Il dossier

Guai, misteri e ambizioni di Dazn, croce e delizia dei tifosi di calcio

di Carlo Tecce   16 agosto 2024

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All'alba di una nuova stagione, la piattaforma di proprietà del magnate Blavatnik è sempre più protagonista in Italia e in Europa. Il pubblico protesta per i prezzi, la tecnologia migliora, i conti pure: presto la quotazione in Borsa?

Dazn! Anche con più punti esclamativi. Dazn! Con un tono severo, irritato. Dazn! Con una punta di rassegnazione, fatalismo. Per molti anni, e per molti italiani, spettatori paganti del calcio, tifosi da schermo piatto, fruitori di moviole commenti interviste sudate, Dazn è stata addirittura una imprecazione. Eppure Dazn ha insegnato parecchio. Ha istruito e quasi convertito gli spettatori paganti del calcio. Ha introdotto la piattaforma digitale, le applicazioni sui dispositivi di ogni tipo, gli abbonamenti mensili, il palinsesto zebrato, a volte c’è qualcosa in diretta, a volte non c’è niente e soprattutto non c’è nessuno. Dazn è cresciuta di ambizioni e dimensioni, e ne ha subito le conseguenze, insieme con la lenta posa della fibra ottica in Italia: sei anni fa, per il suo debutto, il cablaggio con la banda ultra-larga era del 25 per cento, adesso è sopra il 50 per cento. Dazn ha piroettato nel mercato italiano con spese assai generose per la serie A: comprimaria per l’asta sui diritti televisivi nel 2018, quasi protagonista nel 2021, protagonista acclamata nel 2024 con un rinnovato impegno al 2029. Finché la «connessione non vi separi», insomma, Dazn sarà per altre cinque stagioni la principale fonte di guadagno delle società di serie A e il riferimento televisivo di milioni di spettatori paganti. Ribadita la fiducia, lo scorso luglio, Dazn si è rivolta al futuro con un aumento dei prezzi, che comunque restano fra i più bassi in Europa, e un piano di esuberi per 14 giornalisti su 32 in organico. È la sintesi estrema, e severa, e beffarda, di sei anni attraversati con diversi contrattempi e una profonda diffidenza degli spettatori paganti e degli osservatori più o meno neutrali. Come sempre i fatti, mondati dalle interpretazioni spesso arbitrarie, danno senso a ciò che appare confuso.

 

Il proprietario di Dazn è Len Blavatnik, miliardario e filantropo di origine ebraica con passaporto britannico e americano, natali a Odessa in Ucraina, studi a Mosca durante l’Unione Sovietica, formazione negli Stati Uniti, affari in Israele, Europa, Nord America, amico del presidente israeliano Benjamin Netanyahu. Gran parte del suo patrimonio da oltre 30 miliardi di dollari è racchiuso nella conglomerata Access Industries: colpi di genio (o di fortuna) nel settore petrolchimico con la dissoluzione dell’Unione Sovietica, poi classica diversificazione con immobiliare, telecomunicazioni, energie rinnovabili, partecipazioni ovunque. Per esempio Access Industries controlla la storica etichetta musicale americana Warner. Il plenipotenziario di Blavatnik in Dazn è Shay Segev, israeliano residente a Gibilterra con una folgorante carriera in un segmento prossimo al calcio, cioè giochi e scommesse. Il gruppo Dazn con base a Londra, ex gruppo Perform, si è affacciato in Italia in prossimità della stagione 2018/19. Sky era ancora della famiglia Murdoch e ancora concentrata sul pallone italiano. Per soddisfare le richieste dei presidenti di serie A, però, c’era bisogno di rattoppare il buco creato da Mediaset, ritiratasi dalla televisione a pagamento dopo il capitombolo con l’esclusiva per la Champions League e il progressivo spegnimento di Premium.

 

Senza un solo cliente e difatti sconosciuta in Italia, Dazn si presentò al tavolo con 215 milioni di euro per un triennio: 193 per tre partite abbastanza insulse della serie A e altri 22 per l’intera serie B. Fu un intervento salvifico per le finanze del pallone e l’egemonia di Sky, che ricambiò supportando l’ingresso di Dazn nel mercato italiano. Dunque c’era Sky in un posto indefinito lassù in regia. Poi è successo l’imponderabile: gli americani di Comcast hanno acquistato Sky e l’hanno indirizzata sui servizi risparmiando sui contenuti, la pandemia ha sconvolto gli equilibri economici e obbligato una accelerazione sulle connessioni veloci. Al bando per i diritti televisivi per il triennio 2021-24, nel periodo di vaccini carenti e zone rosse, Dazn presentò un’offerta vincente con 840 milioni di euro a stagione per 7 partite in esclusiva e 3 in condivisione con Sky. Gli assetti esistenti e persistenti furono rovesciati. Comcast ridusse la voce di spesa di Sky per la serie A da 780 a 87 milioni, mentre Dazn passò da 193 a 840. Rischioso, se non addirittura folle, per una piattaforma acerba. Dazn non era reietta. Era accompagnata da Tim, che sperava di sviluppare la rete in fibra portando nei salotti e sui cellulari un prodotto dall’alto valore competitivo.

 

Tim contribuiva con circa 430 milioni rinegoziati a 340 agli 840 milioni promessi da Dazn. I disservizi, però, non sono spariti con tanta fretta. Al punto che il 16 novembre 2021, dopo qualche mese di proteste, critiche, solenni scuse, Dazn fu convocata al ministero per lo Sviluppo economico da Giancarlo Giorgetti a «tutela dei consumatori». Fu un momento rivelatore. Dazn comprese che doveva investire su sé stessa, su dirigenti, tecnologia, infrastrutture. Il 2022 fu l’anno di Stefano Azzi (ex Tim) amministratore delegato, di Franco Bernabè consulente speciale, del progetto di un Network Operation Center (Noc) a Cologno Monzese, un centro in perenne attività per monitorare le trasmissioni e adoperarsi subito in caso di guasti. Non gira più la famigerata “rotellina” che fa caricare le immagini, almeno non spesso, le disfunzioni di allineamento audio e video sono limitate, ma gli spettatori paganti sono ancora abbastanza scettici. Perché Dazn, proprio per assorbire questi investimenti, ha più volte ritoccato all’insù il costo dei suoi abbonamenti. 

 

La soluzione più conveniente per il pacchetto «standard», due visioni ma collegati alla stessa rete, è quella di un contratto annuale con pagamento anticipato per un prezzo mensile di 29,92 euro. Già se si preferiscono dodici rate, si sale a 34,99 euro. La difesa di Dazn è un confronto europeo di tariffe: gli inglesi spendono in media 90 euro, gli spagnoli da 80 a 100, i tedeschi attorno a 65, i francesi 45. Con l’ultima gara per i diritti televisivi 2024-29, cinque anni anziché tre, Dazn ha avviato una fase più prudente. Ha confermato l’esclusiva per le 7 partite e la condivisione di 3 con Sky, ma è riuscita a tagliare l’esborso da 840 a 700 milioni. Per quattro motivi. 1. Non c’è Tim che le copre le spalle, a pensarci bene, in pratica, oggi spende più di ieri. 2. Ha concesso a Sky partite migliori, così Comcast ha alzato la posta da 87 a 200 milioni. 3. Ha ceduto a Sky la gestione degli abbonamenti nei locali pubblici e negli alberghi. 4. Ha convinto i presidenti di serie A, non proprio tutti, non Aurelio De Laurentiis per citarne uno, su un percorso di sviluppo comune. Superati i 750 milioni di euro di ricavi, obiettivo minimo plausibile, ogni euro in più che entra in Dazn sarà smezzato e girato alla Lega Calcio. 

 

Il mercato italiano è fondamentale per Dazn. L’ad Segev ha annunciato che il gruppo Dazn raggiungerà l’utile nel 2024. Il fatturato è cresciuto al ritmo di un miliardo all’anno toccando i 3,2 miliardi nel 2023; la perdita di esercizio, che era di 1,14 miliardi nel 2022, dovrebbe scendere sotto il miliardo. Il gruppo Dazn risponde alle leggi britanniche di sua maestà re Carlo III, c’è scarsa conoscenza dei numeri reali in Italia. Certamente il mercato italiano è il più prezioso e rappresenta, con 700 milioni di euro stimati, circa un quarto dei ricavi complessivi, provenienti dai 200 Paesi muniti di applicazioni Dazn e in particolare dall’Europa: il gruppo ha comprato diritti televisivi per i campionati di Germania, Spagna e di recente Francia, non ha la Premier League, ma la distribuisce all’estero.

 

Dazn agisce in Italia come sede secondaria di Dazn Limited e al 31 marzo 2024 dichiarava 31 dipendenti. Dazn Media Services, invece, è la società di servizi che si occupa di inserzioni pubblicitarie. È stato appena rinnovato l’accordo con Digitalia, ramo tematico di Publitalia (Fininvest). Dazn Media Services è ferma al bilancio 2021, un documento ormai inutile. Secondo buone fonti, però, la raccolta pubblicitaria di Dazn oscilla dai 70 agli 80 milioni di euro. Anche gli abbonati oscillano: la politica di Dazn mira a evitare interruzioni di contratto in estate, ma le sottoscrizioni non sono costanti, spesso si attestano sui 2/2,2 milioni, non di rado scivolano sotto. Il soccorso potrebbe arrivare con l’emersione di 200/300 mila clienti, un dieci per cento pescato nel vasto mare della pirateria. Dazn ha margini di crescita in Italia, ma deve rimediare a due difetti di fabbrica: i giovani che non sono abituati a un consumo classico della partita; la struttura editoriale fragile, pochi nomi e volti noti, invenzione modeste.

 

Dopo otto anni in Europa e sei anni in Italia, Access Industries potrebbe raggiungere col gruppo Dazn la sostenibilità finanziaria e poi, le indiscrezioni sono ripetute, quotarsi in Borsa a New York per recuperare capitali freschi e stringere alleanze con multinazionali americane. Però ora inizia la partita. Silenzio in sala. Tutti sul divano.