Traducono i testi che scorrono con le immagini di film, serie tv e videogiochi. Permettendone la diffusione. Ma sono schiavi di contratti capestro e minacciati dall’Ia. Perciò ora si sindacalizzano

Pagavano 4 dollari per ogni minuto di filmato tradotto, poi 3: quando ce ne hanno proposti 1,5 ci siamo fermati. Non potevamo accettare», dice Sara Todaro, sottotitolatrice, a proposito delle proposte di una compagnia di servizi di traduzione. «E quest’ultima tariffa era per passare al post-editing: correggere il lavoro fatto da un programma di intelligenza artificiale». Può andare così, oggi, una giornata di chi lavora nella sottotitolazione: «Traducendo in media 15-20 minuti di video alla volta», alla fine del mese il conto è sempre più basso.

 

Sono lavoratrici e lavoratori come lei, autonomi e partite Iva, a rendere possibile il viaggio di migliaia di film e videogame in tutto il mondo, in ogni momento, in tutte le lingue. Nell’ultimo decennio i sottotitoli – 42 caratteri di testo per riga alla volta – sono diventati centrali: li usa l’80 per cento dei giovani dai 18 ai 24 anni (scendendo fino al 23 per cento della fascia più adulta, dai 56 ai 75 anni) secondo uno studio di Stagetext del 2021. Le piattaforme social li usano in automatico. Milioni di persone arrivano alle opere originali in tempi brevissimi grazie ai sottotitoli. E a chi li traduce. Eppure, proprio queste figure, dietro lo schermo, nell’età dell’oro dello streaming e del gaming, sono ancora più invisibili, con paghe al ribasso, meno contratti e diritti, oltre alla minaccia dell’Ia. Mentre le traduzioni permettono più del 50 per cento degli introiti di molti film, solo una percentuale di budget inferiore allo 0,1 è spesa per tale attività.

 

Perciò in Italia gli addetti al settore si sindacalizzano. «Abbiamo provato a contrattare come gruppo», continua Todaro, «ma l’azienda ha risposto che trattava solo individualmente». E da quel gruppo è nata Acta-Tramiti, associazione che vuole riunire i freelance che lavorano nella traduzione multimediale per contrattare con più forza, secondo le linee guida del 2022 per autonomi della Commissione europea. «In media pagano 5-6 centesimi a parola, non molto. Se si accetta di lavorare con l’Ia, bisogna fare i conti con testi di bassa qualità», racconta Beatrice Ceruti, localizzatrice di videogiochi, anche lei in Tramiti: «Traduciamo tutto, dalle ambientazioni ai dialoghi, spesso dall’inglese per fare prima...». Proprio l’inglese, quindi, diventa una lingua pivot, da usare come passaggio intermedio per tradurre lingue meno comuni. «Ma così si rischiano errori, si perdono le sfumature di significato. E le paghe si abbassano: è più facile reperire traduttori dall’inglese», spiegano da Tramiti. Dove c’è un risparmio per le compagnie, si cela anche una critica del pubblico, come successo, ad esempio, per le traduzioni dal coreano di “Squid Game”.


È una questione di qualità: i traduttori reclamano infatti il diritto d’autore (come già funziona per adattatori e dialoghisti italiani), un regime fiscale agevolato da freelance e controllo sui propri testi. «Nei contratti c’è quasi sempre un non disclosure agreement, i nostri nomi non compaiono nei titoli di coda», dice Todaro. Intanto, il primo test è stato fornire aiuto ai lavoratori coinvolti nello sciopero nell’azienda Keywords Italy lo scorso agosto. Sulla scia delle unions negli Usa, Tramiti ha poi firmato, come parte di Avte (AudioVisual Translators Europe), una dichiarazione sull’Ia che insiste su sostenibilità, trasparenza e adeguamento delle tariffe.