“Le notizie di stampa apparse sulle principali testate nazionali in relazione alla vicenda concernente il sequestro dell'altoforno 1 avvenuto lo scorso 7 maggio 2025 all'interno dello stabilimento siderurgico di Taranto (l’ex Ilva, ndr) impongono delle precisazioni finalizzate a meglio chiarire i termini dell'intervento dell'autorità giudiziaria”. Inizia così il comunicato stampa della procura di Taranto, una risposta pacata alle accuse del ministro delle Imprese e del made in Italy Adolfo Urso, ma anche ad Acciaierie d’Italia, che hanno esplicitamente imputato alla procura tarantina di aver autorizzato in ritardo la messa in sicurezza dell’altoforno 1.
Le accuse di Urso e Acciaierie d'Italia
“In questi casi – hanno scritto i tre commissari straordinari dell’Ilva – si deve intervenire entro 48 ore per evitare danni strutturali”. Anche per Urso “si è intervenuti troppo tardi, bisognava farlo entro 48 ore ma è mancata l'autorizzazione. È un danno notevole che avrà inevitabilmente immediate ripercussioni sull’occupazione”. Delle ricadute, in effetti, già ci sono state, con la richiesta della cassa integrazione per quasi quattromila lavoratori. Al di là dei tecnicismi e delle eventuali responsabilità penali – tre dirigenti di Acciaierie d’Italia sono indagati per "incendio colposo" e “getto pericoloso di cose” – il rischio, per i commissari dell’ex Ilva, è che così potrebbe essere stata compromessa la possibilità di rispettare il cronoprogramma industriale, ripercuotendosi negativamente sui numeri della cassa integrazione”. Il mancato via libera nei tempi necessari, spiegano i commissari, ha creato un vero e proprio “blocco” e ha ostacolato “il recupero e la messa in sicurezza dell’impianto”. Perché “oggi, dopo oltre 120 ore dall’evento, non è più possibile procedere con il colaggio dei fusi, con la conseguenza che, in caso di riavvio, si dovranno adottare procedure straordinarie, complesse e con esiti assolutamente incerti”. Anche per Urso, le “lungaggini dell’iter autorizzato” rischiano di compromettere “l’intero processo di vendita”. Il via libera della procura, secondo il ministro, non sarebbe arrivato “nei tempi utili” per finalizzare il lavoro e “tutelare l’integrità dell’impianto”.
Le trattative (arenate) con Baku Steel
Sull’ex Ilva, da anni uno dei dossier industriali più spinosi del Paese, la trattativa in corso per la cessione agli azeri di Baku Steel si è arenata. In teoria, a causa del sequestro convalidato dal pm. A quanto risulta a L’Espresso, però, i dubbi di Baku Steel sono (anche) di altro tipo, e che l'incendio e il sequestro potrebbero rappresentare un pretesto per far deragliare la trattativa per via delle resistenze, soprattutto da parte del territorio, rispetto alla possibilità di realizzare un rigassificatore al largo di Taranto che servirebbe ad alimentare l'impianto siderurgico.
La risposta della procura di Taranto
Ma torniamo allo scontro con la procura. La questione è un po’ tecnica, ma importanti sono date e orari. La procuratrice capo, Eugenia Pontassuglia, ricostruisce minuziosamente gli step degli interventi sull’altoforno 1 al centro del braccio di ferro. “La visione delle immagini registrate dalle telecamere interne all'impianto permetteva di riscontrare che alle ore 11.31 del 7 maggio 2025 dalla tubiera 1 era fuoriuscito un notevole quantitativo di gas incendiato seguito da proiezione di materiale solido incandescente con conseguente sviluppo di incendio di vaste proporzioni”. Il giorno dopo, “nelle prime ore dell'8 maggio 2025 gli organi intervenuti procedevano, congiuntamente ai carabinieri della sezione di polizia giudiziaria della Procura, al sequestro dell'impianto AFO 1, autorizzando, al contempo 'tutte le attività finalizzate alla salvaguardia della salute pubblica, della sicurezza dei lavoratori nonché dell'ambiente e l'accesso alla sala controllo del personale addetto al monitoraggio dei parametri volti a garantire le condizioni generali di sicurezza’”. La comunicazione della notizia di reato – si legge ancora nel comunicato – “veniva depositata in procura alle ore 16.50 dello stesso giorno” e, in allegato al verbale di sequestro, c’era un’istanza dell’ufficio legale di Acciaierie d’Italia in cui si chiedeva l’autorizzazione all’esecuzione di alcune attività tecniche sull’impianto, convalidata poi alle “19:30”.
Il giorno dopo, il 9 maggio, “alle ore 15.14, perveniva ulteriore istanza dell'ufficio legale (…) ad integrazione della precedente, richiedeva lo svolgimento di altre e specifiche attività tecniche da eseguirsi sull'impianto; in tale ultima nota si rappresentava che ‘il tempo residuo utile per effettuare le operazioni richieste è di circa 48 ore dal presente momento’”. Quest’ufficio – continua il comunicato – “con provvedimento depositato alle successive ore 13.01 (a distanza di 2 ore dal deposito dell'ultima istanza e, quindi, nel rispetto del termine di 48 ore nella stessa segnalato) autorizzava l'esecuzione della quasi totalità delle attività richieste”. I calcoli e le accuse di Urso e dei commissari dell’ex Ilva, secondo questa ricostruzione, sarebbero sbagliati.
Poi la conclusione della procura: “Con riferimento alla notizia apparsa nella giornata odierna (13 maggio, ndr) relativa all'asserito diniego, da parte di questo ufficio, a concedere l'autorizzazione ad effettuare il c.d. ‘colaggio dei fusi’, operazione che si assume essere necessaria per evitare l'esecuzione di procedure straordinarie che potrebbero determinare al probabile fermata definitiva dell'impianto, va precisato che tale richiesta non risulta essere stata avanzata in nessuna delle due menzionate istanze”.