Economia
13 maggio, 2025

Ex Ilva, l'azienda chiede la cassa integrazione per quasi 4 mila lavoratori. Protestano i sindacati

La richiesta dopo il dimezzamento della produzione a causa del sequestro dell'altoforno uno, a seguito dell'incendio del 7 maggio. Intanto le trattative per la cessione agli azeri di Baku Steel sono ferme

Non c’è pace per l’ex Ilva. In un messaggio ai sindacati, Acciacierie d’Italia ha comunicato la richiesta di cassa integrazione per 3.926 lavoratori, di cui 3.538 nello stabilimento di Taranto. La scelta - spiega l’azienda - è dovuta al dimezzamento della produzione a seguito del sequestro dell’altoforno uno, disposto dalla procura tarantina, dove lo scorso 7 maggio si è verificato un grave incendio a causa dello scoppio di una tubiera. La cassa integrazione è stata richiesta anche per 178 dipendenti che lavorano negli impianti di Genova, 165 di Novi Ligure e 45 di Racconigi

 

I sindacati hanno incontrato questa mattina - 13 maggio - i commissari di Acciaierie d’Italia e si sono detti indisponibili a discutere dell’incremento della Cigs. Solo lo scorso marzo era stato siglato un accordo tra le parti che prevedeva un massimo di 3.062 lavoratori in cassa integrazione a rotazione, su circa 10 mila dipendenti totali. “Siamo indisponibili a discutere di incremento della Cigs, il governo assuma la gestione del gruppo e avvii da subito l’elettrificazione e la decarbonizzazione della produzione. Lo Stato dimostri di credere nella strategicità di Ilva e intervenga in prima persona”. Così Guglielmo Gambardella, segretario nazionale Uilm che segue il settore.

 

I sindacati, durante l’incontro, hanno piuttosto spostato l’attenzione sulla trattativa per la cessione agli azeri di Baku Steel. Ma dopo l’incendio, il ministro del Made in Italy, Adolfo Urso, ha laconicamente commentato che le trattative per la vendita dell'impianto agli azeri di Baku Steel Company sono a rischio. Più precisamente ha detto: “Se il sequestro dell'altoforno prevederà anche l'inibizione all'uso, dovremo necessariamente prevedere un forte numero di lavoratori in cassa integrazione e una riduzione significativa della produzione”. E poi ha aggiunto: “Proprio in queste ore è in corso un negoziato difficile, complesso. Che deve mettere insieme tante cose, fra cui la funzionalità degli impianti. Se non vi è la funzionalità, il negoziato si interrompe e nessuno ovviamente mai scommetterà sulla riconversione industriale e tecnologica di quello che era l'impianto siderurgico più grande d’Europa”.

 

Secondo quanto risulta a L’Espresso, però, il sequestro seguito all’incendio sarebbe per Baku Steel un pretesto per far deragliare la trattativa perché avrebbe compreso che sussistono delle resistenze, soprattutto da parte del territorio, rispetto alla possibilità di realizzare un rigassificatore al largo di Taranto che servirebbe ad alimentare l'impianto siderurgico. E all’orizzonte non si vedono altri possibili acquirenti, dopo che anche lo sfidante indiano Jindal è definitivamente uscito di scena.

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