartizione del Fondo di finanziamento ordinario per gli atenei. E a rischio ci sono anche le risorse per il benessere psicologico

Il governo Meloni tagli i fondi alle università. Così si capisce leggendo la bozza del decreto con cui il ministero dell’Università e della Ricerca stabilisce come deve essere ripartito il Fondo di finanziamento ordinario (Ffo), che serve per coprire le spese istituzionali, tra cui i costi del personale e del funzionamento per gli atenei statali, per il 2024.

 

In totale ci sono 173 milioni in meno rispetto ai 9 miliardi e 204 milioni erogati lo scorso anno. Ma, come spiega il sindacato studentesco Unione degli universitari: «La maggior parte dei tagli è stata fatta al Ffo strutturale, cioè tra le risorse che le università possono utilizzare liberamente, in base alle esigenze specifiche di ogni ateneo. Quelle diminuiscono di circa 300 milioni. Mentre aumentano leggermente, ma non abbastanza da compensare, i fondi vincolati, cioè quelli da utilizzare con uno scopo già determinato. Un taglio così cospicuo non si verificava dal 2013, dopo l’austerità del governo Monti», chiariscono gli studenti, preoccupati per il futuro dell’università pubblica e per la tutela del diritto allo studio, che sottolineano come - mentre nel decreto del 2023, si ribadiva che l’assegnazione spettante a ogni università non potesse essere inferiore a quella dell’anno precedente, anzi poteva crescere al massimo dell’8 per cento - quest’anno nel documento si legge di una riduzione del fondo spettante a ogni università che può arrivare fino al 4 per cento.

 

«I tagli al Ffo metteranno sotto pressione i bilanci delle istituzioni accademiche, basti pensare che sarebbero serviti almeno 500 milioni soltanto per recuperare l’inflazione del 2023. Invece il governo sceglie di andare nella direzione opposta: tagliare sull’istruzione terziaria proprio mentre la premier Giorgia Meloni promette di aumentare le spese militari per raggiungere il 2 per cento del Pil», chiarisce Simone Agutoli dell’Udu. Che ribadisce anche come l’Italia sia già il paese fanalino di coda tra quelli dell’Ocse (ma anche tra i membri dell’Ue) per investimenti pubblici nell’istruzione terziaria: l’investimento è dello 0,90 per cento del pil secondo i dati del report Education at a Glance sul 2019.

 

Il taglio dei fondi preoccupa gli studenti per due motivi, oltre al fatto che delle carenze del pubblico siano sempre più i privati ad approfittarne per farsi spazio: «La possibilità che crescano le tasse che dovranno pagare gli iscritti per frequentare le lezioni, visto che quelli sono soldi che le università possono spendere sulla base delle specificità dell’ateneo senza vincoli», spiega ancora Agutoli: «E la possibilità che scompaiano anche le risorse necessarie alla garanzia del benessere psicologico». Una richiesta, quella di focalizzare l’attenzione sulla salute mentale, che gli studenti, da quando è finita la pandemia, hanno portato avanti con fervore. Tanto che nel decreto per la ripartizione del Ffo dello scorso anno una voce, tra gli interventi a favore degli studenti, dedicava una parte dei fondi all’attivazione o al potenziamento dei servizi per il benessere psicologico, operazione che la ministra Anna Maria Bernini aveva rivendicato con orgoglio. Per il 2024, però, la voce è scomparsa dal budget.

 

Anzi è stata sostituta, come si legge nella bozza del decreto, dall’intenzione di attivare o potenziare gli sportelli antiviolenza: «Iniziativa necessaria. Il problema è che erogare risorse spot, solo per un anno, senza pensare che questi servizi hanno bisogno di fondi per funzionare anche nel periodo successivo, è poco utile», commenta Agutoli.

 

Anche secondo Flc Cgil, i tagli inizieranno a mettere in difficoltà molti atenei già da quest’anno: «Sono soprattutto sulla quota di finanziamento storico che è quello che premette la sopravvivenza del sistema universitario e di molte sedi. Il sottotesto [del decreto] è chiaro: creare una università piccola definanziata, per pochi che la frequentano e per pochi che ci lavorano, spesso in condizioni di sfruttamento. Così per chi se lo potrà permettere sono a disposizione le università private e una vita da fuori sede con costi enormi. Per chi non può, c’è sempre a disposizione la formazione di serie B garantita dalle università telematiche».

 

Nicolò Ermolli ha collaborato alla realizzazione di questo articolo.