Economia
4 dicembre, 2025Ad aprile ci volevano 100 milioni per salvarla. Forse non ne basteranno 700. E la Procura di Roma aggiunge la sua inchiesta a quella milanese. L’ex ad Fiorentino è nel mirino dei magistrati per i prestiti. Garantiti dalle casse dello Stato
Finché la banca va lasciala andare. Più la banca si avvicina sugli scogli, più i controllori si destano dal torpore passando dalla meraviglia all’ira funesta. Nel caos della risistemazione dei primari istituti come Mediobanca sotto il segno di Giorgia Meloni, c’è una generazione di aziende creditizie minori nate nell’ultimo decennio. Queste challenger bank, come si chiamano, sono spesso legate a personaggi di lungo corso nel mondo finanziario e stanno dando filo da torcere non solo a Bankitalia e all’autorità giudiziaria ma persino al Mef di Giancarlo Giorgetti. Dopo le ispezioni a Bff bank, dopo il commissariamento di Smart Bank, dopo il recupero via fusione di Illimity, sulla ribalta c’è Progetto, prima della sua stirpe a conoscere l’amministrazione giudiziaria. Il provvedimento, datato 24 ottobre 2024, è arrivato dopo che la Dda di Milano ha scoperto prestiti per 10 milioni di euro a imprese del locale di ‘ndrangheta di Legnano-Lonate-Pozzolo nel varesotto. Adesso è la Procura di Roma di Roma, che ha messo sotto inchiesta l’ex ad Paolo Fiorentino, a indagare sui fidi facili.
Nel disinteresse della politica verso i rapporti fra criminalità organizzata e banche è prevalsa la mentalità dell’«incidente di percorso» e del “che saranno mai 10 milioni su 7 miliardi di affidamenti”. Mentalità sbagliata perché i problemi di Progetto erano iniziati prima dell’amministrazione giudiziaria, in altri comparti della sua attività, e si sono aggravati dopo. Da una valutazione di sette mesi fa che parlava di 100 milioni di aumento di capitale, all’inizio dello scorso settembre si è iniziato a dubitare che ne bastassero 250. Un paio di settimane dopo la cifra del salvataggio era salita a 400 milioni. A metà novembre si è parlato di svalutazioni per oltre 500 milioni o forse oltre 700, con crediti deteriorati per circa il doppio. Il bilancio trionfale del 2023, con 72 milioni di profitti, ha segnato un deficit di 120 milioni nel 2024.
L’ombra dei clan non ha migliorato la situazione. «Abbiamo esaminato a lungo il dossier», dice il consulente di un gruppo internazionale che ha studiato l’acquisizione di Progetto a partire dall’autunno 2024. «A fronte di un prezzo di 500-600 milioni c’erano grossi rischi dalla legge 231 sulla responsabilità penale degli enti. Questi rischi non si potevano circoscrivere né quantificare. E le intercettazioni erano davvero brutte. In quanto all’amministrazione giudiziaria, spesso rallenta i tempi necessari per risolvere i problemi e così, di fatto, li aggrava».
L’agilità operativa delle challenger, in genere protetta dal magico ombrello del digitale, ha fatto sì che Progetto lavorasse con mediatori non solo non autorizzati ma imputati per reati gravi. È il caso del geometra Maurizio Ponzoni e di Enrico Barone. Ponzoni era stato arrestato nel marzo 2023 e ha patteggiato la condanna a dicembre 2023. Barone è stato condannato in primo grado a Busto Arsizio 11 anni nel giugno 2024 per bancarotta fraudolenta con l’aggravante del metodo mafioso. Loro stessi, nelle telefonate registrate dalla Guardia di finanza, sembravano stupiti della fiducia e della mancanza di controlli da parte di Progetto che, quando la vicenda è venuta alla luce, si è presentata come parte lesa per bocca del presidente Massimo Capuano.
«Salvo un piccolo ufficio a Milano», racconta un manager che aveva ricevuto un affidamento da Progetto, «non avevano filiali né sedi e lavoravano attraverso procacciatori d’affari. Per negoziare il fido della mia azienda ho parlato con un consulente esterno a partita Iva che mi ha mandato la fattura dopo la firma, ancora prima che ci fosse stato il passaggio effettivo dei soldi».
Nata nel 2008 come Banca popolare lecchese e ceduta il 18 dicembre 2015 al fondo Usa Oaktree, non ancora proprietario dell’Inter, la banca è diventata rapidamente una figura di riferimento nel mercato dei crediti alle piccole e medie imprese sostenute dal fondo di garanzia di Mcc (gruppo Invitalia) e della Sace. In sostanza, sono prestiti coperti dal Mef per una media dell’80 per cento, quando il creditore non li ripaga.
Progetto ha accelerato alla fine del 2018 con l’arrivo di Fiorentino, ex ad di Carige e in precedenza chief operating officer di Unicredit. Appassionato di calcio fino a diventare il presidente della Neep Roma holding durante il passaggio del club giallorosso dalla famiglia Sensi agli americani di Tom Di Benedetto, Fiorentino aveva in mano le leve del comando.
Nella relazione ordinata dal tribunale milanese si legge che Progetto era amministrata «da una struttura piramidale verticistica facente capo all’ad» ed è «rimasta inerte pur a fronte delle sollecitazioni e raccomandazioni di Banca d'Italia e Uif».
Il ruolo di dominus di Fiorentino, che aveva accanto come presidente Capuano, manager di Borsa italiana per dodici anni, è ribadito nel rapporto degli ispettori mandati dal governatore Fabio Panetta. L’ad avrebbe «sempre minimizzato la portata del deterioramento della qualità dell'attivo sulla scorta della copertura assicurata dalle garanzie pubbliche». Insomma, prestiti facili tanto paga il contribuente.
Dopo essersi assicurato un terzo del mercato nazionale dei prestiti garantiti, Fiorentino ha tentato di quotare la banca a cavallo fra il 2023 e il 2024. Ai primi di aprile del 2024 gli investitori erano pronti ad acquistare le quote al momento dell’offerta pubblica prevista entro fine giugno 2024. Il 9 aprile Oaktree li gela rinunciando all’Ipo.
L’11 aprile è arrivata l’offerta di Centerbridge, gruppo di private equity con sede principale a New York, ma l’accordo preliminare si è arenato con l’intervento della Procura di Milano in ottobre.
I guai sono continuati all’inizio di novembre 2024 con l’arresto di Marco Savio, un brasseur d’affaires accusato di avere incassato 20 milioni di euro da Progetto in modo fraudolento. Savio ha patteggiato una condanna a tre anni al tribunale di Brescia lo scorso luglio.
La bomba a effetto ritardato è scoppiata il 18 dicembre 2024, quando il tribunale di Milano ha condannato Fiorentino a quattro anni per aggiotaggio e false comunicazioni nel caso Carige. I proprietari della banca genovese, la famiglia Malacalza parte lesa nel processo, si sono visti riconoscere 28 milioni di risarcimento a carico del manager. Il cda di Progetto ha reagito confermando «piena fiducia a Fiorentino» che, dopo un nuovo prestito da 3,5 milioni andato a male, si è dimesso per ragioni personali il 25 febbraio 2025. Il suo successore, l’ex Fiat, Unicredit e Fondazione Crt Federico Varese, è durato in carica otto giorni prima che, il 21 marzo, Bankitalia sciogliesse il cda e mettesse Progetto in amministrazione straordinaria fino al 24 luglio. Anche in questa circostanza l’istituto ha visto il lato positivo sottolineando che l’amministrazione si era chiusa con tre mesi di anticipo. Eppure i giudici non sono stati teneri. «Un modus operandi opaco e discutibile», scrivono, «di fatto ha integralmente trasferito il rischio di insolvenza, in concreto verificatosi, sullo Stato».
Dopo che Centerbridge ha chiesto la rescissione dell’accordo minacciando una causa a Londra, Panetta ha continuato a battere la strada di una cordata privata. Oggi Progetto è un pericolo più per il governo che per il sistema bancario in senso lato. Il bivio è fra un salvataggio affidato a cavalieri bianchi privati e l’intervento pubblico. Nel secondo caso, c’è il rischio di contestazioni per violazione delle norme Ue sulla concorrenza
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