Guerra e business

Quali aziende italiane fanno affari in Russia anche dopo l'embargo

di Lorenzo Bodrero, Edoardo Anziano e Roman Steblivskyi   2 luglio 2024

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Molte società sono andate avanti con i loro commerci anche dopo lo scoppio del conflitto in Ucraina. Operano nel settore delle armi, o nelle tecnologie di possibile uso militare. Eccone alcune

«Felice e orgoglioso». Così Pietro Fiocchi ha commentato la rielezione al Parlamento europeo. È risultato il sesto più votato tra le file di Fratelli d’Italia nel Nord-Ovest. Aveva fatto parlare di sé quando era comparso sui manifesti elettorali con piglio crucciato e puntando una carabina verso i passanti. D’altronde i settori venatorio e delle armi leggere costituiscono una buona fetta della sua base elettorale. E non potrebbe essere altrimenti visto il cognome che porta. La Fiocchi Munizioni è un’azienda ultracentenaria, fondata nel 1876 a Lecco da Giulio Fiocchi per produrre munizioni e cartucce. Oggi è alla quinta generazione, anche se nel frattempo è decisamente cambiata l’affiliazione politica: due prozii di Pietro Fiocchi aiutarono la Resistenza, rallentando la capacità produttiva della fabbrica dopo l’8 settembre e fornendo armi ai partigiani. Uno di loro, accusato di comportamento antifascista e anti-tedesco, fu catturato e deportato dalle SS in un campo di lavoro a Nord di Monaco di Baviera.

 

Il 70% delle azioni è stato acquistato nel 2022 dal Czechoslovak Group, colosso ceco della difesa e aerospaziale che ha registrato ricavi superiori al miliardo di euro nel 2023 nel solo comparto degli armamenti. Alla guida dell’azienda è rimasto Stefano Fiocchi, cugino di Pietro, in qualità di direttore. Quest’ultimo non ha apprezzato i manifesti aggressivi del cugino, prendendone le distanze: «[Pietro] è solo un socio di minoranza. È stato invitato formalmente a evitare riferimenti alla società». L’europarlamentare, infatti, detiene il 2,39% delle azioni della Giulio Fiocchi spa. Nel 2022 la Fiocchi Munizioni spa ha generato ricavi per quasi 200 milioni di euro. Il 70% circa di questi, però, arriva dal comparto «industria e difesa» mentre «caccia e tiro» si ferma a poco più del 20%. Vale a dire che quello militare è un settore imprescindibile per le casse dell’azienda. La volontà di investire sul comparto difesa è dimostrata anche dalla scelta del nuovo amministratore delegato della Fiocchi, nominato lo scorso gennaio. Si tratta di Paolo Salvato, ex vicepresidente di Leonardo e ancor prima amministratore delegato della sezione italiana del gruppo Thales.

 

Sul fronte esportazioni i principali destinatari sono gli Stati Uniti (oltre il 90% dell’export Fiocchi). Qui l’azienda opera attraverso la controllata Fiocchi of America Inc, nel Missouri. Munizioni a marchio Fiocchi sono state importate anche in Russia tra marzo e settembre 2022, i mesi successivi all’invasione dell’Ucraina. I documenti ufficiali russi non contengono il nome della società esportatrice. Stefano Fiocchi ha dichiarato che l’azienda «ha sospeso autonomamente ogni fornitura verso la Russia, già prima di ricevere eventuali indicazioni in tal senso dall’Autorità competente, che in seguito ha sospeso ogni autorizzazione all’esportazione».

 

Un macchinario del gruppo Camozzi

 

Secondo un database dell’Università di Yale in costante aggiornamento, sono in tutto 1.028 le grandi società a livello mondiale che si sono ritirate o hanno interrotto ogni attività in Russia a seguito dell’invasione dell’Ucraina. Quelle italiane rappresentano l’1,4%, una dozzina dunque. Delle circa 450 aziende nostrane che svolgevano attività in Russia prima della guerra, la stragrande maggioranza è rimasta, preferendo limitare o sospendere le proprie attività in attesa di tempi migliori. Un atteggiamento votato alla cautela ma che può avere conseguenze impreviste. Lo scenario meno roseo è quello che ha colpito Ariston lo scorso aprile, quando il Cremlino ha firmato un decreto per la nazionalizzazione dell’azienda, che suona di fatto come un esproprio, come già avvenuto ad altri colossi europei, fra cui la francese Danone e la danese Carlsberg.

 

Tra chi fa business as usual in Russia c’è Camozzi Automation spa. Nata a Brescia nel 1964, è tra i leader in Italia nella componentistica per l’automazione industriale e in Russia detiene il 90% delle quote della Kamozzi Pneumatika. La filiale russa ha decine di distributori in tutto il Paese, almeno tre sedi a Mosca. Una di queste si trova a due passi dal Cremlino e un’altra, più periferica, in una via intestata nel 2021 al fondatore Attilio Camozzi: «Grande amico della Russia», recita la targa all’esterno degli uffici che commemora la fondazione del ramo russo dell’azienda nell’agosto del 1991. I dati raccolti dalle dogane russe indicano che la Kamozzi Pneumatika, da febbraio 2022 (inizio dell’invasione russa in Ucraina) a dicembre 2023, ha importato dalla casa madre italiana beni per 50 milioni di dollari. I dati doganali provenienti da diversi database indicano che Camozzi Automation nel 2023 ha effettuato quasi 300 spedizioni verso la filiale moscovita per un valore di circa 5 milioni di dollari di beni soggetti a restrizioni da parte dell’Unione europea. Molti dei beni inviati in Russia da Camozzi sono infatti considerati prodotti a duplice uso, ovvero una vasta gamma di tecnologie che, sebbene nascano per utilizzo civile, possono essere usate anche dall’industria militare. Per poter essere spedite necessitano sempre dell’autorizzazione del ministero degli Esteri: il regolamento europeo prevede che l’autorizzazione all’esportazione in Russia non vada concessa se c’è il ragionevole sospetto che possa finire in mano militare. Interpellata da L’Espresso su eventuali autorizzazioni concesse a Camozzi, la Farnesina ha spiegato che «non sono informazioni ostensibili, tenuto conto della natura delle stesse e della necessità di tutelare la riservatezza commerciale e i dati personali».

 

Il Gruppo Camozzi ha comunicato a L’Espresso che «non ci sono state esportazioni irregolari o per le quali siano stati sollevati problemi dalle autorità preposte», aggiungendo che «l’esportazione dei nostri componenti per l’automazione non è soggetto ad autorizzazioni». Uno dei codici merce dei beni inviati dalla Camozzi si riferisce a connettori elettrici, semplici ma fondamentali componenti che collegano due o più circuiti elettrici tra loro. Undici di queste spedizioni sono arrivate alla filiale russa tra gennaio e agosto 2023, mentre lo stesso codice merce era stato inserito a dicembre 2022 nella lista della Commissione europea di componenti che possono essere utilizzati per la produzione di armamenti, come i missili da crociera Kalibr, gli elicotteri da combattimento Alligator e i droni Oral-10 di produzione russa. «La ragione alla base del controllo sulle esportazioni di questo tipo di componenti è di impedire agli avversari di utilizzarli contro di te o i tuoi alleati», spiega Diederik Cops, senior researcher al Flemish Peace Institute. «Molti di quelli recuperati sui campi di battaglia in Ucraina sono stati prodotti negli ultimi due anni o meno. Impedirne l’esportazione avrebbe sicuramente un impatto immediato sulle capacità militari russe».

 

Il sito camozzi.ru non è più raggiungibile da ottobre 2022, otto mesi dopo l’invasione ucraina. Le stesse sedi russe di Camozzi, fino ad allora presenti nella pagina web del gruppo, non sono più elencate. Documenti giudiziari del tribunale di Mosca indicano che tra i clienti della Kamozzi Pneumatika, almeno fino al 2022, compariva la società per azioni Tikhvin Freight Car Building Plant, produttore di vagoni merci con sede nell’omonima città a Est di San Pietroburgo e dall’ottobre 2022 messa sotto sanzioni dall’Ucraina. Il contenzioso riguardava piccole forniture «avvenute nei primissimi mesi del 2022», ha spiegato Camozzi, aggiungendo che «da allora la filiale russa non ha più fornito l’azienda menzionata».

 

l’eurodeputato di Fratelli d’Italia, Pietro Fiocchi

 

Camozzi è operativa anche nel Paese aggredito, dove non è stata sanzionata. In Ucraina i suoi uffici si trovano in tutte le maggiori città. Tra le sedi più attive c’è quella a Sinferopoli, nella Crimea occupata, dove l’azienda al momento è alla ricerca di una dozzina di ingegneri informatici, segno della sua piena operatività. Qui, a un’ora di auto dal quartier generale della Marina russa nel Mar Nero, la Camozzi organizza annualmente tirocini per gli studenti, e futuri ingegneri, dell’Università statale Bauman di Mosca. Si tratta di una delle più antiche università della Russia, tra le più apprezzate nel settore ingegneristico e dal 2023 sotto sanzioni americane per il suo contributo allo sforzo bellico: è infatti partner in numerose joint venture con Rostec, il conglomerato statale russo responsabile della produzione dell’80% delle armi utilizzate contro l’Ucraina. «È sorprendente che una società occidentale sia operativa sia in Russia sia in Ucraina e anche nei territori occupati», commenta Cops, il quale aggiunge che «produrre componenti a duplice uso in Russia o nella Crimea occupata, rende pressoché impossibile il controllo su dove questi prodotti finiranno». Camozzi ha precisato di avere completamente interrotto – senza tuttavia precisare da quando – forniture e spedizioni verso la propria filiale russa, la quale rimane pienamente operativa, e di agire «in piena ottemperanza ai regolamenti applicabili».

 

Anche il gruppo bresciano Beretta, produttore di armi da caccia e da difesa, continua ad avere partecipazioni in Russia. Le vendite dirette sono cessate a inizio invasione, ma una società importatrice russa, posseduta da Beretta, ha continuato a importare fucili e munizioni bresciane attraverso triangolazioni con Paesi fuori dall’Unione europea, come la Turchia. Russkiy Orel, questo il nome della società, è stata fondata più di 15 anni fa per distribuire direttamente le armi Beretta in Russia e oggi fattura 10 milioni di euro. Ne ha dato conto l’inchiesta di IrpiMedia e, dopo la pubblicazione, il sito della società russa è stato messo offline. Il 12 giugno scorso il dipartimento del Tesoro Usa ha sanzionato Russkiy Orel, che risulta tuttora posseduta al 57,95% da Beretta Holding. Beretta non ha risposto a una richiesta di commento sulle sanzioni alla propria controllata.

 

La replica del gruppo Fiocchi al nostro articolo
L'articolo in riferimento al Gruppo Fiocchi è fuorviante e capzioso. È doveroso precisare che il Gruppo Fiocchi non ha venduto, né nel 2022, né successivamente, materiale militare o civile alla Russia. E inoltre, ovviamente, come da indicazioni del Ministero degli Affari Esteri, il gruppo Fiocchi si attiene scrupolosamente al divieto di relazioni con la Russia, imposte dall'embargo. Pertanto la sostanza, il tono ed il titolo dell’articolo, per quanto inerente al Gruppo Fiocchi,  sono ingannevoli.

La nostra risposta
In nessuna parte dell'articolo è indicato che la Fiocchi abbia venduto munizioni alla Russia, bensì è precisato come munizioni a marchio Fiocchi siano state importate nel Paese in questione e nella finestra temporale indicata, come da documenti doganali russi in possesso dei giornalisti.