Una coppia italiana nella capitale tedesca. Per la bambina nella struttura pubblica si pagano 23 euro al mese. Per aumentare la natalità servono servizi come questi

Tra Catania e Berlino ci sono 2.268 km. Da Roma sono “solo” 1.500. Quando Martina Mondati, genitori siciliani e suoceri residenti all’ombra del Colosseo, ha deciso di avere un bebè sapeva benissimo che non avrebbe potuto usufruire dell’aiuto non occasionale dei nonni. Troppo lontani. Ma non ci ha pensato nemmeno un attimo a rinunciare al suo legittimo desiderio di diventare mamma. E così nel 2022 è arrivata Mariavittoria, poi quest’anno, il 15 agosto, ha bissato con la nascita di Eleonora. Martina e il marito Jacopo vivono a Berlino da sette anni. Entrambi brillanti laureati in Economia sono due «cervelli in fuga» dall’Italia. Lei, 32 anni, è director del reparto assunzioni di tutta l’area Europa, Middle Est e Africa, di Gea group, multinazionale leader mondiale nella fornitura di macchinari per l’industria. Lui, due anni più grande, è manager nel reparto finanza di una grande azienda di delivery food. 

 

Il contrasto con l'Italia: servizi carenti e bassa natalità
A Berlino si trovano così bene che da un paio di anni hanno acquistato casa. «È un ambiente più stimolante di quello che si può trovare in una grande città italiana, soprattutto dal punto di vista delle opportunità professionali. Pagano di più e fai più velocemente carriera», racconta Martina. Ma c’è anche un altro aspetto che i due giovani italiani apprezzano moltissimo: i supporti alla maternità e i servizi per l’infanzia. «Subito dopo che Mariavittoria ha spento la prima candelina, sono tornata a dirigere il mio team in azienda. Ero tranquillissima perché nel frattempo per Mariavittoria avevo ottenuto un posto in un asilo nido pubblico vicino casa. Orario 8-18. Costo 23 euro al mese, tutto compreso, anche i pasti». Nessun problema, nessuna angoscia. Martina tiene comunque a sottolineare: «Sono stata fortunata. Non è così in tutta la Germania, Berlino in questo senso è una sorta di isola felice». In questo contesto rientra anche un altro servizio: l’assistenza alle neomamme, che inizia già molti mesi prima del parto, con un’ostetrica dedicata. Tutto a carico del servizio sanitario pubblico. «Mi ha preparato all’evento, e poi una volta uscita dall’ospedale, è venuta regolarmente a casa. Mi ha spiegato come allattare, come cambiare i pannolini, come fare il bagnetto. Non mi sono mai sentita “persa”», racconta ancora Martina mentre tiene in braccio la piccola Eleonora che, durante tutto il colloquio telefonico, sta buona buona e non piange mai. La storia di questa coppia di giovani italiani all’estero, dovrebbe far riflettere molto i nostri governanti, passati, presenti e futuri. 

 

Le sfide del sistema italiano e il piano nazionale
Quest’anno probabilmente toccheremo il record negativo di neonati: nel primo semestre sono stati solo 178 mila e con questo trend si prevede una chiusura 2024 a 374 mila nuovi bimbi, cinquemila in meno rispetto al record negativo toccato nel 2023. Le «culle vuote» non dipendono soltanto da una questione economica. Certo qualche soldino in più serve e a brevissimo vedremo se davvero il Pbs, il piano strutturale di bilancio che il governo deve presentare a Bruxelles, aumenterà i sostegni alla natalità e alla maternità per arrivare a maggiori detrazioni e aiuti per le famiglie con figli, come promesso dal ministro dell’Economia Giancarlo Giorgetti e dalla stessa premier Giorgia Meloni. Per l’assegno unico universale nel 2024 sono stati stanziati 20 miliardi di euro.
Ma la vera differenza sono i servizi reali su cui può contare una giovane donna che non vuole rinunciare né alla carriera né al desiderio di diventare mamma. Ebbene, da noi definirli carenti è un eufemismo. Secondo gli ultimi dati Eurostat (aggiornati a luglio scorso e relativi al 2023) la percentuale di bambini sotto i tre anni di età che frequentano gli asili nido in Italia è al 34,5%. In Olanda siamo al 73,3%, in Danimarca al 69,9%, nel Lussemburgo al 60%, in Francia al 57,4%, in Belgio al 56,3%, in Spagna al 55,8%. Non è un caso che tutti questi Paesi hanno un tasso di occupazione femminile molto più alto del nostro striminzito 57,2% (Eurostat, dati relativi al secondo quadrimestre 2024): in Olanda è al 79,9%, in Danimarca è al 73,3%, in Francia e Lussemburgo è al 72,2%, in Belgio al 68,6%, in Spagna al 66,5%. In Germania ha un impiego il 77,8% delle donne in età lavorativa. La correlazione tra disponibilità di asili e occupazione femminile è evidente. C’è poco da meravigliarsi, quindi, se l’Italia è al terzultimo posto nell’Ue per la nascita di bebè con un tasso di fecondità pari a 1,2 figli a donna. Tra l’altro quel dato sugli asili nido italiani pari al 34,5% è fuorviante. Come tutte le medie, ci sono aree che hanno una copertura maggiore (il Nord) e zone dove siamo fermi al 16% (gran parte del Sud). Raggiungere il target fissato dalla legge di Bilancio del 2022, ovvero 33 posti disponibili ogni cento bambini sotto i tre anni entro il 2027 in tutto il territorio nazionale, sembra davvero difficile. Così come appare quasi un miraggio il raggiungimento del 45% previsto a livello europeo entro il 2030. In molti contavano sul Pnrr (missione M4C1-18 dedicata al potenziamento dei servizi per l’infanzia), ma con l’ultima revisione c’è da segnalare un ridimensionamento: la cifra proveniente dai fondi Pnnr a disposizione del “Piano asili nido e scuole dell’infanzia” pari complessivamente a 4,6 miliardi di euro è diminuita di 1,3 miliardi di euro, il numero di nuovi posti disponibile da creare è stato più che dimezzato passando da un obiettivo iniziale di 264.480 a 150.480. Tagli decisi in seguito all’inerzia di molti Comuni che non hanno presentato la documentazione sufficiente (in molti casi nemmeno la richiesta) per l’accesso ai finanziamenti e per l’avvio dei cantieri, nonostante le proroghe concesse dai nuovi bandi. E anche i Comuni più solerti, che si erano già aggiudicati i finanziamenti, secondo quanto risulta dall’indagine della Corte dei Conti alla base della delibera n. 20 del 2022, dopo otto mesi ancora non avevano proceduto alle aggiudicazioni del lavori. Ritardi che hanno costretto il governo a modificare il cronoprogramma del piano, con il rinvio delle graduatorie.

 

Prospettive future e le dichiarazioni del Governo
In aula a Montecitorio, in seguito a un’interrogazione del Pd del giugno scorso, il governo ha comunque negato tagli ai finanziamenti sugli asili nido. «La revisione del Piano non ha abbassato le ambizioni del Pnrr Istruzione, né ha ridotto gli investimenti complessivi. Abbiamo appena adottato un nuovo Piano Asili del valore di 734,9 milioni di euro, finanziato con risorse nazionali ulteriori rispetto a quelle del Pnrr», ha affermato il ministro dell’Istruzione e del Merito, Giuseppe Valditara. Aggiungendo di avere chiesto «ad altri ministeri competenti le ulteriori risorse necessarie per raggiungere l’obiettivo, concordato con la Commissione Europea, di 150 mila posti». Ecco, appunto: nei programmi originari dovevano essere oltre 260 mila. Di questo passo per ancora troppe giovani mamme italiane conciliare maternità e lavoro resterà un percorso a ostacoli.