Economia
6 novembre, 2025Dipendenze da microchip e terre rare cinesi. Per la terza volta automotive, difesa, farmaceutica ed elettronica si ritrovano alle corde. Volkswagen ha rischiato lo stop
L’accordo tra Donald Trump e Xi Jinping sulle terre rare ha fatto tirare un sospiro di sollievo alla Germania. Ma nessuno si illude, la partita è soltanto rimandata. E il sistema produttivo tedesco si riscopre ancora una volta vulnerabile. Dopo l'interruzione delle catene del valore per il Covid-19, la crisi energetica e la “scoperta” della dipendenza dal gas russo nel 2022, per la terza volta in una manciata d'anni alcuni settori chiave dell'economia – l'automotive, il comparto difesa, la farmaceutica e l'elettronica – si ritrovano alle corde. Due gli ordini di problemi: la dipendenza dei microchip più semplici di manifattura cinese per la produzione di auto – come ha mostrato il caso Nexperia – e la dipendenza da terre rare e materie prime critiche per la costruzione di semiconduttori e componenti elettroniche, per la farmaceutica e per l'industria della difesa.
La vicenda di Nexperia è esemplare. La società di semiconduttori con sede nei Paesi Bassi (in quanto ex costola di Philips), ma di proprietà del gruppo cinese Wingtech è stata nazionalizzata dal governo olandese a metà ottobre. L'esecutivo dell'Aia voleva evitare che fosse colpita dalle sanzioni Usa (in quanto inclusa nella lista delle società “pericolose per la sicurezza nazionale statunitense”).
La Cina ha reagito vietando l'esportazione di alcune componenti prodotte dalla divisione cinese di Nexperia e dai suoi sub-appaltatori. Questa contromossa ha lasciato i clienti dei prodotti Nexperia a bocca asciutta. In primis il settore dell'automotive tedesca. Volkswagen – che utilizza nelle sue auto dai 500 microchip in su –ha fatto sapere che in mancanza di alcuni di questi semiconduttori si sarebbero potute fermare linee di produzione, tra cui quella della Golf prodotta a Wolfsburg. E il problema non sarebbe di immediata soluzione. Anche rivolgendosi ad altri fornitori, i chip installati in componenti chiave, come ad esempio il sistema di controllo del motore, devono essere certificati e il processo di certificazione può durare mesi.
Finora non c'è stata alcuna interruzione e dopo l'accordo raggiunto tra Cina e Usa è probabile non accada. Ma la dinamica è stata un caso di scuola per molti. «Come evitare che l'industria europea diventi una pedina nelle mani di giocatori d'azzardo geopolitici?», si chiedeva Der Spiegel. Di poca consolazione anche l'analisi dell'associazione delle aziende farmaceutiche di ricerca, la Vfa, nel suo ultimo bollettino: «Le imminenti difficoltà dovute al blocco di un fornitore di componenti elettronici e chip relativamente semplici mostrano ancora una volta quanto sia vulnerabile l’industria tedesca a causa delle sue dipendenze strategiche».
Ma se sui chip trovare una soluzione è possibile, per esempio diversificando ab origine i fornitori, trovare un facile accesso alle materie prime critiche e terre rare – di cui la Cina controlla lavorazione e produzione per oltre il 90 per cento – resta problematico. In Germania i colli di bottiglia infatti non si fermano al settore dell'auto. Secondo un sondaggio nelle imprese tedesche dell'istituto Ifo di Monaco il 10,4 per cento dei produttori di elettronica e ottica ha registrato carenze di materiali a ottobre. Ad aprile questa percentuale era del 3,8 per cento. «Nelle nostre indagini non rileviamo quali materiali di approvigionamento manchino esattamente», spiega a L'Espresso Klaus Wohlrabe, responsabile del sondaggio Ifo, «ma presumibilmente si tratta di componenti elettronici, in cui le terre rare svolgono un ruolo decisivo». Il motivo della dipendenza è noto: acquistare prodotti di importazione cinese è meno costoso che produrli in casa. E l'estrazione in Europa resta complessa: «Non siamo attrezzati con grandi territori geografici da utilizzare massicciamente per ottenere le terre rare senza danneggiare l'ambiente, anche se in Europa queste materie prime critiche ci sono», dice Wolfgang Niedermark, della Bdi (la Confindustria tedesca). Sulla dipendenza dalla Cina «abbiamo messo in guardia i nostri soci negli ultimi anni e un anno fa abbiamo fatto il parallelo con il gas russo», aggiunge in un'intervista a Deutschlandfunk. «ma le nostre aziende non sono state pronte a investire nella resilienza, nella diversificazione delle linee di approvvigionamento e nell'ampliare lo stoccaggio di scorte».
La dipendenza dal Dragone tuttavia non è nuova. Allora perchè le aziende si scoprono impreparate? «Per le aziende non dovrebbe essere una novità. Dovrebbero prestare attenzione a ciò che accade nel mondo. Abbiamo già avuto una crisi di approvvigionamento durante il Covid, quando molte catene di fornitura si sono interrotte», risponde a L'Espresso l'esperto dell'istituto di Monaco. «Ma non sappiamo se siano o meno preparate. Ci saranno aziende che ritengono l’episodio un caso isolato e che quindi non prenderanno particolari precauzioni. Altre, invece, lo saranno di più. Tuttavia, molte non hanno grandi alternative se dipendono da un fornitore specifico e se non hanno vere possibilità alternative», aggiunge Wohlrabe.
Non tutte le realtà di impresa però sono cadute nella trappola dipendenza. Infineon di Monaco, tra i principali produttori tedeschi di semiconduttori, racconta a L'Espresso di «aver adottato una strategia di approvvigionamento multiplo con una catena di fornitura diversificata, che comprende fornitori in diverse regioni» e «attualmente non rileviamo alcun impatto sull’approvvigionamento dei materiali che possa compromettere le nostre capacità produttive», spiega Andre Tauber, capo della comunicazione di Infineon.
LEGGI ANCHE
L'E COMMUNITY
Entra nella nostra community Whatsapp
L'edicola
Mafie nel pallone - Cosa c'è nel nuovo numero de L'Espresso
Il settimanale, da venerdì 7 novembre, è disponibile in edicola e in app



