Alcuni corsi sono già iniziati, altri no. Così per i ritardi di Mim e Mur ora si fa tutto in fretta e furia. E in mezzo alla confusione prosperano le scorciatoie

Nelle intenzioni dovevano formare nuovi docenti e sveltirne le assunzioni. Ma i corsi per l’abilitazione dei prof sono nel caos e le assunzioni sono slittate di due anni. Nella combinazione dei due elementi, i paradossi si sprecano. Con precari che vedono ridursi le possibilità di essere chiamati per le supplenze a vantaggio di chi ha già potuto conseguire l’abilitazione. E tutto questo, nonostante ci sia voluto quasi un anno per applicare il decreto che già l’estate scorsa disegnava la nuova formazione dei docenti.

 

I corsi (da 60, 36 o 30 crediti formativi universitari con costi tra i 2.000 e i 2.500 euro) sono indispensabili ai professori di scuole medie e superiori per l’immissione in ruolo. È uno, ma il più controverso, dei tre step previsti. Gli altri sono il superamento del concorso e l’anno di prova. Così ha previsto la riforma del giugno 2022 dell’ex ministro Patrizio Bianchi. In teoria doveva servire a migliorare la qualità dell’insegnamento ma anche a facilitare l’accesso alla professione. Una necessità di chiarezza dopo decenni di confusione in cui, nella selva di sigle oscure (dalla Ssis al Tfa, al Fit ai 24 cfu) i requisiti per insegnare sono cambiati di continuo. L’obiettivo sembra decisamente mancato.

 

Alcuni corsi sono già partiti, altri no. Né si sa quando potranno essere avviati. Intanto però per i 70 mila docenti che dovevano essere reclutati con il nuovo sistema entro il 2024 il traguardo si allontana. Il ministro Giuseppe Valditara ha chiesto a Bruxelles una proroga al 2026. E non è solo questione di tempi ma di ciò che accade nel frattempo. I professori che vorrebbero impossessarsi di tutti i requisiti sono tornati a brancolare nel buio. «Non sappiamo che fare. E non perché non abbiamo letto i decreti ma perché non si capisce nulla», spiega Roberta, una docente sarda che insegna da poco più di tre anni. A marzo scorso ha già superato la prova scritta del concorso per l’immissione in ruolo ma sta aspettando di sostenere l’orale. «Nel frattempo sono iniziati i corsi abilitanti, mi sono iscritta all’Università di Cagliari, ma non so quando inizieranno le lezioni, né di quanti cfu avrò bisogno. Ma se mi chiamano per una supplenza che dovrò fare? Rinunciare? Del resto, come farei a seguire i corsi mentre lavoro?».

 

Nelle condizioni di Roberta sono migliaia i docenti a cui si aggiungono professori che, per esempio, insegnano anche da più di tre anni ma non hanno sostenuto ancora il concorso. E poi ci sono quelli già specializzati sul sostegno che non vogliono fare altro. Ma si trovano in una situazione che ha del paradossale: non pensavano fosse necessario iscriversi subito ai corsi abilitanti e si trovano ultimi nelle graduatorie superati da chi ha potuto conseguire già il titolo. Un pasticcio creato da una sorta di doppio binario: per chi è già di ruolo o specializzato sul sostegno i percorsi di abilitazione sono iniziati e possono essere seguiti completamente online, gli altri attendono che le università pubblichino i calendari di lezioni che almeno per metà prevedono la presenza. Il tempo stringe perché i corsi dovranno concludersi entro fine anno.

 

Se non bastassero gli impicci burocratici anche sul merito dei corsi c’è molto da obiettare. In molti casi prevedono più di otto ore di lezione al giorno, un tour de force defatigante. «Ci ricordano che dopo 40 minuti l’attenzione dello studente cala, ma per noi le lezioni vanno avanti per un’intera giornata». La contraddizione la coglie una delle insegnanti che hanno contattato L’Espresso da quando a macchia di leopardo sono partiti i corsi. «È difficile mantenere alta l’attenzione per tutto questo tempo», spiega uno dei professori che il suo percorso lo sta seguendo all’Università di Bologna, tra i primi atenei pubblici che è riuscito a far partire le abilitazioni a inizio luglio: «I professori sono sicuramente competenti ma tutto è stato organizzato in fretta e furia. Ci sono giornate in cui passiamo dieci ore davanti al pc. Sono orari inumani, a discapito della qualità della didattica, anche di quella che porteremo in classe quando saremo noi a insegnare». «Non vogliamo giustificare i disagi, che ci stiamo impegnando a risolvere, ma i tempi con cui abbiamo lavorato sono stati molto stretti, mentre la macchina per costruire il sistema da zero è complessa», ribatte Roberto Vecchi, prorettore dell’Università di Bologna. «Abbiamo ricevuto l’autorizzazione per far partire i corsi d’abilitazione due mesi fa e in poco tempo siamo riusciti a immatricolare 753 studenti», aggiunge Vecchi. «Le ore di lezione – prosegue – sono tante, ma abbiamo progettato la didattica in base alle indicazioni ministeriali: dobbiamo concludere i corsi entro la fine dell’anno, non sono certo che sarà fattibile».

 

In mezzo al caos prosperano le scorciatoie. Tra ritardi e impicci la tentazione è di acquistare i crediti formativi per l’abilitazione da chi, nella sostanza, senza troppi controlli li mette in vendita. Lo ha fatto Antonella, professoressa precaria di matematica, laureata in ingegneria, che i 24 cfu necessari fino al 2022 per insegnare e i 60 utili per la docenza di matematica, li ha ottenuti presso un’università telematica: «Per i primi ho dovuto rispondere a dieci domande da un paniere di 30 a disposizione. Per gli altri ho pagato 1800 euro e sostenuto sette esami di matematica in un’ora, a crocette e davanti al pc. Si copiava facilmente. Non credo sia diverso per le abilitazioni». «È sotto gli occhi di tutti, ad esempio, quello che accade per l’inglese. In pochi lo parlano ma in tanti hanno l’attestazione di lingua che serve per accrescere il punteggio e scalare le graduatorie delle supplenze», spiega Roberta: «Insegnare a scuola sta diventando una gara a punti: va avanti chi paga».

 

*Ha collaborato Nicolò Ermolli